Le donne di Santa Rita, Luciana Daqua, realizzare una famiglia aperta all’accoglienza

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“Essere ‘in uscita’ significa per ciascuno di noi diventare, come Gesù una porta aperta”: le parole di papa Francesco in Ungheria avvalorano la scelta fatta quest’anno di assegnare il ‘Riconoscimento Internazionale Santa Rita’, in occasione della festa a lei dedicata, a donne che incarnino il valore del servizio al prossimo.

Sono così state scelte: Luciana Daqua, assistente sociale e docente universitaria in pensione, con grande attenzione alle maggiori fragilità sociali; Antonella Dirella, insegnante che, una volta rimasta vedova, si è consacrata totalmente a Dio; Franca Pedrini, attenta al prossimo soprattutto nella sua dimensione locale, in particolare come presidente della cooperativa sociale veneta ‘I Piosi’, una delle realtà più innovative del territorio, che nel 2022 ha avuto l’occasione di uno scambio con l’allora premier Mario Draghi.

Presentando le tre donne suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del monastero Santa Rita da Cascia, ha sottolineato il significato dell’invito del papa: “A nome di tutta la mia comunità, sono felice di raccogliere l’invito del pontefice ad aprire le porte contro l’egoismo, l’individualismo, l’indifferenza, per permettere a tutti di entrare e sperimentare l’amore del Signore.

E di aver scelto di premiare quest’anno, di fronte agli eventi dei nostri tempi, quali pandemia da poco superata, guerra nel cuore dell’Europa, migranti disperati in fuga, proprio quelle donne che ogni giorno scelgono di essere servizio per il prossimo. Le ‘Donne di Rita’ dimostrano di anno in anno come ancora oggi sia possibile vivere secondo i valori che guidarono l’esistenza della santa, quali il perdono, l’amore, e in questo caso la carità”.

Luciana Daqua, calabrese, una donna che rimasta vedova giovane, dona la sua vita al servizio dell’Amore, per amore. Assistente sociale e docente universitaria in pensione, fin da giovanissima, sente vivo nel cuore il desiderio di ‘aiutare il prossimo in qualsiasi forma’. Il suo sogno di fare il medico missionario in India, si interrompe al secondo anno di università.

Ma una volta sposata, con l’appoggio del marito, scomparso prematuramente, ed una fede salda, riesce a realizzare la missionarietà in loco, creando quella famiglia aperta al dialogo e al confronto, accogliendo nella gratuità ed accompagnando senza limiti di tempo extracomunitari, prostitute, donne violentate, omosessuali non accettati dalla famiglia, persone con disagio psichico, donne pronte all’aborto (che oggi godono dei loro figli) a intravedere, nel buio dei loro drammi esistenziali, senza uscita, uno spiraglio di luce, una via d uscita dal loro sepolcro, verso un futuro migliore.

Riceve il Riconoscimento per aver fatto della sua professione e della sua famiglia un porto sicuro per gli emarginati della società del consumismo, senza mai trascurare la formazione scientifica da trasmettere agli studenti negli anni di docenza, con i quali ha realizzato anche scambi formativi e culturale organizzando stage in diversi posti in Italia.

E’ stata catechista in parrocchia, ministra straordinaria della comunione, formatrice presso la Scuola Teologica-pastorale portando avanti un ‘modello integrato’, la cui base di sviluppo era proprio l’ascolto, chiave per entrare in relazione: ‘Ascoltar-Si per Ascolta-Re’. Tuttora è catechista del Cammino Neocatecumenale.

A lei abbiamo chiesto di raccontarci in quale modo è possibile un mondo migliore: “Siamo in pieno cambio antropologico e la domanda pretende una risposta articolata, un excursus sull’analisi del ‘modello famiglia’ che si è caratterizzato nel tempo e che il tempo ha prodotto. Mi limito a dire che il punto fondamentale per vivere un mondo migliore è quello di recuperare le relazioni, quelle fondanti nella Relazione… in Cristo Gesù” .

Come nasce il desiderio di aiutare il prossimo?

“Sono una appassionata dell’umano, perché grazie all’umano, incontro il Divino. E’ grazie all’altro ed alla relazione con l’altro che vivo la vita, perché la vita è relazione d’Amore. E’ desiderato bisogno, una necessità per me…sai perché hai fame?…hai fame e basta…cosi per me…l’altro, il sacro dell’Altro nella persona che incontro, questo è il senso della mia vita. L’altro è un bisognoso come me, che mi aiuta ad arricchirmi della bellezza della diversità…per questo nella povertà dell’altro, celebro la mia”.

Come si realizza una famiglia aperta all’accoglienza?

