La Chiesa vuole ancora essere Chiesa, credere in e raccontare Gesù Cristo nel modo in cui lo ha fatto in due millenni?

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Pare che questi giorni di fine agosto siano propizi alla presentazione in anteprima di libri. Ieri ho presentato in anteprima il promo e l’introduzione del libretto N.43 della collana della Fondazione Santina #VoltiDiSperanza Jackeline dell’amico Mons. Luigi (Gigi) Ginami, in uscita con Amazon Kindle Direct Publishing [#Jackeline. La tratta di persone in Perù]. Oggi sono lieto di presentare in anteprima il libro dell’amico e collega Andrea Gagliarducci La chiesa del futuro. Dieci sfide per i sinodi che verranno (Città Nuova 2023, 144 pagine), in uscita il 29 settembre 2023, già in prevendita [QUI].

Riporto di seguito l’annuncio dato oggi dall’autore sul suo blog Vatican Reporting, con cui offre i primi spunti di riflessione sul suo nuovo libro. Inoltre, per proseguire questa riflessione ante-lettura, offro il testo della Premessa con cui Gagliarducci apre il libro. Poi, nel prossimo futuro avrò certamente occasione di informare a pubblicazione avvenuta e di eventuali presentazioni (di cui spero di poter presenziare almeno una volta).

Un po’ di storia…

Mi sia concesso di condividere la Premessa anche per un motivo personale, visto che ci vengo menzionato. Andrea Gagliarducci fa riferimento alla mia funzione di Delegato del Direttore della Sala Stampa della Santa Sede incaricato della progettazione, costruzione e gestione dell’Ufficio Temporaneo “del Fungo” per la pubblicazione e la traduzione dei documenti del Sinodo dei Vescovi. In totale ho seguito – dal momento che sono entrato in servizio alla Santa Sede il 15 aprile 1985 – 17 Assemblee Generali del Sinodo dei Vescovi (sui 25 che sono state celebrate fino al momento del pensionamento, avvenuto il 31 dicembre 2013).

I primi passi di Gagliarducci come “vaticanista” sono coincisi con la celebrazione di un’Assemblea sinodale – quella del 2005 – e il mio servizio alla Santa Sede si è concluso nel primo anno di pontificato di Papa Francesco , «con cui è cambiato l’apparato comunicativo: gli interventi non venivano più distribuiti né le sintesi tradotte», come osserva Gagliarducci. Infatti, dalla prima Assemblea sinodale nel nuovo pontificato, fu deciso di terminare la trentennale esperienza dell’Ufficio Temporaneo “del Fungo” e seguire delle procedure comunicative come descritte da Gagliarducci.

L’ultimo Bollettino informativo della Commissione per l’informazione dell’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dal titolo Synodus Episcoporum, fu pubblicato dalla Sala Stampa della Santa Sede in occasione della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (7-28 ottobre 2012) [QUI].

Appena entrato in servizio, ho avuto l’incarico di occuparmi delle pubblicazioni in occasione delle Assemblee Generali del Sinodo dei Vescovi, da subito curando la graduale conversione dalle pubblicazioni nella sola forma cartacea, alla digitalizzazione di tutte le informazioni, con la loro diffusione in tempo reale ai media vaticani in forma elettronica e la successiva pubblicazione in Internet, usufruibile non solo ai giornalisti accreditati ma al mondo intero, fino alla Patagonia.

Il Bollettino Synodus Episcoporum a cura dell’Ufficio temporeaneo “del Fungo” usciva in 6 edizioni linguistiche (plurilingue, italiana, inglese, francese, spagnola e tedesca – talvolta, secondo l’oggetto dell’Assemblea Generale, fu pubblicato in arabo o in portoghese), con 2 numeri al giorno (antimeridiano e pomeridiano) o secondo necessità. Il numero antimeridiano usciva a conclusione della Congregazione Generale del mattino e il numero pomeridiano usciva il mattino seguente. La distribuzione ai Signori giornalisti accreditati veniva effettuata in forma cartacea nella Sala dei giornalisti della Sala Stampa della Santa Sede. La versione digitale veniva resa disponibile nella sezione dedicata sulla pagina Internet della Sala Stampa della Santa Sede di Vatican.va. L’edizione plurilingue riportava i riassunti degli interventi dei Padri sinodali preparati da loro stessi, nelle lingue in cui venivano consegnati per la pubblicazione. Le altre edizioni riportavano le rispettive traduzioni.

