L’ultimo abbraccio dei Cavalieri Costantiniani al Duca Don Diego de Vargas Machuca

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 01.06.2023 – Vik van Brantegem] – Nei giorni scorsi, in occasione di diversi incontri, le Delegazioni della Real Commissione per l’Italia e della Real Commissione per la Serenissima Repubblica di San Marino del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, hanno ricordato con preghiere e Messe a suffragio della sua anima, la figura del loro compianto Presidente, S.E. il Duca Don Diego de Vargas Machuca. Egli, spirato serenamente, ha reso la sua bella anima al Signore, giovedì 25 maggio 2023 alle ore 01.35, dopo una malattia vissuta con Fede, circondato dall’affetto dei suoi cari e munito dei conforti religiosi.

O Crux ave spes unica
Hoc Passionis tempore
Piis adauge gratiam
Reisque dele crimina

Vivit in lumine Domini

Martedì 30 maggio 2023 alle ore 14.00, come è stato annunciato [QUI], sono state celebrate more nobilium le esequie presso la Basilica Magistrale di Santa Croce al Flaminio in Roma. Come è stato ricordato [QUI], Don Diego de Vargas Machuca apparteneva ad una delle più antiche ed illustri famiglie nobili della Spagna, con più di mille anni di storia, diramatasi poi anche in Italia nel XVII secolo: 8° Duca de Vargas Machuca, 6° Marchese di Vatolla, 10° Marchese di San Vicente del Barco, 11° Conte del Porto, 18° Conte di Urgell, 27° Signore di Vargas, 12° Signore di Varguillos, Conte del Sacro Romano Impero, Gentiluomo di Sua Santità, Cavaliere dell’Insigne e Real Ordine di San Gennaro, Balì Gran Croce di Giustizia decorato del Collare.

Lo stemma di S.E. il Duca Don Diego de Vargas Machuca, d’argento a tre onde azzurre con la bordura di otto pezzi alternati di rosso al castello d’oro (Castiglia) e d’argento al leone rosso coronato d’oro (León), accollato all’aquila bicipite del Sacro Romano Impero (disegno del Cav. Marco Foppoli).

Il funerale more nobilium (letteralmente “nel segno di nobili costumi”) è una forma di cerimoniale funebre aristocratico, riservato ai defunti appartenenti ad una famiglia nobile (una forma prevalentemente italiana, fatta eccezione per la Sicilia ove non è usata, e non diffusa al di fuori dell’Italia, mentre in Spagna vi sono alcune similitudini). La tradizione fa risalire le sue origini al tempo delle Crociate, quando i cavalieri morti in battaglia erano deposti a terra, coperti dal loro mantello, senza lettiga o catafalco. Anche se oggi la forma è molto semplificata, conserva comunque alcuni elementi essenziali.

Due valletti hanno accolto il feretro all’entrata della basilica magistrale e hanno preceduto il corteo funebre con la scorta d’onore dei Cavalieri Costantiniani, fino ai piedi del presbiterio, dove è stato posato su un tappeto a terra, orientato con i piedi verso l’altare, come di consuetudine. La bara posata a terra, è vista e intesa come simbolo di umiltà da parte di chi ha avuto un rango elevato in vita, ma anche nell’attenersi al cerimoniale la consapevolezza della propria identità nobiliare che prevede che si muoia come si era vissuti. Il feretro è stato coperto dalla coltre funebre nera, con ai quattro angoli lo stemma del Duca de Vargas Machuca e ai piedi un grande cero. Ai lati sopra i bordi della coltre posati per terra erano appoggiati fasci di ceri nuovi, accesi e poi spenti, legati con fettuccia nera e disposti a X.

Sopra la bara, ai margini della coltre verso la navata, è stato posto un cuscino con le numerose decorazioni del defunto. Ai lati di essa sono stati posti dei bouquet floreali, a formare una siepe fiorita. La bara era vegliata da ambedue i lati da un valletto in livrea con un candeliere e da due Cavalieri Costantiniani della guardia d’onore.

Per la famiglia del defunto hanno partecipato: Tomas e Camelia, Duchi de Vargas Machuca; Ludovica e Letizia de Vargas Machuca; Fadrique, Alvise, Laudomia, Beatrix e Violante Donà dalle Rose.

