La Santa Sede ha bloccato il documento “sulla scomunica ai mafiosi” perché “le priorità sono altre”

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 10.07.2023 – Vik van Brantegem] – Una notizia che appare difficile a credere che sia vera e incomprensibile. Risulta comunque totalmente inaccettabile. La conferma viene da Ilfaroonline.it [QUI]: la Santa Sede ha bloccato il documento “sulla scomunica ai mafiosi” perché “le priorità sono altre”. Che un Gruppo di lavoro “sulla scomunica ai mafiosi” era stato costituito per volontà di Papa Francesco dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale presieduto dal Cardinale Peter Turkson, fu annunciato Il 9 maggio 2021, nel giorno della beatificazione di Rosario Livatino, il giudice siciliano ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990. Poi, tra le tante commissioni di questo pontificato, propria questa risulta essere “non prioritaria”. Il ripensamento dopo il cambio di guida al Dicastero.
Fabio Beretta ha scritto l’8 luglio 2023 su Ilfaroonline.it, che il gruppo di esperti incaricati per redigere un documento “sulla scomunica ai mafiosi” «non si riunisce da mesi perché secondo il Cardinale “il problema è solo italiano e le priorità sono altre”».
Lo aveva anticipato Giacomo Galeazzi già il 21 gennaio 2023 su Lastampa.it, senza ricevere la dovuta attenzione: «Scomunica ai mafiosi, i vescovi la chiedono, il mondo la invoca ma il Vaticano frena. Ecco perché la sanzione fa paura. Ostacoli e ritardi nel giro di vite canonico in preparazione contro la criminalità organizzata. Gli effetti del cambio alla guida del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale».
Le parole riferite ieri da Fabio Beretta sono state dette ai membri del Gruppo di lavoro dai vertici del Dicastero: «In Vaticano, infatti, tutte le attenzioni – in particolare quelle del suddetto Dicastero – sono rivolte ai confini est dell’Europa, dove infuria il conflitto tra Russia e Ucraina. Per carità, una guerra non è un problema da sottovalutare. Tutt’altro. Ma, a quanto pare, è il Cardinale Michael Czerny, gesuita, a sottovalutare il problema della mafia. Infatti, è proprio dalla sua nomina a Prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale che la Commissione non viene più convocata. Formalmente non è stata sciolta, ma ad oggi non vi sono più riunioni perché secondo il porporato quello della mafia “è una questione solo italiana”. Parole che fanno male e che nei fatti sono smentite. Quello della mafia non è un problema che riguarda solo l’Italia. Con i loro tentacoli, le organizzazioni mafiose sono riuscite a prosperare in diverse nazioni, in Europa e non. Tant’è che diversi Conferenze Episcopali, soprattutto dall’America Latina, hanno chiesto aiuto al Vaticano su come comportarsi riguardo al peccato di mafia. Una definizione universale, infatti, non esiste. La Commissione era al lavoro proprio su questo. La scomunica pronunciata da Papa Francesco nella piana di Sibari traccia sì un confine netto tra religione cattolica e mafia ma, secondo alcuni canonisti, senza una definizione universale del peccato la scomunica non può essere effettiva. Ed è proprio a questo che la Commissione stava lavorando. Era anche pronto un documento di ben 4 pagine che però al Pontefice non è mai stato presentato perché, appunto, il “problema non è universale”. Eppure, sono state circa trenta le Conferenze Episcopali di tutto il mondo che hanno chiesto aiuti alla Santa Sede. Ma il Dicastero non ha risposto, ignorando anche l’aiuto di questi Vescovi che si erano proposti di collaborare in seguito a una lettera del Cardinal Turkson, Prefetto del medesimo Dicastero fino al 2021. Ricapitolando: il documento sulla scomunica ai mafiosi è pronto ma manca l’ok del Pontefice perché uno dei collaboratori più stretti dello stesso Bergoglio ritiene quello della mafia un problema “minore”. Eppure, l’Italia – e non solo – la guerra contro la mafia, iniziata anni fa, continua a combatterla. Lo Stato piange ancora oggi i suoi caduti. La Chiesa stessa li venera come martiri (basti pensare a don Pino Puglisi o al giudice Livatino). Cosa si aspetta allora per agire? Qualcuno dalla Commissione ci dice che il discorso potrebbe essere ripreso dal Dicastero finita l’emergenza della guerra in Ucraina. Che dire, un’occasione sprecata».
