Da Catania mons. Renna invita a prendersi cura
Giovedì 17 agosto Catania ha festeggiato l’897^ anniversario della traslazione da Costantinopoli delle reliquie della Santa Patrona, Vergine e Martire Agata con un invito a prendersi cura di sé stessi, delle relazioni familiari, delle relazioni sociali, come gli apostoli della prima comunità di Gerusalemme, come ha sottolineato nell’omelia l’arcivescovo, mons. Luigi Renna:
“La Parola di Dio e il racconto della ‘Passione di sant’Agata’ ci illuminano in modo particolare su ciò che è necessario per la nostra vita di credenti. Abbiamo ascoltato nella prima lettura un brano degli Atti degli apostoli, che ci narra del prodigio operato da Pietro e Giovanni alla Porta Bella del Tempio di Gerusalemme: mentre stanno per varcare la soglia del Tempio li ferma un paralitico che chiede loro l’elemosina”.
In questo caso l’apostolo Pietro risponde con l’annuncio del Vangelo: “Pietro risponde che non ha né argento né oro da dargli, ma piuttosto la potenza che viene dal Signore Gesù; quindi lo prende per mano e lo guarisce nel nome del Signore.
L’apostolo Pietro, a cui Gesù Cristo ha affidato il compito di confermare nella fede i suoi fratelli, così dà inizio ai miracoli che, in continuità con quelli narrati dal vangelo secondo Luca, confermano la predicazione della Chiesa e sostengono nella fede i credenti in mezzo a persecuzioni e difficoltà di ogni tipo”.
Ed anche la patrona della città ha sperimentato questa cura, quando era gravemente malata: “Come non rileggere alla luce di questo brano della Scrittura l’episodio narrato nella Passione di Sant’ Agata, nel quale, alla nostra giovane Martire, prostrata dai supplizi e orribilmente mutilata di una mammella, in carcere appare un uomo anziano, che professa di essere un medico. Vuole curarla, ma Agata rifiuta ogni soccorso umano”.
Per l’arcivescovo nota che la guarigione è avvenuta grazie all’intercessione di san Pietro: “San Pietro che fa camminare uno storpio nel nome di Cristo e restituisce l’integrità al corpo torturato di Agata. E’ quello che la Chiesa e ogni cristiano continuano a fare: prendersi cura, non tanto con cospicue risorse, ma con la carità che Cristo ispira e sostiene.
E’ questo un momento storico in cui l’umanità è ferita da mali che la fanno sanguinare: la guerra in Ucraina che imperversa da molti mesi, la morte di molti migranti che cercano di raggiungere l’Europa su mezzi di fortuna, il cambiamento climatico che costringe ad una revisione degli stili di vita e di sicurezza”.
E’ un invito a prendersi cura di quello che Dio affida: “Tali emergenze richiedono che, come Pietro, ci prendiamo cura di ciò che Dio ci ha affidato, i nostri fratelli e il creato. Ma oggi vogliamo volgere lo sguardo alla nostra Catania, consapevoli delle sue ferite e con la fiducia che il Signore si prende cura di lei.
Noi sentiamo sant’Agata come una sorella maggiore che ha fede in Dio quando confessa che ha come medico il Signore Gesù, e guardiamo a San Pietro, a colui che guarisce nel nome di Cristo: costui è un modello da imitare, non per riporre fiducia solo nelle forze, ma in quelle interiori che ci vengono dalla fede, dalla speranza e che si traducono in carità”.
Innanzitutto è un invito alla cura della propria persona: “La cura di noi stessi non è una forma di narcisismo, ma di attenzione al nostro rapporto con Dio e di vigilanza sui nostri sentimenti, perché siano sempre animati da fede e da carità, mai da un amore smodato del proprio ‘io’ che diviene egoismo e inquina le migliori intenzioni: un filosofo contemporaneo ha affermato che l’uomo non è un essere che ha cura, ma che è cura, perché la cura è anzitutto un modo di essere”.