Foto di gruppo dello staff dell’Ufficio Temporaneo “del Fungo”, che prendeva il nome del “Fungo”, la struttura davanti all’ingresso allo Studio Pontificio dell’Aula Paolo VI, che serve per riparare il Papa dalla pioggia quando arriva in macchina per le Udienze.

Ordinando un po’ di vecchie fotografie, ho ritrovato quelle – la foto di gruppo – scattate dall’amico fotografo de L’Osservatore Romano Simone Risoluti in occasione della Benedizione dell’Ufficio Temporaneo “del Fungo” l’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi (10 al 24 ottobre 2010), martedì 5 ottobre 2010 da parte di S. E.R. Mons. Carlo Maria Viganò, Vescovo titolare di Ulpiana, Nunzio Apostolico, Segretario Generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, come Ministro con gli Assistenti Padre Ciro Benedettini, C.P., Vice Direttore della Sala Stampa della Santa Sede e Mons. John Abruzzese, Ufficiale della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi.

Il momento della benedizione dell’Ufficio Temporaneo “del Fungo”, funzionante nella “Sala degli Ambasciatori” sopra lo Studio Pontificio dell’Aula Paolo VI.

«Il tema centrale, che porto avanti da tempo, è proprio questo: che il problema non è se la Chiesa sarà sinodale o meno, non è nella riforma delle strutture o in una riforma dell’ascolto, non è in una rinnovata vita della Chiesa. Il problema è se la Chiesa crede ancora in Gesù Cristo e nel modo in cui ha raccontato Gesù Cristo in duemila anni. Il problema è se la Chiesa vuole essere Chiesa, o se invece vuole rispondere a delle situazioni contingenti. Io trovo che sia un tema centrale nel dibattito sinodale attuale, che non può essere eluso. Tutte le questioni che vengono dibattute oggi devono passare attraverso questo cono. Si tratta non di dare nuove priorità, ma di dare a ciascuno il suo ruolo. (…) Non credo nell’idea di una democratizzazione della Chiesa o dell’ascolto a tutti i costi, ma credo nel principio che tutti sono parte e utili nel regno di Dio. E credo che l’idea che prima non si sia ascoltato abbastanza sia anche molto buona per la propaganda, ma poco vera se si guarda alla storia della Chiesa» (Andrea Gagliarducci).

Indice del libro

Premessa

Introduzione. Che cosa è un Sinodo, in fondo?
Popoli e vescovi, vescovi e popolo
Dal Sinodo dei vescovi all’idea di sinodalità
Il professor Ratzinger, il Concilio dei media e il Concilio reale
Il Sinodo secondo papa Francesco
I tre livelli della sinodalità

Collegialità e sinodalità
Ritornare al Concilio Vaticano II
Qual è il ruolo dei vescovi?
Una Chiesa in Sinodo: quali rischi?
Una beatificazione, nuove questioni
Chiese particolari e Chiesa universale
Il nazionalismo ecclesiale
Gli incontri dopo il Concilio Vaticano II

Il Sinodo oggi
L’attuale Sinodo. I primi passi
Le tappe continentali
L’Instrumentum Laboris
I rischi

La Chiesa oggi
Le differenze continentali
I numeri della Chiesa
Le tappe continentali
Le dieci sfide per il futuro della Chiesa

Conclusioni

Il Sinodo è il futuro della Chiesa?
di Andrea Gagliarducci
Vatican Reporting, 25 agosto 2023


Ci sono varie domande intorno al processo sinodale in corso, lanciato da Papa Francesco, elaborato, lungo, probabilmente irreversibile. Ci si chiede se e come il Sinodo diventerà parte della vita della Chiesa, e in che modo si possa davvero fare una Chiesa sinodale. Ci si chiede se la Chiesa sinodale punti al cambiamento della dottrina stessa della Chiesa, o se invece sia soltanto un forum di discussione. Si palesa l’eventualità che questo percorso sinodale possa, in realtà, non essere davvero tale, perché in fondo poi tutto nella Chiesa si deve centralizzare, e a decidere è sempre il Papa. Addirittura, si mette in luce come, nel processo dell’ascolto, alcune voci non siano state ascoltate. Ci sono toni critici, toni allarmistici, toni molto positivi, toni eccessivamente positivi, toni moderatamente positivi nel dibattito.