Come ricorda Beretta, durante la sua visita in Calabria, Papa Francesco aveva affermato che i membri della criminalità organizzata erano fuori dalla Chiesa, scomunicati. Il 21 giugno 2014 nell’omelia della Santa Messa nella Piana di Sibari: «Quando non si adora Dio si diventa adoratori del male. La ‘ndrangheta è adorazione del male. E il male va combattuto, bisogna dirgli di no. La Chiesa deve sempre più spendersi perché il bene possa prevalere. I mafiosi sono scomunicati, non sono in comunione con Dio. (…) Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione. Quando non si adora il Signore – infatti – si diventa adoratori del male, come lo sono coloro che vivono di malaffare, di violenza, la vostra terra, tanto bella, conosce le conseguenze di questo peccato. La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato, bisogna dirgli di no. La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre più spendersi perché il bene possa prevalere. Ce lo chiedono i nostri ragazzi. Ce lo chiedono i nostri giovani, bisognosi di speranza. Per poter rispondere a queste esigenze, la fede ci può aiutare».
In una nota Scomunica per i mafiosi del 17 novembre 2017 [QUI], l’Arcivescovo di Monreale, Mons. Michele Pennisi, ha scritto, concludendo: «La scomunica per i delitti di mafia che i Vescovi della Sicilia hanno deciso di comminare a coloro che se ne macchino, è una legge penale particolare che proviene dalla loro potestà legislativa e che ha forza solo nell’ambito delle Chiese particolari della Sicilia dove quei Vescovi diocesani esercitano la loro giurisdizione. Ormai il fenomeno mafioso nei molteplici aspetti e nelle diverse nomenclature è molto diffuso e va oltre i confini della Sicilia e dell’Italia stessa fino a radicarsi in territori una volta insospettabili e in tutti gli ambiti legati soprattutto al potere economico: mercato della droga, sfruttamento della prostituzione, vari tipi di racket dall’usura al pizzo fino alle onoranze funebri, edilizia, attività commerciali, infiltrazioni nella vita politica e gestione del potere a livello locale e nazionale ecc. ecc. In questo senso assume grande rilievo che il Papa Francesco, in quanto legislatore universale, abbia ben delineato i comportamenti delittuosi della mafia e della ’ndrangheta e annunciato la scomunica per i mafiosi. Ciò che appare evidente è che l’intervento del Papa, in alcuni passaggi pronunciati anche a braccio, vede ogni associazione malavitosa assimilata a quella di mafia e di ’ndrangheta, come un’unica categoria da condannare senza limiti o differenziazioni territoriali. Non sarebbe comprensibile che un delitto di stampo mafioso nelle Diocesi della Sicilia venga punito con la scomunica, mentre se commesso in un’altra regione possa restare indifferente alla pena non essendoci una stessa sanzione canonica. Questo vuoto normativo a livello universale lo si può comprendere con la difficoltà che si è avuto nel conoscere i meccanismi con cui il malaffare legato a questa tipologia di associazioni criminali abbia potuto insinuarsi e radicarsi in tutti i gangli della società, ovunque, sia dal punto di vista territoriale nazionale e internazionale che da quello del coinvolgimento di persone insospettabili anche moralmente, a volte espressione di livelli istituzionali più alti della Stato».