La cura personale ha bisogno anche di un rapporto con Dio: “Trovare nella nostra vita lo spazio per dialogare con Dio, per nutrirci del cibo solido della Sua Parola, saper vivere serenamente quel discernimento che mette da parte ciò che può far male a noi e agli altri, sono gli esercizi più nobili che può fare il nostro cuore.
E’ bello elevare le nostre ovazioni a sant’ Agata, quasi gridare con impeto la nostra devozione; ma è ancora più bello raccogliersi in preghiera silenziosa e celebrare i sacramenti di salvezza, soprattutto quel sacramento che ci guarisce interiormente dal peccato, la confessione”.
Però questa cura personale è anche cura verso gli altri: “La cura degli altri è soprattutto rivolta a coloro verso i quali abbiamo delle responsabilità di primo piano, i nostri familiari. A volte vediamo deturpate le relazioni con forme di violenza che ci fanno chiedere se sono state messe in atto da cristiani ed essere umani:
sono le forme estreme che scaturiscono ad esempio in minacce e percosse verso la propria moglie, in femminicidio, uxoricidio, omicidio di una persona con la quale si stava vivendo una relazione che con leggerezza si chiama amore.
No, quello non è amore: è violenza e va denunciata. E se uno veste il sacco e usa violenza alla moglie, sappia che fa un oltraggio non solo a sua moglie, ma a sant’ Agata: deve convertirsi”.
Un rilievo particolare dell’omelia è stato dato alla cura dei genitori verso i figli: “Voglio ancora ritornare però sulla cura dei genitori verso i figli più piccoli. Lo scorso anno ho visitato molte scuole del territorio della nostra Arcidiocesi, ed ho potuto constatare la dedizione dei dirigenti e degli insegnanti, la lungimiranza della prefettura e dello stato, lo sguardo delle mamme che nelle scuole di periferia vorrebbero un futuro diverso per i loro bambini…
Quanta cura dovete avere cari genitori: se lo scorso anno vi ho chiesto di far indossare il grembiule di scuola ai vostri piccoli, e non solo il sacco; quest’anno vi supplico di prendervi cura dei ragazzi nell’età più delicata, quella della scuola media ed adolescenziale: fate sì che non brucino il loro futuro, soprattutto se sono ragazze”.
Ed infine l’arcivescovo ha invitato a coltivare la cura della vita sociale: “Ci prendiamo cura delle relazioni sociali? Esse passano dalla cura della cosa pubblica: se uno lega il suo impianto elettrico a quello pubblico, compie un furto agli altri, a quelli che pagano le tasse.
Come può dirsi cittadino di Catania e poi gridare ‘viva sant’Agata’? Come può farlo chi imbratta, chi vende prodotti alimentari scaduti, getta immondizie ad ogni angolo di strada e di campagna?
Perché i tanti onesti devono pagare l’umiliazione della cattiva fama a causa dell’irresponsabilità di alcuni irresponsabili?.. Sogniamo insieme un modo diverso di amare la città: amare i beni di tutti è una forma di carità sociale”.
Questa carità sociale è ben viva nei siciliani, che non si ‘addormentano’ secondo un’espressione rassegnata nel ‘Gattopardo’: “No: i siciliani vogliono la qualità della vita e hanno smentito quella frase, con i loro Pino Puglisi, Rosario Livatino, Piersanti Mattarella, Pippo Fava, Biagio Conte. Sono gli esempi del prendersi cura, sono la vera immagine della Sicilia, non quella degli stereotipi che creano alibi. Sono quelli a cui voi giovani soprattutto, chiamati dal papa a Lisbona a brillare della luce del Cristo, siete chiamati ad ispirarvi.
Prendiamoci cura della nostra città, tutti, perché il nobile nome di ‘cittadini’ che risuona al passaggio di sant’ Agata, sia confermato dalla coscienza pura di chi dice che ha fatto tutto il possibile per la sua città e perciò può gridare: ‘Viva Sant’Agata’. Vogliamo essere insieme buoni cittadini e devoti di sant’ Agata, mai una sola cosa senza l’altra.
(Foto: diocesi di Catania)