Per la Real Deputazione hanno partecipato, oltre al Gran Maestro: il Gran Tesoriere, S.E. Don Emmanuele Francesco Maria Emanuele di Villabianca e Messeri, Barone di Culcasi, Balì Gran Croce di Giustizia, Gentiluomo di Sua Santità; il Vice Gran Cancelliere, S.E. Don Guy-Stair Sainty, Balì di Gran Croce di Giustizia, Cavaliere del Reale e Insigne Ordine di San Gennaro; il Vice-Presidente della Real Deputazione per l’Italia, S.A.R. la Principessa Ines di Borbone delle Due Sicilie e Orléans, Dama di Gran Croce di Giustizia, con il consorte Michele Carrelli Palombi dei Marchesi di Raiano; S.A.S. Don Maurizio Ferrante Gonzaga di Vescovato, Principe del Sacro Romano Impero, Marchese del Vodice, e il Nob. Don Lorenzo de’ Notaristefani, Patrizio di Ravello, Curatore della Basilica Magistrale, entrambi Cavalieri del Reale e Insigne Ordine di San Gennaro, Cavalieri di Gran Croce di Giustizia, Consiglieri della Real Deputazione; S.E. Don Vincenzo Capasso Torre, Conte Delle Pástene, Presidente Emerito della Real Deputazione e della Real Commissione per l’Italia, Cavaliere del Reale e Insigne Ordine di San Gennaro, Balì Gran Croce di Giustizia decorato del Collare.

Per la Real Commissione per l’Italia hanno partecipato: il Vice Presidente Vicario, S.E. il Principe Don Flavio Borghese dei Principi di Sulmona e di Montecompatri, Cavaliere di Gran Croce di Giustizia, Consigliere Istituzionale della Real Deputazione, Delegato per Roma e Città del Vaticano, con la consorte Donna Isabella; il Vice Presidente della Commissione Araldica, S.E. il Duca Don Landolfo Ambrogio Caracciolo di Melissano, Principe di Melissano e di Scanno, Cavaliere di Giustizia; il Consulente di Diritto Civile, Nob. Avv. Roberto Saccarello, Cavaliere di Gran Croce Jure Sanguinis con Placca d’Oro, Delegato per la Tuscia e Sabina; il Consulente di Diritto Canonico, Nob. Avv. Alfonso Marini Dettina, Cavaliere Jure Sanguinis con Placca d’Oro; il Membro del Consiglio, S.E. Conte Don Riccardo Paternò di Montecupo dei Duchi di S. Nicola, Balì di Gran Croce di Giustizia; in rappresentanza del Membro del Consiglio, S.E. l’Ambasciatore Alfredo Bastianelli, Cavaliere di Gran Croce Jure Sanguinis con Placca d’Oro, Gentiluomo di Sua Santità ha partecipato la consorte, Donna Fiammetta Bastianelli.

Per la Real Commissione per la Serenissima Repubblica di San Marina ha partecipato S.E. Daniela Rotondaro, Dama di merito con placca, Ambasciatore in Italia.

Per la Real Commissione per la Francia ha partecipato: Mons. Brice Meissonier, Cappellano Jure Sanguinis, in rappresentanza del Presidente, S.A.R. il Principe Charles-Emmanuel de Bourbon-Parme, Balì di Gran Croce di Giustizia.

Per la Cancelleria della Real Commissione per l’Italia hanno presenziato, oltre al Cancelliere: il Segretario Generale, Dott. Michele Cantarano, Cavaliere Jure Sanguinis; il Responsabile del Cerimoniale, Avv. Fabio Adernò, Cavaliere Jure Sanguinis; il Responsabile della Comunicazione, Vik van Brantegem, Cavaliere di Merito con Placca d’Argento.

Per le Delegazioni hanno partecipato, oltre ai già menzionati Delegati per Roma e Città del Vaticano e per la Tuscia e Sabina: il Nob. Carlo Cicconi Massi, Cavaliere di Gran Croce Jure Sanguinis con Placca d’Oro, Delegato per Marche e Romagna; il Nob. Avv. Dario de Letteriis, Cavaliere Gran Croce di Jure Sanguinis, Delegato per Puglie e Basilicata; il Nob. Manuel de Goyzueta di Toverena, dei Marchesi di Toverena e di Trentenara, Cavaliere di Giustizia, Delegato per Napoli e Campania; il Nob. Andrea Serlupi Crescenzi, Cavaliere di Giustizia, Delegato per Piemonte e Valle d’Aosta; il Prof. Giuseppe Schlitzer, Cavaliere di Gran Croce di Merito, Delegato Vicario per Roma e Città del Vaticano; il Dott. Salvatore Glorioso, Segretario Generale della Delegazione della Sicilia Occidentale; il Nob. Ferdinando Testoni Blasco, Cavaliere di Gran Croce di Giustizia, Delegato per la Sicilia Orientale; il Rag. Carlo Testi, Cavaliere di Gran Croce di Merito, Delegato per la Toscana; il Dott. Massimo Planera, Cavaliere di Gran Croce di Merito, Pro Delegato per la Toscana; il Nob. Dott. Sandro Calista, Cavaliere Jure Sanguinis con Placca d’Oro, Vice Delegato per Tuscia e Sabina.