Il 17 giugno 2017 una nota del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale sulle conclusioni del primo Dibattito Internazionale sulla Corruzione” rivelò, che un documento della Chiesa universale era in preparazione. Si “approfondirà” la possibilità di scomunicare “per corruzione e associazione mafiosa”, si leggeva. Il gruppo di lavoro che ha dato vita al Seminario sulla corruzione aveva provveduto “all’elaborazione di un testo condiviso che guiderà i lavori successivi e le future iniziative. Tra queste, si segnala al momento la necessità di approfondire, a livello internazionale e di dottrina giuridica della Chiesa, la questione relativa alla scomunica per corruzione e associazione mafiosa”. All’incontro in Vaticano avevano partecipato anche quattro importanti magistrati italiani: il Presidente dell’anticorruzione Raffaele Cantone, il Capo della Dia Franco Roberti, il Procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e il Procuratore aggiunto Michele Prestipino.
Qualche settimana prima del viaggio in Calabria, partecipando alla veglia per le vittime innocenti della mafia, organizzata alla parrocchia romana di San Gregorio VII dall’associazione Libera di Don Luigi Ciotti, Papa Francesco aveva chiesto “in ginocchio” ai mafiosi di convertirsi “per non finire all’inferno”. Parole che evocarono l’anatema di San Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi ad Agrigento, il 9 maggio 1993: «Dio ha detto una volta: non uccidere. Non può uomo, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio». Rivolgendosi poi direttamente ai mafiosi disse: «Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è via, verità e vita lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!». A cui era seguita la definizione della mafia come “strada di morte”, pronunciata da Benedetto XVI il 3 ottobre 2010 a Palermo nella la sua prima e unica visita pastorale in Sicilia durante il suo Pontificato. Dopo aver ricordato le vittime della mafia, come Don Pino Puglisi, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in Piazza Politeama incitò i giovani a non avere paura della criminalità organizzata: «Non cedete alle suggestioni della mafia, che è una strada di morte, incompatibile con il Vangelo».
Il 9 maggio 2021, nel giorno della beatificazione di Rosario Livatino, il giudice siciliano ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990, Papa Francesco ha rilanciato la scomunica: «Non solo appelli, anche una condanna nei testi della Chiesa». «Per onorare il primo magistrato beato nella storia della Chiesa, che ha esercitato coraggiosamente la professione come missione laicale, è stato costituito un Gruppo di lavoro “sulla scomunica alle mafie”». Il gruppo di esperti era già al lavoro, con il compito di «approfondire il tema, collaborare con i vescovi del mondo, promuovere e sostenere iniziative», perché Il Papa voleva che la scomunica sia estesa a tutte le mafie, non solo quelle italiane.
«Per onorare Rosario Livatino, primo magistrato beato nella storia della Chiesa, che ha esercitato coraggiosamente la professione come missione laicale, presso il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale è stato costituito un Gruppo di lavoro sulla “scomunica alle mafie”, con l’obiettivo di approfondire il tema, collaborare con i Vescovi del mondo, promuovere e sostenere iniziative». Lo comunicava una nota del Dicastero, in coincidenza con la cerimonia di beatificazione ad Agrigento. Vatican News sottolineava che l’iniziativa era «un ulteriore passo dell’impegno su queste tematiche del Dicastero presieduto dal Cardinale Peter Turkson che aveva già dato vita, nell’agosto 2018, a una rete globale internazionale contro corruzione, criminalità organizzata e mafie».
«La Chiesa ha fatto passi avanti nel percorso contro la mafia, ma bisogna fare uno scatto ulteriore. Le organizzazioni mafiose usano la religione come strumento di consenso e di potere. È allora necessario che ci siano pronunciamenti non solo verbali, ma scritti. Per dire in maniera chiara che la Chiesa taglia i ponti con la mafia», ha detto Don Luigi Ciotti, spiegando che il Gruppo di lavoro voluto dal Papa stava lavorando non solo all’inserimento della scomunica nei testi della Chiesa, ma anche ad alcune iniziative: «Nelle carceri, nei vari contesti c’è bisogno di una condanna forte del fenomeno, ma anche di una nuova pastorale». Un lavoro che era partito dalle parole di Papa Francesco che già nel 2015 ribadiva l’appello alla conversione per i mafiosi: «C’è già una scomunica di fatto, che entra in vigore a prescindere dalla scomunica de iure». Don Ciotti ha sottolineato che le parole pronunciate dall’altare, soprattutto nelle regioni meridionali, hanno segnato una chiara incompatibilità fra Vangelo e mafia. «Ma queste parole devono andare anche oltre, il Papa vuole che raggiungano la Chiesa universale, che non ha queste prese di posizione nella dottrina sociale o nel diritto canonico o nel catechismo». Ecco, fu detto, che allora gli appelli diventeranno presto dei testi ben precisi, per rilanciare l’impegno della Chiesa contro tutte le mafie del mondo.