Sono solo un giornalista, e sono un giornalista che ha deciso di lavorare come giornalista cattolico. Vale a dire che ho deciso di non nascondere il mio punto di partenza, e di cercare di ascoltare la Chiesa in maniera diversa. Abbiamo molto dibattito sulla Chiesa che sa di sociologia, politica, cronaca spicciola. Abbiamo poca comprensione del punto di vista della Chiesa, della sua storia, del suo mettersi in prospettiva di eternità, e mai di contingenza.

In vista di questo sinodo ho fatto varie esperienze, ho parlato con molte persone, sono stato coinvolto in e ho conosciuto da vicino alcuni dibattiti. Da giornalista, mi sono fatto delle domande, e queste domande mi hanno portato a delineare delle sfide. Ne è uscito un libro, che si chiama “Il Futuro della Chiesa. Dieci sfide per i Sinodi che verranno”, che uscirà a settembre.

Chi mi legge e conosce quello che penso, non resterà sorpreso da quello che troverà in questo libro. Ci sono molte delle cose che ho scritto negli ultimi anni in vari articoli e analisi, con temi che ritornano sempre e da diversi anni nel mio lavoro.

In una delle sue ultimissime apparizioni pubbliche, se non proprio l’ultima, ad un Cortina Incontra, Benny Lai, il mio maestro, interrogato sugli scandali nella Chiesa (era il tempo della pubblicazione di Vaticano SPA di Gianluigi Nuzzi) disse che il vero problema della Chiesa non era il fatto che non si fosse aperta al mondo, ma che piuttosto la Chiesa aveva perso il proprio linguaggio. La Chiesa si era secolarizzata, aveva perso di vista la sua lingua, la sua storia, il suo modo di fare, e per questo andava incontro a scandali di ogni tipo. Benny Lai, che nasceva scettico e non credente, non credeva che la risposta della Chiesa alla crisi stesse nel cambiamento della dottrina per una Chiesa più aperta e inclusiva. Credeva piuttosto che la Chiesa si sarebbe salvata se fosse rimasta Chiesa, con il suo linguaggio e il rispetto della sua storia e dei suoi simboli.

Ne parlammo poi insieme, e lui mi fece commenti anche più caustici su alcune situazioni che restano nel mio cuore. Le sue parole mi fecero riflettere, e a lungo. E molti dei temi di quella conversazione, sviluppati poi negli anni, si ritrovano in questo libro.

Perché il tema centrale, che porto avanti da tempo, è proprio questo: che il problema non è se la Chiesa sarà sinodale o meno, non è nella riforma delle strutture o in una riforma dell’ascolto, non è in una rinnovata vita della Chiesa. Il problema è se la Chiesa crede ancora in Gesù Cristo e nel modo in cui ha raccontato Gesù Cristo in duemila anni. Il problema è se la Chiesa vuole essere Chiesa, o se invece vuole rispondere a delle situazioni contingenti.

Io trovo che sia un tema centrale nel dibattito sinodale attuale, che non può essere eluso. Tutte le questioni che vengono dibattute oggi devono passare attraverso questo cono. Si tratta non di dare nuove priorità, ma di dare a ciascuno il suo ruolo.

Ho provato a raccontarlo in questo libro, con il compito di non essere necessariamente solo una pars destruens, critica e caustica, ma piuttosto di costruire da quello che c’è in maniera positiva. Ho provato a dare una visione generale del processo sinodale in corso, leggendo tutti i documenti finali delle tappe continentali, andando a guardare alla vitalità delle Chiese.

Non credo nell’idea di una democratizzazione della Chiesa o dell’ascolto a tutti i costi, ma credo nel principio che tutti sono parte e utili nel regno di Dio. E credo che l’idea che prima non si sia ascoltato abbastanza sia anche molto buona per la propaganda, ma poco vera se si guarda alla storia della Chiesa. Dove ci sono esempi di gerarchie bloccate, ma anche grandi esempi di gerarchie aperte. Dipende dalla storia, dalle contingenze, dagli uomini. Ma, se sinodalità è la vita della Chiesa, la Chiesa allora è sempre stata sinodale. Si deve solo capire come applicare l’aggettivo.