Il Sacro Rito è stato celebrato dal Gran Priore, S.Em.za Rev.ma  il Signor Cardinale Gerhard Ludwig Müller, Balì Gran Croce  di Giustizia e presieduto dal Gran Maestro, S.A.R. il Serenissimo Principe Don Pedro di Borbone delle Due Sicilie e Orléans, Duca di Calabria, Conte di Caserta, Capo della Real Casa delle Due Sicilie, e delle massime Cariche del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.

Hanno concelebrato il Primo Cappellano Capo e Membro del Consiglio Ecclesiastico della Real Commissione per l’Italia, Don Fabio Fantoni, Cappellano di Gran Croce di Merito; il Cappellano Capo della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, Mons. Carlo dell’Osso, Cappellano di Giustizia; e alcuni Cappellani Costantiniani, mentre altri hanno assistito in abito corale.

Il servizio liturgico è stato svolto da chierici e studenti del Pre-Seminario San Pio X di Como, dell’Istituto Sant’Apollinare in discernimento vocazionale per le rispettive diocesi di Como, Alessandria e Palestrina. La guardia d’onore al feretro è stata integrata da appartenenti alle Delegazioni del Piemonte e Valle d’Aosta (Franco Lucia, Cavaliere di Merito), delle Puglie e Basilicata (il Delegato Nob. Avv. Dario de Letteriis, Cavaliere di Gran Croce Jure Sanguinis), di Roma e Città del Vaticano (Francesco Mauro, Cavaliere di Ufficio), della Tuscia e Sabina (il Delegato, Nob. Avv. Roberto Saccarello, Cavaliere di Gran Croce Jure Sanguinis con Placca d’Oro; il Vice Delegato, Nob. Dott. Sandro Calista, Cavaliere Jure Sanguinis con Placca d’Oro; e i Cavalieri di Merito, Danilo Coccia, Franco Vitellozzi, Mauro Belli e Alessio Marzo).

L’animazione musicale è stata curata dal Coro della Cappella Lauretana, con all’organo Maestro Avv. Antonio La Bella.

Il servizio fotografico è stato curato da Edoardo Lacrimini, Cavaliere di Merito della Delegazione della Toscana.

La Santa Messa è iniziata alle ore 14.00 con l’Antifona ad introitum da 4 Esdr 2,34-35: «Requiem æternam dona eis, Domine: et lux perpetua luceat eis» (Dona loro, o Signore, il riposo eterno e risplenda per sempre su essi la tua luce).

Il Celebrante ha aperto il rito di introduzione con la invocazione: «La fede nel Signore Gesù Cristo, risurrezione e vita, ci raccoglie oggi in preghiera per l’ultimo saluto al nostro fratello Diego che è stato chiamato alla casa del Padre. Rinnoviamo con questa celebrazione la nostra speranza in Cristo che, morendo sulla croce, ci ha liberato dalla morte eterna e, risorgendo il terzo giorno, ha riaperto agli uomini la porta del cielo. Preghiamo perché il nostro fratello Diego, che oggi si allontana dai nostri sguardi, per i meriti della passione e morte di Cristo sia associato alla vita e alla gloria della sua resurrezione».

Nella liturgia della Parola, la prima lettura (Dal libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo 21, 1-5a.6b-7) è stata recitata dal Delegato per Sicilia Orientale, il Nob. Avv. Ferdinando Testoni Blasco, Cavaliere di Gran Croce di Giustizia; il Salmo Responsoriale (129,1-30) è stato cantato da un cantore; la seconda lettura (Dalla lettera agli Efesini 6,11-18) è stata letta dal Delegato di Puglie e Basilicata, il Nob. Avv. Dario de Letteriis, Cavaliere di Gran Croce Jure Sanguinis; e il Vangelo (Luca 24.1-11) è stato proclamato dal diacono Don Cosma Cria dell’Alma Collegio Capranica.