Il Gruppo di lavoro “sulla scomunica alle mafie” era composto da Don Luigi Ciotti, il Presidente di Libera; l’ex Procuratore capo di Roma, Presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, Giuseppe Pignatone; l’officiale del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, Prof. Vittorio V. Alberti, coordinatore; l’Arcivescovo di Monreale, Mons. Michele Pennisi; l’ex Presidente della Commissione antimafia, Rosy Bindi; il docente della Pontificia università Lateranense, Don Marcello Cozzi; l’Ispettore generale dei Cappellani delle carceri, Don Raffaele Grimaldi; l’officiale del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, Ioan Alexandru Pop.
Il Coordinatore del Gruppo di lavoro sulla “scomunica alle mafie”, Prof. Vittorio V. Alberti ha spiegato a Vatican News gli obiettivi: «Vogliamo sia chiaro che non è possibile appartenere alle mafie e far parte della Chiesa».
L’intervista di Fabio Colagrande al Prof. Vittorio V. Alberti, Coordinatore Gruppo di lavoro sulla “scomunica alle mafie” – Vatican News, 9 maggio 2021 [QUI]
Alberti: La commissione è stata costituita proseguendo il lavoro che avevamo iniziato quattro anni fa su mafia e corruzione. A un certo punto, infatti, ci siamo resi conto che nella Dottrina sociale della Chiesa, nel Diritto canonico, nel Catechismo non si fa menzione della scomunica ai mafiosi. Quindi, per rafforzare la scomunica, i pronunciamenti e il magistero di Papa Francesco su questo tema abbiamo pensato che occorreva intervenire. Di qui la creazione del gruppo di lavoro.
Colagrande: Su quali aspetti lavorerete?
Alberti: Intanto vogliamo sensibilizzare, creare una contro mentalità seria su questi temi. Approfondiremo, faremo rete, perché abbiamo la necessità di collaborare con l’episcopato mondiale, proprio perché manca una specifica dottrina della Chiesa universale e quindi dobbiamo collaborare e sostenere i vescovi del mondo che già lavorano su queste tematiche. Vogliamo promuovere e sostenere le iniziative in questo campo e coordinarle. L’aspetto a cui teniamo di più è quello culturale e cioè la necessità di sensibilizzare, fare rete, approfondire e promuovere questi temi per rafforzare il messaggio del Papa e eliminare definitivamente qualunque possibile compromissione di certo cattolicesimo con le mafie. Questo è un fatto storico. Poi affronteremo naturalmente l’aspetto dottrinale e quello canonistico.
Colagrande: Perché annunciare la costituzione di questa commissione proprio nel giorno della betificazione di Rosario Livatino?
Alberti: La beatificazione di Livatino è veramente un fatto epocale perché è il primo magistrato della storia della Chiesa a diventare Beato e si tratta di un laico, un laico autentico. Il riconoscimento poi da parte della Santa Sede, della Chiesa universale, del martirio di un giudice che si è mosso contro le mafie è un messaggio potentissimo per affermare che la mafia non ha nulla a che vedere con il Vangelo e quindi con la Chiesa. Quello che ci sta a cuore è, prima di tutto, affermare una volta per tutte che non è possibile nel mondo appartenere alle mafie e far parte della Chiesa. A partire da qui vogliamo poi costruire una nuova pastorale, un nuovo percorso culturale che coinvolga in primo luogo le vittime, lavorando anche nelle carceri, parlando con i detenuti e accompagnandoli per un percorso di speranza.