Il buon Samaritano: presenza dei cattolici nei new media

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‘Verso una piena presenza’ è il titolo del documento del Dicastero per la Comunicazione pubblicato lunedì 29 maggio, che si propone di promuovere una riflessione comune sul coinvolgimento dei cristiani con i social media, che sono diventati sempre più parte della vita delle persone, che è ispirato alla parabola del Buon Samaritano, e intende avviare una riflessione condivisa per promuovere una cultura dell’essere ‘prossimo amorevole’ anche nella sfera digitale,firmato dal prefetto, Paolo Ruffini, e dal segretario, mons. Lucio Adrian Ruiz.

Nel contesto dei social media, dove gli individui sono spesso sia consumatori che merci, questa riflessione pastorale si pone alla ricerca di una risposta fondata sulla fede: “L’umanità ha fatto passi da gigante nell’era digitale, ma una delle questioni urgenti ancora da affrontare riguarda il modo in cui noi, come individui e come comunità ecclesiale, possiamo vivere nel mondo digitale come ‘prossimo amorevole’, autenticamente presenti e attenti l’uno all’altro nel nostro comune viaggio lungo le ‘strade digitali’…

Allo stesso tempo, però, mentre la comunicazione è sempre più influenzata dall’intelligenza artificiale, nasce l’esigenza di riscoprire l’incontro umano alla sua base. Negli ultimi due decenni, il nostro rapporto con queste piattaforme digitali ha subito una trasformazione irreversibile. E’ emersa la consapevolezza che queste piattaforme possono evolversi fino a diventare spazi co-creati e non solo qualcosa che usiamo passivamente”.

Il documento è un invito a tessere relazioni: “La parabola del buon Samaritano, invece, ci sfida a confrontarci con la ‘cultura dello scarto’ digitale e ad aiutarci reciprocamente a uscire dalla nostra zona di comfort, facendo uno sforzo volontario per andare incontro all’altro. Questo è possibile solo se ci svuotiamo di noi stessi, comprendendo che ognuno di noi è parte di quell’umanità ferita, e ricordando che qualcuno ci ha guardati e ha avuto compassione di noi”.

E’ una sfida a vincere l’indifferenza: “ Solo così possiamo, e dobbiamo, essere noi a fare il primo passo nel superare l’indifferenza, perché crediamo in un ‘Dio che non è indifferente’. Possiamo e dobbiamo essere noi a smettere di chiedere ‘quanto devo preoccuparmi degli altri?’ ed iniziare invece ad agire come prossimo, rifiutando la logica dell’esclusione e ricostruendo una logica di comunità.

Possiamo e dobbiamo essere noi a passare da una concezione dei media digitali come esperienza individuale a una fondata sull’incontro reciproco che favorisce la costruzione della comunità”.

La comunicazione è anche un impegno personale, alimentato dalla preghiera: “Ognuno può contribuire a realizzare questo cambiamento impegnandosi con gli altri e sfidando se stesso nell’incontro con gli altri. Come credenti, siamo chiamati a essere comunicatori che si orientano intenzionalmente verso l’incontro.

In questo modo, possiamo ricercare incontri che siano significativi e duraturi, invece che superficiali ed effimeri. In effetti, orientando le connessioni digitali all’incontro con persone vere, alla creazione di rapporti veri e alla costruzione di comunità vere, di fatto alimentiamo la nostra relazione con Dio.

Detto questo, il nostro rapporto con Dio deve essere alimentato anche attraverso la preghiera e la vita sacramentale della Chiesa, che per la loro essenza non possono mai essere ridotte semplicemente all’ambito digitale”.

Il documento insiste nel discernimento della presenza dei cattolici sui social media: “Riconoscere il nostro prossimo digitale significa riconoscere che la vita di ogni persona ci riguarda, anche quando la sua presenza (o assenza) è mediata da strumenti digitali…

Essere prossimi sui social media significa essere presenti alle storie degli altri, soprattutto di quanti soffrono. In altre parole, promuovere un ambiente digitale migliore non significa distogliere l’attenzione dai problemi concreti che vivono molte persone, come ad esempio la fame, la povertà, le migrazioni forzate, le guerre, le malattie e la solitudine.

Significa, invece, promuovere una visione integrale della vita umana che, oggi, include il contesto digitale. I social media, infatti, possono essere un modo per richiamare l’attenzione su queste realtà e costruire solidarietà tra persone vicine e lontane”.

E’ un invito ad un ‘esame di coscienza’: “In una visione dei social media come spazio non solo per le connessioni ma, in fondo, anche per le relazioni, un buon ‘esame di coscienza’ riguardo alla nostra presenza sui social media dovrebbe includere le tre relazioni vitali: con Dio, con il nostro prossimo e con l’ambiente che ci circonda.

Le nostre relazioni con gli altri e con l’ambiente dovrebbero nutrire la nostra relazione con Dio, e la relazione con Dio, che è la più importante, deve essere visibile nelle nostre relazioni con gli altri e con l’ambiente”.