Quindi, il Celebrante ha tenuto l’omelia.

La preghiera dei fedeli è stata recitata dai nipoti del defunto:
«Per la Chiesa, che guidata dallo Spirito Santo perseveri nell’annunciare a tutti gli uomini la speranza della risurrezione in Cristo.
Per il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, che continui a difendere la Santa Religione Cattolica Apostolica Romana contro l’assalto dell’empietà per la glorificazione della Santa Croce.
Per tutti noi fedeli qui riuniti, che possiamo indossare l’armatura della fede per resistere nel combattimento spirituale affrontando ogni prova con coraggio come lo ha fatto il nonno
Per noi tutti, che possiamo seguire l’esempio di nonno ispirato dalla sua magnanimità e dalla sua fortezza.
Per noi giovani, affinché scopriamo la vocazione che ci rende liberi dalle superficialità, forti nelle avversità e generosi nell’Amore.
Per il nostro caro nonno, perché sia partecipe del mistero pasquale del Cristo morto e risorto, e incontri il Signore della gloria nella gioiosa comunione dei santi».

A conclusione della Santa Messa, il Vice Presidente Vicario della Real Commissione per l’Italia, Consigliere Istituzionale della Real Deputazione, Delegato per Roma e Città del Vaticano, S.E. il Principe Don Flavio Borghese dei Principi di Sulmona e di Montecompatri, Cavaliere di Gran Croce di Giustizia, ha pronunciato un indirizzo di saluto a nome della Real Commissione per l’Italia. Ha ringraziato il Cardinal Müller «delle sue belle parole e dell’affetto benigno che sempre riserva al nostro Ordine e al nostro Presidente». Poi, rivolgendosi a S.A.R., ai concelebranti e a tutti i convenuti: «Vi ringraziamo per la vostra testimonianza di affetto e di amicizia per il nostro caro Presidente». Ha poi concluso: «Nella certezza della fede ci stringiamo alla sua amata famiglia, abbracciando Tomas, Duca de Vargas Machuca, con Camelia, Didi con Alvise, Letizia e Ludovica, affinché possiamo testimoniare il grande affetto che proviamo per un uomo che ha saputo sempre coniugare l’eleganza e il senso della vita con la solida Fede e l’imprescindibile difesa dei valori cristiani. Don Diego è stato molto più di una guida, di un amico, è stato per molto di noi un esempio. Caro Diego, ci mancherai moltissimo, ma il conforto della nostra Fede ci rende forti anche in questo giorno di tristezza, certi della tua resurrezione in Gerusalemme».

A seguire ha recitato la Preghiera del Cavaliere Costantiniano.

Quindi, il figlio del defunto, il Duca Tomas de Vargas Machuca ha recitato la preghiera a San Isidoro Agricola, che è il Protettore della Casa de Vargas Machuca, a cui anche il suo padre era molto devoto:
«Umilmente prostrati innanzi a Voi, o inclito nostro Patrono Sant’Isidoro, Vi preghiamo di accoglierci sotto il Vostro Patrocinio, giacché Voi foste destinato da Dio, ed a noi dato, per protettore speciale.
Concedeteci la grazia di essere veri Vostri devoti e, perché foste a Dio sommamente gradito per le Vostre eccelse virtù, dal trono di gloria, ove ora sedete, degnateVi, Ve ne preghiamo, di volgere uno sguardo pietoso su tutti noi ed otteneteci viva fede, ferma speranza ed ardente carità, amando Dio ed il nostro prossimo in Dio.
Fate che, ad esempio Vostro, impariamo la pratica dell’umiltà e della mansuetudine, virtù insegnataci da Gesù Cristo nostro divino Maestro, il distacco da ogni bene terreno e quella totale confidenza in Dio che ci fa meritare, e ci attira dal Cielo, ogni Grazia e ogni benedizione, tanto spirituale quanto temporale.
DegnateVi proteggere e difendere questa città, al Vostro patrocinio affidata, dai divini flagelli che purtroppo meritiamo per i nostri peccati.] Spiegate infine la Vostra valevole protezione sulle nostre campagne onde possano dare a suo tempo il frutto necessario per il comune sostentamento; acciocché, praticando sul Vostro esempio quanto Iddio da noi esige e domanda, possiamo avere la sorte di venire un giorno a lodarLo ed a ringraziarLo insieme con Voi, per tutti i secoli dei secoli.
Così sia».

