40 anni di Sermig: la bontà è sempre disarmante
“Cari amici, questo è l’ultimo appuntamento prima dell’estate e desidero dedicarlo all’Arsenale della Pace: il prossimo 2 agosto ricorderemo 40 anni dall’inizio. Ricordo di quei mesi la trepidazione e l’intensa preghiera alla Madonna. Ricordo la sera in cui seppi che ci volevano escludere dalla consegna dell’Arsenale. Ero a casa e, mentre pregavamo, chiesi a Maria di aprire la Bibbia a pagina 1640 (era una vecchia edizione della Bibbia). Mi lesse alcuni versetti del profeta Isaia (44, 24-28) e capii che non ci dovevamo arrendere”:
con queste parole inizia la lettera che nel mese di maggio Ernesto Olivero, fondatore del Servizio Missionario Giovanile di Torino, ha scritto agli ‘amici’ per ricordare i 40 anni trascorsi dal 2 agosto 1983, giorno dell’ingresso in quell’immenso spazio abbandonato, quale era allora l’Arsenale militare della città.
E’ un ricordo, quello di Ernesto Olivero, che sottolinea l’abbandono al ‘sogno’ di Dio: “Ricordare oggi quei momenti, a quarant’anni di distanza, ci aiuta ad entrare tutti, i più vecchi e i più giovani, nell’abbandono totale a Dio. Solo se siamo abbandonati capiremo il dono che ci ha fatto. Solo Lui poteva farci il dono dell’Arsenale, solo Lui poteva fidarsi di un pugno di ragazzi come eravamo e farci questo dono. Solo Lui ci può dare futuro.
Il mattino del 2 agosto 1983 entravamo all’Arsenale per la prima volta. Un piccolo gruppo di cinque persone, Maria, Rosanna, Gino, Valter, io e monsignor Franco Peradotto vicario episcopale per la diocesi di Torino che avevamo voluto con noi come presenza di Chiesa.
Potevamo essere una decina in più (Claudio, Piera, Rinaldo, Anna, Pierino, Franca, Guido,Lino, Grazia, Paola..) ma questi amici erano al lavoro. Erano con noi nel cuore. Poche persone, pochi amici che insieme entravano concretamente nel sogno di Dio. Mi ricordo una frase della mia Maria: Io non ci capisco niente, ma ti vedo sereno e ti seguo”.
Ecco il motivo, per cui appena entri, trovi scritto su un muro che ‘la bontà è disarmante’, che Ernesto Olivero ci spiega: “Noi abbiamo visto all’opera la bontà. Parlare di bontà non significa fare poesia, tutt’altro, ma entrare in una concretezza radicale. E’ la bontà di milioni di giovani e adulti che ha ‘disarmato’ il vecchio arsenale di Torino, senza fare differenze di religione, cultura, stato sociale. Questa bontà abbatte i muri, disarma i cuori, anche quelli più duri.
Nella nostra storia lo abbiamo sperimentato più volte. La bontà è l’unica chiave per dialogare con l’uomo. Solo la bontà trasforma, avvolge il dolore della storia e delle persone, ma soprattutto alimenta una visione di speranza senza fine. La bontà non è automatica, ma quando provi a viverla, lentamente e decisamente ti cambia: il carattere, le tue punte, il tuo sguardo. Ti porta in terreni che non avevi messo in conto”.
Dopo 40 anni cosa è il Sermig?
“Difficile dirlo in poche parole. Se dovessi definirlo parlerei del sogno di un gruppo di persone normalissime con il desiderio di costruire un mondo migliore, rimanendo semplicemente cristiani. Questo è il cuore. Il resto sono i tanti progetti di bene che gli Arsenali promuovono in ogni continente, case di accoglienza, aiuti umanitari, proposte per i giovani. Tutto possibile grazie all’aiuto di chi da tanti anni accetta di restituire tempo, risorse, professionalità, ideali”.
Cosa vuol dire infondere la speranza?
“Non so definire la speranza, ma so dire cosa dà speranza. Ad un certo punto della vita ho capito che di fronte a un dolore, a una lacrima, ad un problema, possono esserci due atteggiamenti. Due frasi: ‘Che pena!’ oppure ‘Cosa posso fare?’ Quando ci mettiamo in gioco a livello personale, quando accettiamo di farci prossimi, di essere vicini, ecco che diventiamo strumenti di speranza.
Davvero, non avrei mai immaginato che l’Arsenale potesse diventare un riferimento per così tante persone così diverse: ex terroristi che volevano riconciliarsi con la società, malati che non volevano morire disperati, donne che cercavano un appoggio per non dover abortire, giovani inchiodati a dipendenze infami che con lo sguardo ti consegnavano la loro sete di cambiamento.
Non solo, donne violentate che bussavano nel cuore della notte, gente che voleva cambiare vita accettando un metodo e una severità, profughi perseguitati per le loro idee politiche o religiose. Tutti vicini, tutti presenti, tutti nel cuore nostro e di Dio, nel segno proprio della “bontà disarmante”.
Torino e Pecetto Torinese in Italia, San Paolo in Brasile, Madaba in Giordania: per quale motivo la scelta di ‘creare’ Arsenali nel mondo?
“Non abbiamo mai preso delle decisioni a tavolino. Ogni progetto, compresi gli Arsenali in Brasile e in Giordania, sono nati da imprevisti accolti, situazioni che abbiamo incrociato, uomini e donne di Dio che abbiamo incontrato.
Tutto è nato nel discernimento, ma a monte di tutto c’è sempre stata il desiderio di essere disponibili e fare la volontà di Dio. In tutti questi anni, abbiamo capito che molte volte questa volontà passa dal campanello, dalla situazione che ti si presenta alla porta, da un pezzo di mondo che ti entra in casa”.
Quale posto occupa la preghiera nella vita del Sermig?
“Al Sermig diciamo sempre che senza la preghiera anche il più grande ideale può sporcarsi, entrare nell’abitudine, adagiarsi. La preghiera cambia lo sguardo sulle cose, ti aiuta ad amare, rende tutto preghiera. Per noi questa dimensione ha assunto il nome di ‘spiritualità della Presenza’. Anche in una vita complicata e frenetica ci si può e ci si deve sentire sempre alla presenza di Dio. Uso un’immagine che per me è anche una preghiera: ‘Io la vela, Tu il vento!’
La vela che vuole catturare il vento sta sempre in alto aperta, distesa e non importa se mostra i buchi di qualche incertezza o di qualche infedeltà. Se non c’è la vela il vento non ci porta al largo: Dio è il vento, io la vela. Da parte sua, l’amore resta sempre amore, come la vela resta sempre vela. Bisogna difenderla perché, senza vela, il vento non ci porterà né al largo né a casa”.
Negli anni il Sermig ha accolto tante persone e volontari: con quale stile?
“Con lo stile di chi non vede mai ruoli, errori, posizioni sociali, ma semplicemente delle anime. Il Sermig in questi anni è stato davvero una storia di popolo e deve rimanere così. Ognuno deve sentirsi libero di impegnarsi secondo quello che sente nel cuore. C’è posto per tutti per donare prima di tutto ciò che si è.
Dico sempre che gli Arsenali chiuderebbero in tre giorni se la gente smettesse di aiutarci. Io sento che sarà sempre così, a patto di non cadere nell’abitudine e di non smettere di avvolgere tutto di preghiera e gratitudine”.
(Foto: Sermig)