Preghiera e digiuno per la Siria e P. Dall’Oglio

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Preghiera e digiuno per la pace in Siria e la liberazione di padre Paolo Dall’Oglio, sequestrato circa un mese fa nell’area di Raqqa. Sono queste le intenzioni principali che verranno offerte – alla vigilia della festa liturgica di san Mosè l’Etiope – nel monastero di Deir Mar Musa, rifondato nel 1982 dal gesuita Dall’Oglio e abitato attualmente da dieci monaci di rito cattolico siriano. Ai microfoni dell’agenzia Fides padre Jaques Mourad, responsabile della comunità monastica, riferisce: “Oggi 27 agosto, vigilia della festività di san Mosè l’Etiope, festa annuale per nostra comunità e il nostro monastero, noi monaci vivremo una speciale giornata di digiuno, meditazione e preghiera, a cui parteciperanno fedeli cristiani e musulmani. Offriremo la nostra preghiera in particolare chiedendo a Dio la protezione e la liberazione del nostro confratello padre Paolo. Non sappiamo chi l’abbia rapito e non abbiamo notizie di lui. Viviamo con tristezza e trepidazione queste ore, siamo preoccupati ma restiamo nella speranza. Chiediamo a tutti i fedeli sparsi nel mondo di unirsi al nostro digiuno e alla nostra preghiera e lanciamo un accorato appello per il suo rilascio”.

Il gesuita, padre Paolo Dall’Oglio, – lo ricordiamo – si era recato a Raqqa alla fine di luglio, entrando dalla frontiera di Tell Abiad, con l’aiuto dei combattenti curdi, nel tentativo di mitigare i contrasti fra i combattenti curdi e quelli arabi e ricompattare l’unità all’interno dell’opposizione siriana. Una missione assolutamente delicata e rischiosa che da quel momento fece perdere le tracce del coraggioso sacerdote.

L’altra importante intenzione di preghiera riguarda la guerra in Siria che dura già da due anni e che ha causato la morte di oltre centomila persone (secondo i dati  i dati diffusi dalle Nazioni Unite, 5000 persone ogni mese!). Quella che è nata come una rivolta pacifica contro il governo di Bashar al Assad nel 2011, nel solco delle rivolte della Primavera Araba, è diventata una vera guerra civile che sta martoriando l’intero Paese. “Vogliamo anche impetrare da Dio – aggiunge Padre Mourad – il dono della pace per la Siria, martoriata dalla guerra. Deploriamo ogni forma di violenza, che non è mai la soluzione. Speriamo si possa avviare un dialogo e una nuova era di riconciliazione per il popolo siriano”.

La grave situazione e l’ulteriore rischio di un attacco contro la Siria da parte di altre superpotenze mondiali, senza la copertura dell’ONU, ha spinto nei giorni scorsi Papa Francesco a lanciare un accorato appello perché si fermi il rumore delle armi. “Non è lo scontro – afferma il Pontefice – che offre prospettive di speranza per risolvere i problemi, ma è la capacità di incontro e di dialogo. (…) Faccio appello alla Comunità Internazionale perché si mostri più sensibile verso questa tragica situazione e metta tutto il suo impegno per aiutare la amata Nazione siriana a trovare una soluzione ad una guerra che semina distruzione e morte”.

Quella di San Mosè l’Etiope – la cui ricorrenza liturgica è stata scelta dai padri di Deir Mar Musa  per offrire una giornata di digiuno e preghiera – è la  storia di noto brigante che divenne poi un celebre anacoreta. Il martirologio romano lo ricorda il 28 agosto mentre in quello  etiopico, Mosè, è ricordato il 18 giugno. Secondo il racconto semileggendario di Palladio, uno scrittore nato in Asia Minore, Mosè, di origine etiopica e di pelle nera, era un ladrone e capo di una banda di saccheggiatori che scorazzava e incuteva terrore in alcuni territori dell’Egitto.
Rifugiatosi nel deserto di Scete, tra gli eremiti del monastero di Petra, per nascondersi dalla Legge e da alcuni inseguitori, Mosè rimase profondamente colpito dalla mitezza e dalle vite esemplari dei Padri del deserto. Lo scrittore Palladio – dopo aver descritto alcuni episodi che portarono alla conversione il feroce Brigante – racconta la “seconda biografia” di Mosè l’Etiope. Il rapinatore è diventato vero monaco e conduce una vita di preghiera eremitica. Convertì tanta gente (tra questi uno dei suoi peggiori complici, “colui che condivideva la sua colpa nei misfatti sin dalla giovinezza”), lasciando prima di morire settanta discepoli. All’età di settantacinque anni, quando i barbari attaccarono il monastero per distruggerlo, Mosè convinse i confratelli a non prendere le armi per difendersi invitandoli alla fuga.

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