Poi, si è svolta l’ultima commendatio et valedictio. Il Celebrante, deposta la casula e indossato il piviale e la mitra, si è recato presso il feretro e rivolto all’assemblea ha detto: «Prima di compiere, secondo il rito cristiano, il pietoso ufficio della sepoltura, supplichiamo con fede Dio nostro Padre: in lui e per lui tutto vive. Noi affidiamo alla terra il corpo mortale del nostro fratello Diego nell’attesa della sua risurrezione; accolga il Signore la sua anima nella comunione gloriosa dei santi; apra egli le braccia della sua misericordia, perché questo nostro fratello, redento dalla morte, assolto da ogni colpa, riconciliato con il Padre, e recato sulle spalle dal buon Pastore. Partecipi alla gloria eterna nel regno dei cieli».

Quindi tutti si sono raccolti in preghiera con un lungo momento di commovente silenzio. Subito dopo il Celebrante ha asperso e incensato la salma, mentre la Schola ha eseguito il canto In Paradisum deducant te Angeli. Tornato presso il feretro, il Celebrante ha recitato con l’assemblea il Responsorium e ha pronunciato l’orazione: «Nelle tue mani, Padre clementissimo, consegniamo l’anima del nostro fratello Diego, con la sicura speranza che risorgerà nell’ultimo giorno insieme a tutti i morti in Cristo. Ti rendiamo grazie, o Signore, per tutti i benefici che gli hai dato in questa vita. Come segno della tua bontà e della comunione dei santi in Cristo. Nella tua misericordia senza limiti, aprigli la porta del paradiso; e a noi che restiamo quaggiù, dona la tua consolazione con le parole della fede, fino al giorno in cui, tutti riuniti in Cristo, potremo vivere sempre con te nella gioia eterna. Per Cristo nostro Signore».

Poi, in silenzio, il Celebrante ha lasciato il presbiterio e con i concelebranti e i sacerdoti partecipanti in processione è rientrato in sacrestia.

Il Cappellano Capo della Real Commissione per l’Italia, rivestito di piviale, ha accompagnato poi il feretro all’uscita della chiesa. I due valletti hanno preceduto il corteo disponendosi ai lati della porta della chiesa, mentre sei tra i Cavalieri Costantiniani che hanno assicurato la guardia d’onore durante la celebrazione, l’hanno portato in spalla.

I partecipanti hanno infine ricevuto un’immaginetta ricordo, raffigurante Don Diego de Vargas, realizzata dalla Delegazione della Tuscia e Sabina in occasione delle esequie del Duca, completa della Croce Costantiniani e delle invocazioni, che è riporato qui di seguito.

«Di null’altro mai ci glorieremo
se non della Croce di Gesù Cristo,
nostro Signore» (Gal 6,14).

Il Duca Don Diego de Vargas Machuca con il Gran Maestro.

La nobiltà d’animo

Sotto una scorza dura, il compianto Duca Don Diego de Vargas Machuca nascondeva un cuore tenerissimo, per dimostrare che non era solo nobile di sangue – questo lo era, e per sangue millenario, come ho esposto sopra – ma soprattutto nobile d’animo.

Ho ancora avuto il previlegio di conoscere Don Diego di persona, da quando a metà 2019 mi chiese di accettare la nomina a Responsabile della Comunicazione della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. Ero già in pensione da più di cinque anni e non avevo intenzione di occuparmi ancora di un’incarica, certamente prestigiosa quello che Don Diego mi propose, ma certamente molto impegnativa ed esigente. Comunque, accettò, e Don Diego firmò la mia nomina il 17 giugno 2019. Poi, il Gran Maestro, S.A.R. il Principe Don Pedro di Borbone delle Due Sicilie e Orléans il 4 luglio successivo firmò il decreto a nomina di Cavaliere Costantiniano, per permettermi di iniziare l’incarico dal 1° settembre 2019.

Con il Gran Maestro e il Vice Presidente Vicario della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, S.E. il Principe Don Flavio Borghese dei Principi di Sulmona e di Montecompatri, Cavaliere di Gran Croce di Giustizia, Consigliere Istituzionale della Real Deputazione, Delegato per Roma e Città del Vaticano alle esequie del Duca Don Diego de Vargas Machuca, il 30 maggio 2023.
Con il Gran Maestro alle esequie del Duca Don Diego de Vargas Machuca, il 30 maggio 2023.

