«Vacche grasse e vacche magre». II cambiamento climatico è scritto perfino nella Bibbia

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 10.06.2023 – Renato Farina] – Non ricordavo questo versetto del Vangelo. È stato proposto nella liturgia ambrosiana del 6 giugno 2023, e mi ha fatto saltare sulla panca. Lo sottolineo con il corsivo. «In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «In verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone» (Luca 4, 25-26).

David Roberts, Sarepta April 27th 1839, litografia, 1843, Library of Congress, Washington.

Trascuro il contesto, e l’omelia del sacerdote sulla vedova, mi fermo al «cielo chiuso». Resto colpito dal fatto che il Nazareno non cerca cause di questa calamità in una colpa degli uomini a cui seguirebbe un castigo divino (come l’Antico Testamento riferisce a proposito del diluvio e di altri sconvolgimenti), ma constata e basta. Cerco conferme di questa osservazione assai poco antropocentrica dei fenomeni della natura. Trovo ancora l’idea dell’indipendenza della natura e dei suoi comportamenti ancora tra le righe della parabola forse più bella e famosa, quella del Figliol Prodigo, detta anche della Misericordia del Padre. Il giovane è all’estero, ha scialacquato la sua parte di eredità, ed è ridotto in miseria. «Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno». Nessuna possibilità che Gesù incolpi di questo disastro ecologico la dissipatezza del giovane, e neanche uno stratagemma ricattatorio del Padre per indurlo a rientrare nella dimora familiare. Non c’entrerebbe nulla con la tenerezza che Cristo attribuisce al cuore di Dio, e che Rembrandt esprime nel celebre dipinto esposto all’Hermitage di San Pietroburgo.

Quello che ho esposto non ha alcuna pretesa di essere l’interpretazione esegetica, autentica e certificata dei cambiamenti climatici. Non formulo nessun dogma da teologo climatico dilettante. Mi limito a circoscrivere come scemenza la pretesa di trasformare in certezza cristiana da inserire nel Credo una ipotesi scientifica che fa acqua da tutte le parti. E cioè che l’uomo tiene al guinzaglio la Natura e la conduce dove gli pare.

Il guaio è che la panzana circola come principio non negoziabile nei corsi di aggiornamento parrocchiali e nelle spiegazioni del catechismo per la prima comunione. Be’, finiamola con l’elevazione a dogma delle tesi attribuite alla profetessa Greta Thunberg e fatte proprie dalla multinazionale che dopo aver fatto affari giganteschi inquinando la Natura, ora ci obbligano a cambiare i frigoriferi e a rottamare il Diesel citando la Bibbia. Leggendo la Bibbia e i classici greci e latini (per quelli indiani e cinesi aspetto illuminazioni) è chiaro come il sole che i cambiamenti climatici, anche quelli rovinosi e assai poco armoniosi rispetto alle umane aspettative di benessere, esistono da sempre. All’uomo tocca prevenirne le conseguenze e arginarne gli effetti applicando l’intelligenza.

Sogno delle sette vacche grasse e delle sette magre, Basilica di San Marco, pennacchio seconda cupola di Giuseppe, Venezia.

Un caso preclaro è raccontato in Genesi capitolo 41. Il Faraone sogna sette vacche grasse e belle, e sette vacche magre e brutte. E Giuseppe, figlio di Giacobbe, lo interpreta. «Giuseppe disse al faraone: “… Ecco stanno per venire sette anni, in cui sarà grande abbondanza in tutto il paese d’Egitto. Poi a questi succederanno sette anni di carestia; si dimenticherà tutta quella abbondanza nel paese d’Egitto e la carestia consumerà il paese. Si dimenticherà che vi era stata l’abbondanza nel paese a causa della carestia venuta in seguito, perché sarà molto dura”». Di qui il rimedio che Giuseppe propone: «Ora il faraone pensi a trovare un uomo intelligente e saggio e lo metta a capo del paese d’Egitto. 11 faraone inoltre proceda ad istituire funzionari sul paese, per prelevare un quinto sui prodotti del paese d’Egitto durante i sette anni di abbondanza. Essi raccoglieranno tutti i viveri di queste annate buone che stanno per venire, ammasseranno il grano sotto l’autorità del faraone e lo terranno in deposito nelle città. Questi viveri serviranno al paese di riserva per i sette annidi carestia che verranno nel paese d’Egitto; così il paese non sarà distrutto dalla carestia». Non esistevano gli idrocarburi o elettrodomestici produttori di gas serra. 11 rimedio di Giuseppe non è la distruzione dell’esistenza, una sorta di palingenesi mitologica come viene proposto dalla casta dei neo-sacerdoti del clima. Nessuna magia o danze della pioggia, in questo la cultura giudaico-cristiana salta con un balzo i pregiudizi misterici dei pagani e dei post-umanisti.

La Colonna Traiana scolpisce il rito magico importato a Roma dagli Etruschi. Si tratta del “Rito della pioggia”, celebrato nell’antica Urbe dai pontefici e dai magistrati in tenuta dimessa (espiatoria) con i littori a fasci rovesciati. Erodoto, Tucidide, Tito Livio raccontano esterrefatti di terre riarse, di sette anni consecutivi senza il bene di un temporale. Anche i grandi tragici come Sofocle descrivono paesaggi riarsi e sterili.

E nel 1922 descrive gli stessi scenari Thomas S. Eliot in The Waste land, la terra desolata, sterile, consumata, senza rugiada. Ma devo informarmi, forse nel 1922 imperversavano già le auto Diesel.

Questo articolo è stato pubblicato il 7 giugno 2023 su Libero Quotidiano.

Foto di copertina: l’episodio della pioggia miracolosa, raffigurato sulla colonna di Traiano ha da sempre incuriosito, sia gli storici moderni, sia quelli vissuti nell’antichità. Il fatto storicamente si colloca ai tempi delle guerre marcomanniche, condotte dall’imperatore Marco Aurelio dal 171 al 174 d.C., dopo che i barbari avevano varcato i confini, arrivando persino a compiere alcune scorrerie sul suolo italico. Durante una battaglia, dunque, un reparto di legionari romani si ritrovò in grave pericolo, già fiaccati uomini e cavalli da giorni e giorni di carenza di acqua, i soldati finirono per giunta accerchiati dalle tribù dei Quadi e dei Marcomanni, rischiando una vera disfatta. Fortunatamente, una fortissima pioggia arrivò loro in soccorso, permettendo di placare la sete sia loro che degli animali, infondendo nei romani nuova forza, e la capacità di rovesciare le sorti di quella battaglia a loro favore, aiutati anche da una tempesta di fulmini e tuoni che terrorizzarono oltre modo i barbari che in breve tempo si dispersero.

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