100 anni fu ucciso dai fascisti don Minzoni
“La Parola di Dio ‘conta i passi del nostro vagare’ e li illumina per aiutarci a camminare, come oggi in questa importante e cara memoria di un cristiano e di un sacerdote, don Giovanni Minzoni, nel centenario del suo barbaro assassinio. Ci parla di odio e ci aiuta a comprendere le conseguenze delle nostre scelte”.
Così il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha ricordato l’amore ‘politico’ di don Giovanni Minzoni, a 100 anni dalla sua uccisione da parte dei fascisti e per questo è un martire e testimone della fede, tanto da essere candidato agli altari in occasione dell’apertura della causa di beatificazione del parroco di Argenta (Ferrara) nel Duomo della città durante la Messa per il centenario della morte, concelebrata con gli arcivescovi di Ravenna-Cervia, mons. Lorenzo Ghizzoni, e di Ferrara-Comacchio, mons, Giancarlo Perego, ed i vescovi di Forlì-Bertinoro, mons. Livio Corazza, e di San Marino, mons. Andrea Turazzi.
Nell’omelia il presidente della Cei ha precisato il motivo dell’odio anticristiano: “Il mondo non ci odia quando ci parliamo addosso, tiriamo verità ridotte a pietre che non colpiscono nessuno, quando svuotiamo di libertà e forza l’amore chiesto dal Vangelo, rendendolo terapia per un ‘io’ che cerca di ridurre a fatto privato, anche Dio.
Il mondo odia la luce e così la teniamo nascosta, sotto il moggio, con una vita spenta di amore. L’apostolo, però, è chiarissimo: chi non ama rimane nella morte. L’amore si riconosce ‘nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi’.
Chi ama non usa l’amato, non lo possiede, non gioca con le parole e con i sentimenti, non si esibisce, non si accontenta di dichiarazioni facili ma dona tutto, come Gesù, l’amato che ci tratta da amici anche quando non lo siamo e ci insegna ad amare anzitutto amandoci”.
L’amore è vero, quando dà la vita: “L’amore non è mai mediocre, perché è dare la vita. Gesù ci chiede di farlo tutti e a tutti, perché il prossimo non è una categoria o un numero chiuso e l’amore rende tutto prezioso e bello. Gesù ama tutti, certo, ma sempre stando dalla parte della persona, contro chi odia. Non si conciliano l’odio e l’amore!
L’amore è tutt’altro che un sentimento vago, etereo, psicologizzato, talmente soggettivo da diventare un labirinto, che fornisce rassicurazioni senza sforzo. Esso si misura con le relazioni e gli incontri di ciascuno, con le domande che il mondo ci pone”.
Quindi l’amore è liberante: “Siamo amici, quindi liberi, non servi che non possono fare altro. Ecco, è solo questo amore che spiega le scelte e la testimonianza di don Minzoni, prete appassionato, amante della Patria, pastore creativo e fedele, uomo di preghiera e attento ai problemi concreti che aveva imparato ad affrontare in quella scuola di amore concreto che fu la scuola sociale di Bergamo, con un amore preferenziale per i poveri e i piccoli”.
Riprendendo le parole di san Giovanni Paolo II, pronunciate nel 1990, il card. Zuppi ha precisato la consistenza della sua testimonianza: “E’ morto per amore, perché per amore di Dio e del suo popolo ha affrontato il male, difeso il Vangelo e donato la vita, consapevole dei rischi. Posto di fronte alla stretta finale, rispose: ‘Sono pronto a morire’.
Questa è la libertà del cristiano e del testimone, cioè del martire, che non è un eroe, ma una persona che ama più delle sue paure e che non teme di entrare in conflitto con le ideologie totalitarie e neopagane, evidenti o nascoste, con chi calpesta la persona, qualsiasi essa sia, ovunque e sempre. Il cristiano distingue il peccato dal peccatore e non combatte il secondo pensando così di contrastare il primo, ma ama il peccatore proprio perché solo amando combatte il peccato”.
E’ morto perché ha amato la Chiesa: “Egli fu martire dell’amore per la sua comunità, parroco senza riserve, totalmente donato alla sua gente, che volle una comunità parrocchiale aperta e sbilanciata sulla carità. Prendeva sul serio la parola del Vangelo e l’Eucaristia, la preghiera quotidiana che lo sosteneva e le sfide sociali che lo coinvolgevano, perché è proprio vero che chi prega ‘supera la paura e prende in mano il proprio futuro’. Nell’infamia del sospetto e delle accuse ad arte fatte crescere per isolarlo dalla Chiesa e da tutto il popolo, si disse che ‘faceva politica’ e che quindi in fondo se l’era cercata”.
E’stato un amore, che si è trasformato in politica: “Se è così il cristiano se la cerca sempre perché chiamato a un amore incarnato, nella storia, senza limiti; perché chiamato a un amore libero da ogni ideologia e da quegli ‘ismi’ che intossicano i cuori, a iniziare dal primo, il più banale e pericoloso: l’egoismo. Il suo amore per il Vangelo e per la sua comunità diventò amore politico, con l’adesione alla Democrazia Cristiana e al partito Popolare, promuovendo l’Unione professionale, la cooperativa agricola cattolica, la cassa rurale.
Per don Minzoni mettere in pratica il comandamento dell’amore significò educazione, cioè la creazione di un oratorio per i ragazzi e i giovani disorientati del Dopoguerra, alla ricerca di un ‘padre’ e di valori stabili, evangelici, trascendenti, ben oltre le ideologie circolanti.
Da questa carità educativa fece sgorgare il suo impegno per la nascita e la crescita dell’Azione Cattolica prima e poi dello scoutismo per i ragazzi e i giovanissimi, come anche una attenzione speciale alla formazione delle donne, inventando forme di catechesi per gli adulti e per la famiglia, organizzando la pastorale giovanile, avviando il doposcuola, la biblioteca circolante, il teatro, il cinema”.
Dopo il ricordo di alcuni episodi illuminanti ha concluso l’omelia con l’invito a ricordare il suo gesto d’amore: “Don Giovanni Minzoni è parte di questa luminosa schiera di amici di Dio e ci insegna la forza dell’amore cristiano che non teme l’odio del mondo, seme di vita che non finisce, amico di Cristo, mai servo di idoli e ideologie, ma fratello dei più piccoli, attento a costruire quel mondo dove tutti sono fratelli”.