Una riflessione, partendo da alcune osservazioni di Ivan Petruzzi

Oggigiorno, alla gente non viene in mente di aspirare alla nobiltà, ma piuttosto di avere ricchezza e potere, di avere successo. In questa società liquido allo sbando, dove l’unica forma di ricchezza riconosciuta è quella esteriore, prevale la tendenza dell’avere, non dell’essere.

La vera nobiltà ha poco o nulla a che vedere con questioni economiche, di posizione sociali. La nobiltà d’animo, secondo Dante, va al di là della collocazione sociale e delle condizioni economiche: un concetto di nobiltà collegato a un preciso ideale di vita, a una particolare forma mentale, a un genere tipico di educazione, a un rigido codice etico, di valore o virtù. Nobile d’animo è chi vuole elevarsi alla ricchezza della cultura, della gentilezza e del rispetto verso gli altri.

Il vero nobile doveva anche e sempre essere magnanimo (magna anima). È significativo che una dell’intenzioni della preghiera dei fedeli delle nipoti dei Don Diego toccava preciso questo punto: «Per noi tutti, che possiamo seguire l’esempio di nonnino ispirato dalla sua magnanimità e dalla sua fortezza».

Il vero nobile era una persona colta, che si occupava di filosofia, d’arte e di spiritualità. Ma soprattutto, il nobile non era un lavoratore ma un pensatore, che rifletteva, che vedeva oltre. Ecco perché oggi sembra impossibile aspirare ad essere nobili.

L’inganno è tutto qui, si è persa la vera nobiltà, la nobiltà d’animo. Più che il nobile prevale il contraltare, l’ignobile, la persona priva di nobiltà d’animo, di dignità, meschina, che non è in grado di dirigere il proprio destino e di operare delle scelte personali, perché è schiava degli avvenimenti. Invece il nobile sa comprendere la dinamica dello sviluppo delle situazioni ed è quindi in grado di indirizzare consapevolmente la sua vita. Purtroppo, però, viviamo in una società dove non si approfondisce più niente: argomenti, relazioni, conoscenza di sé. Alle persone non interessa più nulla di profondo, niente che oltrepassi la loro più bassa sopravvivenza.

Le relazioni sono diventate sempre più usa e getta. La società si salverà solo con la nobiltà, nel ridiventare nobili e riacquisire la propria dignità, la propria nobiltà, ovvero l’identificazione con la propria essenza (l’anima), dove sta anche scritto qual è la vocazione a cui la persona deve dedicarsi per vivere in maniera equilibrata. La nobiltà d’animo è essere nobili nella società, per ricchezza personale e culturale da condividere con gli altri.

Friedrich Nietzsche scrisse nel suo saggio filosofico del 1886, che è uno dei testi fondamentali della filosofia del XIX secolo, Jenseits von Gut und Böse. Vorspiel einer Philosophie der Zukunft (Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia del futuro): «Che cos’è nobile? Che cosa significa ancora, per noi oggi, la parola “nobile”? In che cosa si rivela, da che cosa si riconosce, sotto questo cielo pesante e coperto dell’incipiente dominio della plebe, per il quale tutto diviene opaco e plumbeo, l’uomo nobile? Non sono le azioni a dimostrarlo – le azioni sono sempre ambigue, sempre insondabili – non sono neanche le “opere”. È la fede che decide qui, che stabilisce qui la gerarchia, per riprendere un’antica formula religiosa in un senso nuovo e più profondo: una qualche certezza di fondo che un’anima nobile ha su se stessa, qualcosa che non si può cercare né trovare e forse nemmeno perdere. L’anima nobile ha un profondo rispetto di sé».

Occorre naturalmente considerare la nobiltà medievale anche nel suo rapporto con la cavalleria e con la concezione della vita ad essa propria, senza trascurarne, in pari tempo, l’interpretazione religiosa che la sollevava ad attributo esclusivo di Dio, estensibile alle creature solo in quanto queste possono venire assimilate, in misura diversa, a Dio stesso: criterio di una gerarchia perfetta fra le cose umane nella luce divina… Vivit in lumine Domini, è scritto sul ricordino, realizzato dalla Delegazione della Tuscia e Sabina in occasione delle esequie del Duca Don Diego de Vargas Machuca, che è stato riportato sopra.

Per effetto del mutamento avvenuto e rifluito, sia attraverso la predicazione religiosa che offre l’impulso più forte alla definitiva traslazione del termine dall’orbita feudale-cavalleresca a quella religioso-morale, sia attraverso la diffusione della cavalleria a livelli culturali non specializzati, la nozione di nobiltà come eredità di sangue e vanto per le opere leggiadre dei maggiori era già profondamente incrinata durante il Medioevo.

