Ricordare l’impegno civile e di fede di don Giovanni Minzoni

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Nelle scorse settimane a Roma Pier Luigi Castagnetti, in occasione del centenario della morte di don Giovanni Minzoni, promosso da Masci, Agesci ed ACI ha ricordato il suo ruolo nella formazione dei giovani per la giustizia in un incontro, aperto dal sen. Lorenzo Basso, da Massimiliano Costa, presidente del Masci, e da Francesco Scoppola e da Roberta Vincini, presidenti del Comitato nazionale Agesci, e Francesco di Fonzo, presidente nazionale del FSE.

Una relazione che ha reso giustizia all’impegno religioso, pastorale, educativo, ma anche civile e di testimonianza limpida contro il fascismo, del grande Arciprete di Argenta, ucciso da una squadraccia fascista il 23 agosto 1923. Prima di lui era intervenuto il card. Arrigo Miglio, che ha  messo in evidenza la dimensione religiosa e di educatore di don Minzoni.

Ora è in corso la causa di beatificazione di don Minzoni, che potrebbe diventare il primo santo dello scoutismo, come ha detto nel suo intervento (a distanza) Vittorio Pranzini, tra i promotori della causa di beatificazione insieme al Masci, alla diocesi di Ravenna-Cervia, ad Agesci, a Scout d’Europe e alla parrocchia di Argenta.

C’è stato anche l’intervento del direttore dell’Archivio del Senato, Giampiero Buonomo, che ha ricostruito la storia della denuncia contro il generale Del Bono proposta davanti all’ Alta Corte di Giustizia dal direttore del ‘Popolo’, Giuseppe Donati, che tra gli altri delitti, come quello di Matteotti e Amendola, imputava alla CeKa (polizia politica sovietica) anche l’assassinio di don Minzoni, ricordando che ‘è da quel sangue che è germogliata la semente della Repubblica’.

Nell’intervento Castagnetti ha sottolineato che è stato un martire della fede: “Don Giovanni Minzoni è stato sicuramente un martire della fede e, dunque, un santo. Conosciamo la lunghezza del percorso canonico per questo riconoscimento, le condizioni, il vaglio giustamente rigoroso, ma esiste un’intelligenza popolare (alludo in particolare a quella del Popolo di Dio) che non sbaglia e che lo aveva già proclamato tale, se solo pensiamo ai suoi partecipatissimi funerali ad Argenta e a Ravenna.

Le cronache di allora dicono che c’era tutta la città. Don Giovanni aveva incrociato, infatti, ai suoi inizi, quando ancora pochi se n’erano fatti un giudizio preciso, quella che si sarebbe rivelata come una delle immagini storiche del Male nel Novecento, il fascismo, e come discepolo di Cristo non ha esitato a reagire nel modo più risoluto”.

Don Minzoni fu ucciso per un giudizio sul fascismo, che scaturiva dalla sua fede: “Don Giovanni venne ucciso esattamente un anno prima di Giacomo Matteotti, e questi due delitti fascisti sono i primi e più importanti di una lunga serie, dal valore intenzionalmente emblematico, seppur molto diversi l’uno dall’altro, commissionati verosimilmente dallo stesso mandante e eseguiti dagli stessi sicari, come denunciarono sin da subito ‘Il Popolo’ e ‘La Voce Repubblicana’. 

Ma perché proprio don Minzoni? Fondamentalmente perché il fascismo non ha mai sopportato l’espressione di un giudizio morale su se medesimo, da parte di chicchessia e in particolare di cristiani. Un giudizio morale che colpiva il nucleo genetico del fascismo, come ideologia dell’odio e della violenza”.

Avendo partecipato alla Prima Guerra Mondiale aveva visto le ingiustizie, impegnandosi alla formazione dei giovani: “Ed, allora, ecco che don Giovanni decide di impegnarsi in due settori, quello della formazione spirituale e culturale e quello delle opere di carità. Vedeva i socialisti impegnati ad aggregare consenso fra la povera gente e si chiedeva ‘ma la povera gente, non è la gente del Vangelo?’ e, ‘allora, perché io non sono là?’.

Decide allora di stare con la sua gente, non solo in mezzo alla sua gente, ma dalla parte della sua gente, destando sin da subito una sorte di invidia-preoccupazione proprio da parte dei socialisti che lo vedevano come un potenziale concorrente nella raccolta di consensi tra i giovani, e ostilità crescente da parte dei fascisti, non solo dei capi locali, ma di uomini vicinissimi a Mussolini come Balbo e De Bono”.

Don Minzoni ha subito colto la pericolosità del fascismo: “Ecco, don Minzoni fu tra i pochi che, con lucido senso storico, coglie sin da subito la potenzialità distruttiva del fascismo, dei baluardi etici del cristianesimo.

Saputo da don Emilio Faggioli, fondatore del movimento scoutistico a Bologna e in varie altre città della regione, del modello educativo fondato sull’esperienza, sulle relazioni, sul rapporto con le persone e con la natura, decide di fondare due reparti nella sua parrocchia, e poco importava se i gerarchi locali gli avevano fatto capire che l’iniziativa non sarebbe stata gradita.

Altri amici, già murriani, cioè democratici cristiani e ora sturziani e popolari, gli suggeriscono come promuovere iniziative sociali per offrire lavoro ai suoi ragazzi, soprattutto cooperative di lavoro: la Romagna aveva già una rete molto attiva e vivace di mutue assicurative, cooperative nel mondo rurale e in quello edilizio, banche popolari”.

Castagnetti ha concluso l’intervento con un pensiero di don Minzoni, che affermava il bisogno di santità in ogni azione civica: “Mi sono persuaso di una cosa, ed è che senza una base di santità non si può fare assolutamente un’azione, una propaganda intensa ed efficace nel campo religioso, morale ed anche economico, perché troppe sono le difficoltà… Solo un alter Christus può gettarsi nell’azione e riuscirne vittorioso…”.

(Foto: ANPC)

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