“Per quello che mi riguarda non ci sono schemi pre-confezionati da seguire per realizzare una famiglia aperta all’accoglienza. Semmai, una regola: l’Ascolto dell’Amore che già vive nel cuore, è dentro di noi, un amore che ci porta a vivere l’Esodo nell’Oggi di Dio … ci spinge ad uscire da noi e andare verso l’altro…

Quell’altro che con la sua presenza mi dona la gioia di tirarlo fuori e viverlo. Sicuramente la modalità educativa e la testimonianza di vita dei miei genitori è stato il seme che ha fecondato in me il desiderio sempre più di condividere la bellezza dell’amore di coppia aprendoci all’altro, a chiunque avesse bisogno di uno ‘spazio’, per ritrovarsi e sentire il valore della propria dignità umana.

L’incontro con mio marito è stato fondamentale; era nei suoi ideali, che abbracciavano e si incastravano perfettamente nei miei, così che questo seme ha potuto crescere trovando l’intensità giusta, affinché questo progetto di coppia diventasse opera concreta da poter generare amore. Una dinamica con azione a gettito, dalla testimonianza ricevuta all’esempio concreto di accoglienza nella vita quotidiana, trasmessa ai figli come elemento fondante della loro crescita umana”.

Come hanno vissuto queste scelte i suoi figli biologici?

“Benissimo. Il nostro vivere, il mio e di Enzo, è stata azione di amore a doppio gettito, perché ha aiutato anche i nostri figli a essere quello che sono, ad apprezzare la vita e l’umanità. La difficoltà del convivere, la nostra testimonianza li ha aiutati a capire com’è bello accogliere l’altro come fratello e sorella. Ad esempio, ho avuto esperienza con una ragazza che era stata violentata da piccola.

Non avevamo strutture adeguate sul territorio per gestire questo tipo di casi. Ho chiesto quindi al giudice di accordarmi, nella gratuità più assoluta, la possibilità di portarla a casa per valutare la situazione e per trovare la struttura migliore per inserirla. Sapevo però che avrebbe fatto fatica a relazionarsi con mio figlio maschio, al quale ho quindi chiesto di stare dalla nonna finché non sarebbe finito questo periodo. Lui si è reso disponibile ed è rimasto lì per cinque mesi, finché la ragazza non ha trovato una sistemazione adeguata in una struttura di accoglienza”.

Qual è il suo rapporto con santa Rita?

“Sono ‘Cristo-centrica’… La vita dei santi tutti mi affascina e nei momenti difficile chiedo il loro sostegno nella preghiera. Ho incontrato santa Rita profondamente nella mia storia di vita. Mi sono avvicinata a Lei, dopo la morte del mio giovane marito, avvenuta a 42 anni di età, ma ancora di più quando, a distanza di non molto tempo dall’avvenimento della morte, la mia giovanissima figlia ha vissuto il calvario del cancro.

Mi ricordo che uno studente dell’Università, di nome Mimmo, passava spesso a trovarmi, regalandomi il libro di santa Rita, le preghiere, la novena e dicendomi: ‘prof. preghiamo la Santa dell’impossibile’… Qui, l’ho incontrata con forza”.

Cosa ha provato per questo riconoscimento internazionale?

“Non conoscevo l’esistenza di questo ‘premio’; per me una assoluta novità. Cosa mi ha provocato? stupore e timore . Stupore: perché a me? Chi sono io? Non ho fatto niente…di straordinario. Semmai la straordinarietà di Dio nell’ordinario della mia povertà che, mista alle competenze professionali e tessuta nell’onestà di pensiero, donata al servizio della vita, valorizzano la mia dignità, quella che mi fa gridare ‘Abba Padre’. Timore: la responsabile tensione ad onorare fedelmente questo riconoscimento nell’umiltà dell’Essere.

Un riconoscimento che elevo con infinita gratitudine lode e benedizione a Dio Padre per la Sua tenerezza, chiedendo a santa Rita di intercedere affinchè tutti i giovani, schiacciati quotidianamente dal peso della morte, possano sperimentare la libertà la loro risurrezione nell’Amore del Risorto”.

Concludo l’intervista con un augurio per le giovani famiglie: “Guardatevi allo specchio e ditevi ‘ti amo’, proprio come attività terapeutica, ‘ti amo’ perché tu sei un dono meraviglioso dell’amore di Dio, che porta in sé il seme per  generare la vita. Vi dà la forza per non omologarvi alla realtà, al tutto e subito, e vivere i sentimenti come bene di consumo. Fate la differenza, non vi omologate a questa mentalità, desiderate di essere diversi, essere portatore-portatrice di amore, perché è in voi l’Amore. L’altro è il dono di Dio per la tua vita, affinché attraverso l’altro tu viva”.

(Tratto da Aci Stampa)

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