Il business del calcio ignora i giovani “dilettanti”

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“Il problema è che i nostri giovani fanno fatica a imporsi e a farsi vedere. Noi non dobbiamo abbandonarli, ed è quello che stiamo facendo, ma dobbiamo anche riflettere sulla realtà e capire perché fanno fatica, se hanno limiti tecnici e di personalità, se non sono in grado di reggere certi confronti”. E’ con questo laconico messaggio che il commissario tecnico della Nazionale di calcio italiana, Cesare Prandelli, descrive uno dei momenti meno esaltanti per il calcio nostrano. Un grido d’allarme – se volete – per il futuro calcistico dei nostri giocatori, per le loro società e – in vista dei prossimi mondiali in Brasile (giugno-luglio 2014) – per la nostra Nazionale. “Io ho cercato di proporre molti giovani – prosegue Prandelli – e non potendo fare degli stage, li ho impiegati nelle gare che contano. C’è chi ha fatto bene, chi meno, io devo tener conto di questo e fare delle scelte”.

Le osservazioni del mister Prandelli nascono dalla presenza record di giocatori stranieri nel campionato di calcio italiano.“E’ un dato che impone una riflessione, non soltanto ai media ma anche a livello di programmazione – ha detto Prandelli – se io fossi un presidente di club, penserei a lavorare sui giovani per cercare di portarli in prima squadra, e completerei il programma inserendo giocatori stranieri, bravi”.

Purtroppo è il mercato, o meglio il denaro, a dettare le “regole del gioco”! Oggi per molte società calcistiche il vecchio adagio “l’importante è partecipare” non esiste più. Il gioco ne vale la candela, soprattutto se la società continua ad investire ingenti somme di denaro, ma solo ed esclusivamente per “vincere”. Se a fondamento di tutto c’è questa esigente prerogativa, bisogna allora costruire squadre inevitabilmente vincenti. Di conseguenza c’è troppo poco tempo per far crescere nuovi campioni e la soluzione degli stranieri si trova invece dietro l’angolo e a portata di mano. Campioni già pronti, con stimoli e rivalse maggiori nei confronti della collettività. I nostri giovani rimangono, così, nel mondo del calcio, gli eterni immaturi, con limiti tecnici e di personalità come dice Prandelli, non sufficientemente stimolati a dare il meglio di se stessi, “sconfitti” in partenza potremmo dire, perché in pochi scommettono sulla loro formazione.

“Nel gioco, – diceva recentemente Papa Francesco alle delegazioni delle squadre nazionali di calcio di Italia e Argentina – quando siete in campo, si trovano la bellezza, la gratuità e il cameratismo. Se a una partita manca questo perde forza, anche se la squadra vince. Non c’è posto per l’individualismo, ma tutto è coordinazione per la squadra. Forse queste tre cose: bellezza, gratuità, cameratismo si trovano riassunte in un termine sportivo che non si deve mai abbandonare: “dilettante”, amateur. E’ vero che l’organizzazione nazionale e internazionale professionalizza lo sport, e dev’essere così, ma questa dimensione professionale non deve mai lasciare da parte la vocazione iniziale di uno sportivo o di una squadra: essere amateur, “dilettante”. Uno sportivo, pur essendo professionista, quando coltiva questa dimensione di “dilettante”, fa bene alla società, costruisce il bene comune a partire dai valori della gratuità, del cameratismo, della bellezza”. Mentre ai dirigenti il Pontefice ricordava: “Lo sport è importante, ma deve essere vero sport! Il calcio, come alcune altre discipline, è diventato un grande business! Lavorate perché non perda il carattere sportivo. Anche voi promuovete questo atteggiamento di “dilettanti” che, d’altra parte, elimina definitivamente il pericolo della discriminazione. Quando le squadre vanno per questa strada, lo stadio si arricchisce umanamente, sparisce la violenza e tornano a vedersi le famiglie sugli spalti”.

Nel mondo del pallone, manca davvero la figura dell’«amateur», del dilettante, come dice il Papa, capace di costruire il bene comune a partire dai valori della gratuità, del cameratismo, della bellezza. “Il senso del calcio – affermava il campione olandese Johan Cruijff – è che vinca il migliore in campo, indipendentemente dalla storia, dal prestigio e dal budget”.

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