Queste pagine in via di pubblicazione hanno così il compito di dare forma compiuta e concretezza a molti pensieri. Spero che possano essere utili. I temi da sviluppare ulteriormente, dopo questo libro, sono moltissimi. A partire da quello della comunicazione, perché molte delle questioni riguardano proprio come gli uomini di Chiesa parlano della Chiesa stessa quando ci sono scandali o semplicemente difficoltà.

In anteprima
La Chiesa del futuro. Dieci sfide per i Sinodi che verranno
Premessa


Ero un giovane giornalista che si occupava di Vaticano quando, nel 2008, ho seguito il mio primo Sinodo, sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Non sapevo cosa fosse il Sinodo, non sapevo perché esistesse un Sinodo, ma mi sembrava, nella mia ingenuità di giovane cronista, assolutamente normale che un numero per me imprecisato di vescovi, accompagnato da una serie di uditori laici, si incontrasse in Vaticano per quasi un mese, per discutere, mettere a nudo i problemi, affrontare sfide nuove. Mi colpiva che il papa vi partecipasse, ascoltasse, ogni tanto persino intervenisse, a braccio, come a voler mettere un punto sulle questioni.

A rendere il clima normale, contribuiva anche la straordinaria macchina informativa del Sinodo. Gli interventi venivano tradotti in sei lingue, diffusi nelle loro sintesi il giorno successivo in una struttura chiamata “Il Fungo”, organizzata da Vik van Brantegem, assistente della Sala Stampa della Santa Sede, che sarebbe poi un giorno diventato mio amico e persino mio editore. Nella Sala Stampa, poi, ogni giorno, a metà giornata, in briefing divisi per gruppi linguistici si raccontava informalmente come fosse andata la discussione sinodale, di cosa si fosse parlato, quali fossero i temi di importanza. Non di rado, i relatori del briefing portavano ospiti dall’assise sinodale, vescovi o cardinali che poi si mettevano a disposizione per le interviste. Per l’Italia, c’era don Giorgio Costantino, che relazionava da anni sui Sinodi e che dunque si poteva permettere di aggiungere una quarta dimensione, oltre a spazio, tempo e notizia: quella della profondità. «Se ricordate, di questo tema si era già parlato due Sinodi fa…»; «È un punto di discussione che persino Giovanni Paolo II aveva notato nell’esortazione…»: don Giorgio aiutava a tenere viva la curiosità, a rendere interessante anche qualcosa di potenzialmente “non notiziabile” come una discussione tra presuli su temi apparentemente astratti.

Non sapevo cosa fosse un Sinodo, lo davo per scontato. Come davo per scontato quel tipo di clima che si creava, la confidenza che si poteva avere con i padri sinodali, l’informalità che permetteva anche a noi giornalisti di guardare un po’ oltre le notizie. Era chiaro che il Sinodo non avrebbe dovuto portare cambiamenti, era chiaro che nei Sinodi non ci potesse essere altra agenda se non la discussione. E questo rendeva l’atmosfera un po’ più rilassata. Si parlava di futuro, ma senza l’ansia del futuro. Si parlava di presente, ma senza l’angoscia del presente.

Ho respirato in quegli anni l’afflato universale della Chiesa, che ha visto poi due Sinodi speciali, uno per l’Africa e uno per il Medioriente. Ho imparato, ascoltando il card. Giuseppe Betori, che il Sinodo non riguarda un consenso ma la ricerca di una comunione, ed era quello il motivo per cui, nel documento finale, non venivano pubblicati tutti i modi (ovvero paragrafi) che non raggiungevano il consenso sinodale, ovvero di almeno i due terzi dei membri.

Quello che mi colpiva era la capacità di guardare oltre. L’ultimo viaggio di Benedetto XVI, in Libano nel settembre 2012, coincise con la consegna della Ecclesia in Medio Oriente, l’esortazione apostolica post-sinodale del Sinodo speciale per il Medioriente. In quell’esortazione, che nasceva all’indomani delle cosiddette primavere arabe, e in una crisi che faceva notare già i prodromi di quello che sarebbe stato l’orrore del sedicente Stato Islamico, si trova un’analisi lucida e vivida della situazione sperimentata dalla Chiesa locale. Tuttora la rileggo, quando succede qualcosa in Medioriente, e non manco mai di trovare cenni profetici.