Insomma è un invito a percorrere la strada per Gerico: “I social media possono essere considerati come un’altra ‘strada per Gerico’, ricca di opportunità di incontri imprevisti, come lo fu per Gesù: con un mendicante cieco che gridava ad alta voce sul ciglio della strada, con un esattore delle tasse disonesto che si nascondeva tra i rami di un fico, con un uomo ferito lasciato in fin di vita dai ladri”.

Quindi è un incontro per lasciarsi coinvolgere con il buon Samaritano: “Nei crocevia digitali come negli incontri personali, essere ‘cristiani’ non è sufficiente. Sui social media è possibile trovare molti profili o account che proclamano contenuti religiosi ma non si lasciano coinvolgere nelle dinamiche relazionali in modo autentico.

Interazioni ostili e violente, parole denigranti, soprattutto nel contesto della condivisione di contenuti cristiani, gridano dallo schermo e sono in contraddizione con il Vangelo stesso.

Al contrario, il buon Samaritano, che è attento e aperto all’incontro con l’uomo ferito, è mosso da compassione nell’agire e prestargli assistenza. Si prende cura delle ferite della vittima e la porta in una locanda per assicurarle che continui a essere curata.

Allo stesso modo, il nostro desiderio di rendere i social media uno spazio più umano e relazionale deve tradursi in atteggiamenti concreti e gesti creativi”.

E’ un invito a promuovere percorsi di comunità: “Promuovere un senso di comunità significa prestare attenzione ai valori condivisi, alle esperienze, alle speranze, ai dolori, alle gioie, all’umorismo e persino ai momenti di gioco che, di per sé, possono diventare punti di aggregazione per le persone negli spazi digitali.

Come per l’ascolto, il discernimento e l’incontro, anche formare una comunità con gli altri richiede un impegno personale. Ciò che viene definito ‘amicizia’ dalle piattaforme social inizia semplicemente come una connessione o una conoscenza.

Tuttavia, anche lì è possibile evidenziare uno spirito condiviso di sostegno e compagnia. Diventare una comunità richiede un senso di partecipazione libera e reciproca, per diventare un’associazione voluta che riunisce i membri in base alla prossimità. La libertà e il sostegno reciproco non emergono automaticamente. Per formare una comunità, il lavoro di guarigione e riconciliazione è spesso il primo passo da compiere nel percorso”.

Occorre uno stile per trasmettere la fede: “Il fascino della fede raggiunge le persone esattamente dove sono e così come sono, nel qui e ora. Da sconosciuto falegname di Nazareth quale era, Gesù acquisì rapidamente popolarità in tutta la regione della Galilea.

Guardando con compassione la gente, che era come un gregge senza pastore, Gesù annunciò il Regno di Dio guarendo i malati e insegnando alle folle. Per ottenere la massima ‘diffusione’, spesso parlava alle moltitudini da un monte o da una barca. Per stimolare il ‘coinvolgimento’ di alcuni dei suoi, ne scelse dodici e a loro spiegò tutto.

Ma poi, improvvisamente, al culmine del suo ‘successo’, si ritirava nella solitudine con il Padre. E chiedeva ai suoi discepoli di fare lo stesso: quando gli raccontavano del successo delle loro missioni, diceva loro di ritirarsi per riposare e pregare”.

Questo è lo ‘stile’ da seguire: “Seguendo le orme di Gesù, dobbiamo considerare prioritario riservare uno spazio sufficiente per il dialogo pesonale con il Padre e per restare in sintonia con lo Spirito Santo, che ci ricorderà sempre che tutto è stato ribaltato sulla Croce.

Non c’erano ‘like’ e quasi nessun ‘follower’ nel momento della più grande manifestazione della gloria di Dio! Ogni parametro umano del ‘successo’ viene relativizzato dalla logica del Vangelo”.

Questa è la caratteristica della presenza dei cristiani nei social media; “Questo include anche la nostra presenza sui social media. Fede significa innanzitutto testimoniare la gioia che il Signore ci dona. E questa gioia risplende sempre sullo sfondo di una memoria grata. Raccontare agli altri il motivo della nostra speranza, e farlo con dolcezza e rispetto, è un segno di gratitudine.

E’ la risposta di chi, attraverso la gratitudine, è reso docile allo Spirito e quindi libero. E’ stato così per Maria, che senza volerlo né provarci, è diventata la donna più influente della storia.

E’ la risposta di chi, per la grazia dell’umiltà, non pone se stesso o se stessa in primo piano e facilita così l’incontro con Cristo che ha detto: ‘imparate da me, che sono mite e umile di cuore’. Seguendo la logica del Vangelo, tutto ciò che dobbiamo fare è suscitare una domanda, risvegliare la ricerca. Il resto è l’opera misteriosa di Dio”.

(Foto: Vatican News)

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