Si possono raccogliere copiose testimonianze allineate sul convincimento che la nobiltà debba ricercarsi, più che in una distinzione di stirpe, ricchezza o potenza, in personali facoltà, quali la bontà del cuore, l’altezza degli ideali, il culto e l’esercizio della virtù. Così per Fra Guittone d’Arezzo, critico quanto Dante della situazione politica coeva, una personalità forte e di grande cultura europea: «Non ver lignaggio fa sangue, ma core, | ni vero pregio poder, ma vertute» (Lettera XXV, 49-50).

L’argomentazione dantesca si svolge attraverso i seguenti punti capitali: le ricchezze non possono dare nobiltà in quanto imperfette per natura (non causano felicità ma affanno, non sono distribuite secondo i meriti, più crescono e più sono pericolose) e quindi vili, mentre la nobiltà è perfezione, «è da sapere che la viltade di ciascuna cosa dalla imperfezione di quella si prende, e così la nobilitade dalla perfezione: onde tanto quanto la cosa è perfetta, tanto è in sua natura nobile; quanto imperfetta, tanto vile» (Convivium IV-XI, 2). Ma la nobiltà umana è qualche cosa di molto più specifico ancora, che va definita «per li frutti: che sono morali vertù e intellettuali, delle quali essa nostra nobilitade è seme» (IV-XVI, 10). Importando infatti la nobiltà e la virtù le lodi di chi le possiede (segno di un loro intrinseco rapporto) ed estendendosi la prima assai più della seconda, è da presumere che quella sia causa di questa e non il contrario: «Ché lo piè dell’albero, che tutti li altri rami comprende, si dee principio dire [e] cagione di quelli, e non quelli di lui; e così nobilitade, [che] comprende ogni vertude sì come cagione effetto comprende, [e] molte altre nostre operazioni laudabili, si dee avere per tale che la vertude sia da redure ad essa prima che ad altro terzo che in noi sia» (IV-XVIII, 5). La nobiltà è prima di tutto una grazia, un dono concesso da Dio (Cfr. IV-XX, 3), una sentenza biblica, che esclude, nell’attribuzione del carisma, l’arbitrio divino: «Dice adunque che Dio solo porge questa grazia all’anima di quelli cui vede stare perfettamente nella sua persona, aconcio e disposto a questo divino atto ricevere. Ché, secondo che dice lo Filosofo nel secondo dell’Anima, “le cose convengono essere disposte alli loro agenti, e [a] ricevere li loro atti”; onde, se l’anima è imperfettamente posta, non è disposta a ricevere questa benedetta e divina infusione: sì come se una pietra margarita è male disposta o vero imperfetta, la vertù celestiale ricevere non può: sì come disse quel nobile Guido Guinizzelli in una sua canzone che comincia: “Al cor gentil ripara sempre Amore”» (IV-XX, 7).

È manifesto che se «le vertudi sono frutto di nobilitade, e che Dio questa metta nell’anima che ben siede, che “ad alquanti”, cioè a quelli che hanno intelletto, che sono pochi, è manifesto che nobilitade umana non sia altro che “seme di felicitade”, messo da Dio nell’anima ben posta, cioè lo cui corpo è d’ogni parte disposto perfettamente» (IV-XX 9): caratteristica quindi strettamente personale. Di qui il corollario che «la stirpe non fa le singulari persone nobili, ma le singulari persone fanno nobile la stirpe» (IV-XX, 5).

Si noti che sinora, è stato sottolineato il carattere personale della nobiltà, si è anche però insistito su una sequenza di momenti soprannaturali e naturali del tutto indipendenti dalla responsabilità individuale, attraverso i quali il seme della felicità viene deposto nell’anima umana: si consideri infatti che la disposizione dell’anima stessa ad accogliere il dono divino risulta da fattori non connessi alla volontà. La responsabilità del singolo viene chiamata in causa successivamente all’infusione del seme divino: «Per via teologica si può dire che, poi che la somma deitade, cioè Dio, vede apparecchiata la sua creatura a ricevere del suo beneficio, tanto largamente in quella ne mette quanto apparecchiata è a ricevere. E però che da ineffabile caritate vegnono questi doni, e la divina caritate sia appropiata allo Spirito Santo, quindi è che chiamati sono Doni di Spirito Santo. Li quali, secondo che li distingue Isaia profeta, sono sette, cioè Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietade e Timore di Dio. Oh buone biade, e buona e amirabile sementa! e oh amirabile e benigno seminatore, che non attende se non che la natura umana li apparecchi la terra a seminare! e beati quelli che tal sementa coltivano come si conviene!» (IV-XXI, 11-12).