Il Sinodo era già parte della vita della Chiesa. Papa Francesco ha voluto enfatizzare questo aspetto, tirando fuori il fuoco che covava sotto la cenere, rendendo il Sinodo un processo più che un evento, come si ama dire oggi, e dunque istituzionalizzando un dialogo continuo che in realtà si aveva già prima e a latere delle assemblee sinodali.

Se prima si arrivava al Sinodo dopo che il fuoco del dibattito era già divampato a livello locale, ora quel fuoco veniva portato a Roma, con l’idea di sviluppare quella parresia (termine greco che sta per “franchezza”) molto cara a papa Francesco, e molto richiesta. Una parresia che diventava istituzionale. Era vita della Chiesa, ora diventava anche flusso delle istituzioni della Chiesa.

Con papa Francesco ho vissuto i due Sinodi sulla famiglia, quello straordinario del 2014 e quello ordinario del 2015, con cui è cambiato l’apparato comunicativo: gli interventi non venivano più distribuiti né le sintesi tradotte, ma in un briefing generale, affidato alla Sala Stampa della Santa Sede, ogni giorno si rendeva conto del dibattito. Paradossalmente, per proteggere la parresia, la comunicazione veniva ingessata. Tutto era lasciato dunque all’abilità dei giornalisti, chi più chi meno in grado di ottenere informazioni o di farsi raccontare gli interventi dai padri sinodali che conoscevano.

Un vecchio adagio del giornalismo, però, dice che in fondo chi dà le notizie lo fa sempre per un motivo. E non è sbagliato. Non era difficile riconoscere una nuova polarizzazione del dibattito, che prima era relegata a situazioni locali. Per fare un esempio, nel 2011 c’era stata in Austria la cosiddetta Pfarrer Initiative, l’iniziativa dei parroci che chiedeva forti cambiamenti dottrinali sia dal punto di vista del celibato sacerdotale sia della morale sessuale. Si ritrovano in questa iniziativa alcuni tratti dell’attuale cammino sinodale del popolo di Dio che si trova in Germania. Al tempo, però, non era altro che un’iniziativa locale che otteneva attenzione mediatica ma non scalfiva i dibattiti a Roma. La nuova procedura dei Sinodi per- metteva, invece, che quel dibattito raggiungesse i giornali e magari arrivasse a manipolare l’opinione pubblica. Era tutto amplificato.

In un atto di trasparenza, papa Francesco ha poi voluto che tutti i modi dei documenti finali venissero pubblicati, e che ognuno dei modi presentasse i numeri dei placet o non placet. Questo ha fornito il senso del dibattito, ma ha anche creato un’ulteriore polarizzazione. Se prima le discussioni rimanevano dentro l’aula, e si trovava poi una linea comune, ora le discussioni diventavano parte del dibattito. Il punto è che non si poteva sapere come il dibattito era stato formulato.

Nel corso degli anni, papa Francesco ha voluto rendere il Sinodo non tanto una struttura della Chiesa, quanto uno stato permanente. Il Sinodo sui giovani del 2018 è stato preceduto da un pre-Sinodo, mentre il Sinodo del 2019 sulla regione panamazzonica ha presentato un’ulteriore nuova gestione della comunicazione, affidata ormai al neonato dicastero della comunicazione e non più alla Sala Stampa della Santa Sede tout court.

Per il Sinodo sulla sinodalità papa Francesco ha voluto fare un passo ulteriore: discussioni locali, poi tappe continentali (ce ne sono state sette) e quindi un Sinodo che include non più solo vescovi tra i membri, ma anche porzioni del popolo di Dio. Non che il popolo di Dio fosse trascurato prima. C’era, e interveniva, ma come uditore. Non votava. Adesso può votare in assise, come succede nei Sinodi diocesani o locali. La dimensione locale è così diventata universale, come si era compreso già all’inizio del pontificato di papa Francesco, allorquando, tra le citazioni, avevano trovato posto vari documenti delle conferenze episcopali.

