Qual è l’eredità di Papa Francesco?

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 18.06.2023 – Andrea Gagliarducci] – Il nuovo ricovero di Papa Francesco ha lasciato in sospeso molti interrogativi. Ci si chiede, in particolare, quali iniziative il Papa porterà avanti e quali rimarranno invece accantonate. Viene da chiedersi quali siano i piani del Papa e se questo nuovo intervento chirurgico li abbia cambiati. Ci si chiede, soprattutto, quale sarà l’eredità di Papa Francesco. Queste domande vanno ben oltre chi sarà il prossimo Papa. C’è, ovviamente, una discussione sul possibile successore di Papa Francesco, che esiste da tempo. Non è niente di nuovo. C’è sempre stato, anche con i Papi precedenti. Diverso, invece, è il discorso sull’eredità del Papa e su ciò che il successore è chiamato a fare. Nella situazione attuale, allora, qual è l’eredità di Papa Francesco?

C’è anzitutto un collegio cardinalizio profondamente mutato. Papa Francesco ha creato due terzi dei cardinali per votare il suo successore. Il criterio del Papa è stato quello di guardare alle persone piuttosto che agli uffici o alle diocesi. Così, ci sono tanti cardinali che, in realtà, non sono usciti dalla “scuola romana” e sanno poco della Curia. Il vero problema, però, è che i cardinali non si conoscono. Vi furono solo tre Concistori per i dibattiti generali, che si svolsero nei primi due anni e nell’ultimo anno del suo pontificato. Ma l’ultimo dibattito è stato chiuso, il che ha impedito gli scambi e ha messo da parte le idee.

Papa Francesco lascia un collegio cardinalizio un po’ disperso che deve trovare il modo di unirsi. L’idea è che si veda meglio il centro dalla periferia, come diceva Papa Francesco all’inizio del suo pontificato. Tuttavia, non c’è più un centro.

Attualmente ci sono 121 cardinali elettori. Diventeranno 113 entro la fine dell’anno. Correva voce insistente che il Papa stesse per convocare un concistoro per “coprire” questo buco, superando nuovamente il numero degli elettori e segnando così ulteriormente il Collegio cardinalizio con la sua visione del mondo. Per ora il Papa non ha ancora convocato un Concistoro. Il focus è su una nuova “infornata” di cardinali in autunno, ma tutto è incerto con il Papa.

Eppure c’è una domanda. Papa Francesco non ha mai derogato formalmente al numero massimo di cardinali per un Conclave, fissato in 120 dalla Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis. Quando Giovanni Paolo II ha superato il numero, ha scritto che la decisione era “in deroga alla legislazione esistente”. Papa Francesco non ha mai accennato ad alcuna deroga. Stando così le cose, potrebbe anche darsi che il Conclave venga considerato valido solo con 120 cardinali elettori, e quindi i cardinali di più recente creazione finirebbero fuori dal Conclave.

Sono solo problemi normativi? Non esattamente. Il problema con un Conclave è che nessuno dovrebbe contestarne la validità. D’altra parte, in queste questioni non si tratta del numero dei cardinali, ma del ruolo dei cardinali in sé. Quindi, non dovrebbe esserci nessun cappello rosso escluso dal Conclave. Tuttavia, si può parlare del problema perché qualcuno ci ha pensato.

Del resto, non si sa ancora se il Cardinale Angelo Becciu possa entrare in Conclave perché sulla sua rinuncia alle prerogative cardinalizie c’è solo uno scarno comunicato della Sala Stampa della Santa Sede. Il Collegio cardinalizio, ad esempio, non ha deliberato.

E questa è la seconda eredità di Papa Francesco: la riforma. Una riforma che è rimasta legalmente incompleta e che ha richiesto diversi aggiustamenti. Papa Francesco non è un Papa di soli gesti. È un Papa che ha legiferato molto. Ma lo ha fatto soprattutto con strumenti giuridici leggeri, come il Motu proprio, e quindi basando le decisioni direttamente sulla propria volontà. Papa Francesco ritiene che la parte giuridica possa essere fissata in qualsiasi momento. La realtà è che il vuoto normativo può creare diversi problemi.

Rimane quindi una riforma probabilmente incompleta, o comunque da definire, e questo lascia spazio a chiunque possa usarla come meglio crede. Non c’è una riforma di Papa Francesco semplicemente perché la riforma è fatta di tante riforme frammentate, passi avanti e passi indietro, che rivelano che non c’era un progetto ma solo un’idea generale.

Insomma, il Papa ha fatto tante microriforme, ma il problema sarà allinearle e in qualche modo farle aderire. Ad esempio, da un lato, il Papa attribuisce un ruolo più significativo alle conferenze episcopali (ne scrive in Evangelii gaudium) e trasferisce ad esse alcune responsabilità per la traduzione dei libri liturgici. D’altra parte, il Papa appare ancora come il decisore finale. Così è anche per il cammino sinodale, che sembra volerlo anche come un grande esperimento che coinvolga il popolo di Dio.

Alla fine, la riforma del Papa vuole dare un ruolo più significativo ai laici, e per farlo tutto viene fatto dipendere dalla missione canonica. E chi dà la missione canonica? Il Papa! Si dice anche che il vescovo mantenga il suo ruolo di guida del popolo di Dio, anche se il potere non deriva più dall’essere un vescovo ordinato. Ci sono tutta una serie di contraddizioni che devono essere risolte.

È giusto dire che l’eredità di Papa Francesco rischia di essere al di sopra di ogni confusione? È legittimo pensare che dopo questo pontificato bisognerà rimettere a posto i pezzi e dare a tutto una nuova forma e struttura?

Il vero problema è che, negli ultimi anni, sembra essersi perso quel senso di romanità che ha sempre garantito l’universalità. Anche il Papa ha una prospettiva che, essendo fuori da questa idea romana, diventa realtà locale e circoscritta. Il punto di vista di Papa Francesco viene dalle sue esperienze personali, ma non è una prospettiva che guarda anche alla Chiesa universale. C’è molta America Latina nel modo in cui Papa Francesco vede la Curia.

E allora la grande sfida dopo Papa Francesco sarà quella di trovare una nuova prospettiva universale per la Chiesa che non riguardi solo le sfide sociali. Quest’ultima è una questione politica molto sviluppata in Papa Francesco. Sono infatti diffusi e parte integrante dei suoi testi, discorsi ed encicliche i suoi significativi appelli su ambiente, migrazioni, buona politica e contro la corruzione.

Forse, però, manca una concezione universale della Fede che vada al di là della pietà popolare e dei popoli, e che metta veramente al centro Cristo. Non che Papa Francesco non lo faccia. Al pragmatismo della Fede va aggiunta l’idea di Fede che permea tutte le strutture.

Invece è come se ci fosse una separazione: da una parte le riforme strutturali; dall’altra le idee sociali; e infine la Fede e la pietà popolare. Il superamento di queste dicotomie è probabilmente la sfida più significativa per la Chiesa del futuro.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese il 12 giugno 2023 sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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