In tal modo sotto l’insegna della nobiltà, Dante ricostruisce il corso di vita ideale dell’uomo dalla nascita alla morte, riconfermando in termini esclusivamente morali e personali il prestigio che da essa scaturisce. Nobiltade in senso proprio, è proprietà inconfondibile dell’individuo, che ha anima e volontà; la schiatta, priva di anima, può venir detta nobile in modo estensivo, come insieme di individui nobili: «E sì come d’una massa bianca di grano si potrebbe levare a grano a grano lo formento, e a grano [a grano] restituire meliga rossa, e tutta la massa finalmente cangerebbe colore; così della nobile progenie potrebbero li buoni morire a uno a uno, e nascere in quella li malvagi, tanto che cangerebbe lo nome, e non nobile ma vile da dire sarebbe» (IV-XXIX, 11).

Nella sua omelia in occasione del tradizionale Solenne Pontificale del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio in onore di San Giorgio, Patrono della Sacra Milizia Costantiniana, sabato 22 aprile 2023 presso la Monumentale e Insigne Basilica di Santa Chiara in Napoli [QUI], il Cardinale Dominique Mamberti ha rivolto ai presenti un pensiero incentrato sul ragion d’essere dei Cavalieri Costantiniani: la Glorificazione della Santa Croce, la Propagazione della Fede e la Difesa di Santa Romana Chiesa, osservando che la tradizione, non è solo il ricordo o la nostalgia di un tempo che non è più, citando le parole di Papa Pio XII nella sua allocuzione al Patriziato e alla nobiltà romana del 19 gennaio 1944 [QUI]: «Siamo, infatti, orgogliosi di mettere i nostri passi in quelli dei nostri predecessori e di seguire le loro orme. La tradizione tuttavia, non è solo il ricordo o la nostalgia di un tempo che non è più. Come avvertiva Papa Pio XII nella sua allocuzione al Patriziato e alla nobiltà romana del 19 gennaio 1944: “La tradizione è cosa molto diversa dal semplice attaccamento ad un passato scomparso; è tutto l’opposto di una reazione che diffida di ogni sano progresso. Il suo stesso vocabolo etimologicamente è sinonimo di cammino e di avanzamento. Sinonimia, non identità. Mentre infatti il progresso indica soltanto il fatto del cammino in avanti, passo innanzi passo, cercando con lo sguardo un incerto avvenire; la tradizione dice pure un cammino in avanti, ma un cammino continuo, che si svolge in pari tempo tranquillo e vivace, secondo le leggi della vita. (…) Come indica col suo nome, la tradizione è il dono che passa di generazione in generazione, la fiaccola che il corridore ad ogni cambio pone in mano e affida all’altro corridore, senza che la corsa si arresti o si rallenti. Tradizione e progresso s’integrano a vicenda con tanta armonia, che, come la tradizione senza il progresso contraddirebbe a se stessa, così il progresso senza la tradizione sarebbe una impresa temeraria, un salto nel buio. No, non si tratta di risalire la corrente, di indietreggiare verso forme di vita e di azione di età tramontate, bensì, prendendo e seguendo il meglio del passato, di avanzare incontro all’avvenire con vigore di immutata giovinezza”. Ed è proprio in questo spirito che vogliamo impegnarci nel nostro Ordine, che, come si legge all’inizio degli Statuti, fin “dalla sua remotissima origine si propone la glorificazione della Croce, la propagazione della Fede, e la difesa della Chiesa Apostolica Romana” nonché ” di dare il suo maggior contributo d’azione e di attività alle due grandi opere eminentemente sociali dell’Assistenza Ospedaliera e della Beneficienza”. In questo nostro tempo, impegnarci in tutte le finalità dell’Ordine deve essere per ognuno di noi un dovere impellente. Il mondo ha perso il senso della gloria della Croce; anzi, non ne vuol sentire parlare e sempre di più si cerca di eliminare il crocifisso dallo spazio pubblico. La propagazione della Fede è pure sospetta; in alcuni Paesi, si vuole ridurre la fede ad un fatto puramente privato; in altri la fede cristiana è proibita e i fedeli sono perseguitati».

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