Se con le informazioni del “Fungo” e di don Giorgio Costantino avevo potuto aggiungere la dimensione della profondità alla mia consapevolezza del Sinodo, in questo ultimo processo sinodale ho potuto aggiungere una quinta dimensione: la partecipazione.

Su nomina del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee – vale a dire il consiglio che riunisce i presidenti delle conferenze episcopali di tutta Europa, con l’inclusione di alcuni membri a titolo speciale perché parificati a conferenze nazionale – sono stato parte del comitato di redazione del Documento finale della Tappa Continentale Europea, che si è tenuta a Praga dal 5 al 12 febbraio 2023.

Unico giornalista in un team di teologi esperti multilingue, coordinati da don Giacomo Costa, che della segreteria generale del Sinodo è consultore e che è già “dentro” la sua terza assise sinodale, ho potuto così vedere anche come nasce un documento sinodale, quali sono le tensioni che si affrontano e quali le sfide da affrontare. Soprattutto, ho compreso che c’è bisogno di una sesta dimensione, quando si parla di cose di Chiesa: la prospettiva. Perché tutto, in fondo, deve essere rappresentativo di un messaggio che era già completo, ed era la passione, morte e risurrezione di Cristo perpetuata nell’Eucaristia. E tutto deve guardare a come la Chiesa mantiene puro nel futuro questo messaggio, al di là dei sofismi, delle teorie, delle teologie e persino delle pragmatiche.

Questo libro non è, né potrebbe essere, il mio diario di quei giorni “dall’altro lato”. Ma nasce proprio da quei giorni, perché in quei giorni è scaturita una riflessione: come sarà la Chiesa del futuro? In che modo le sfide che stiamo affrontando oggi avranno un effetto su quello che sarà il popolo di Dio? E se il nome della Chiesa è Sinodo, perché in fondo synodos significa nient’altro che “camminare insieme”, in cosa e come questo Sinodo che viviamo oggi deve essere diverso da quello che abbiamo vissuto?

Sono le domande cui cerco di dare una risposta, mentre compulso l’Instrumentum Laboris del Sinodo 2023-2024, tengo da parte i documenti finali di tutte le sette assise continentali, e cerco di dare a ogni documento un senso non contingente né transeunte, ma valevole per il futuro. E, senza voler anticipare troppo di quello che si sta per leggere, mi rendo conto che la risposta si può trovare già nel passato recente. Che la Chiesa è molto di più di quello che pensiamo che sia, e che forse dovremmo avere maggiore consapevolezza di come, invece, tutto è sempre partito dal basso, dal popolo, come con le grandi cattedrali gotiche del Medioevo, oggetto di una volontà popolare di poveri che si tassavano per guardare alle cose di lassù e per dare alle cose di lassù il bello e il vero.

Era un mondo che guardava al futuro con un profilo di eternità, che voleva lasciare qualcosa per le nuove generazioni. Ed è a quello spirito, antico e sempre nuovo, che ci si deve rifare per costruire la Chiesa del futuro, e per rispondere alle dieci sfide che scaturiscono, sì, dal dibattito sinodale, ma sono sfide prima di tutto cattoliche, e dunque in questo senso valide in ogni tempo e in ogni luogo.

Andrea Gagliarducci

Un vecchio adagio del giornalismo dice
che in fondo chi dà le notizie
lo fa sempre per un motivo.
E non è sbagliato.

Foto di copertina: in anteprima la copertina del libro di Andrea Gagliarducci La chiesa del futuro. Dieci sfide per i sinodi che verranno (Città Nuova 2023, 144 pagine), in uscita il 29 settembre 2023, già in prevendita [QUI].
Il vero cuore del percorso sinodale. La questione è chiara: il processo sinodale avviato da Papa Francesco non prevede un’agenda, né conclusioni prestabilite. Piuttosto, è un’apertura di processi, a cui tutti sono chiamati a partecipare. La Chiesa in cammino voluta dal Papa si trova però ad affrontare delle sfide che saranno cruciali per il suo futuro. Quanto l’essere sinodali è infatti connaturato alla vita della Chiesa? E quale impatto su di essa potrà avere questo nuovo approccio? Il libro esplora le esperienze sinodali di oggi e del passato, delineando le sfide che il popolo di Dio sarà chiamato ad affrontare nei prossimi anni.

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