Roccia del mio cuore è Dio. 56° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Colombia. “Chi salva una vita, salva il mondo intero”

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 06.05.2023 – Vik van Brantegem] – Prosegue il racconto del 56° viaggio di solidarietà e speranza di Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami, dal 30 aprile all’11 maggio 2023 in Colombia. Ho iniziato il 3 maggio 2023 con il suo Report 56/1. 1.003.605 chilometri [QUI] e oggi presento il suo Report 56/2. Frangelis, che ha inviato ieri. Descrive il suo incontro nel quartiere Santa Fe con la piccola prostituta Frangelis di solo 22 anni. La parrocchia, in cui è ospitato da Don Giorgio in questi giorni, è a pochi passi di questo quartiere pericoloso e fuori controllo della metropoli.

«Chi salva una vita,
salva il mondo intero»
[*]

Fondazione Santina. A Bogotà in Colombia la notte con gli abitanti di strada.

Report 56/2. Frangelis

Un famoso detto popolare dice, che l’abito non fa il monaco. Ed è proprio vero, perché se credessimo ciecamente a quanto ci viene raccontato da film e serie tv (soprattutto Narcos, per rimanere ai giorni nostri, ma la storia del cinema è piena di narrazioni simili), dovremmo stare lontani da una buona parte dei Paesi sudamericani più affascinanti. La Colombia non fa eccezione. Terra semplicemente stupenda, anche se piena di contraddizioni, risulta essere un Paese che, purtroppo, è da sempre al centro di un eterno discorso che ruota attorno ad una sola grande domanda: la Colombia è una nazione sicura?

Per rispondere adeguatamente a questo quesito dobbiamo necessariamente mettere da parte tutte quelle immagini cinematografiche e televisive, che da decenni ci mostrano, senza mezzi termini, sparatorie o vere e proprie guerriglie tra bande criminali, infinite e violentissime lotte per i “cartelli”, personaggi assolutamente spietati e capaci di qualunque oscenità. Immagini che concorrono a cesellare l’identità dell’intera nazione, come se si trattasse della patria assoluta del narcotraffico e, per riflesso, di un vero e proprio inferno.

Perché mettere da parte tutto questo? Il motivo è molto semplice: la Colombia, oggi, non è più il Paese di Pablo Escobar; anzi. è diventata una meta turistica di primissimo livello. Certo, come in qualsiasi altro grande posto in cui le contraddizioni interne non si fanno attendere per – purtroppo – note ragioni di disparità sociali, economiche e politiche, la situazione ha le sue criticità. Ma a partire dal 2016 – quando, cioè, il governo colombiano ha firmato un accordo di pace con le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia-Esercito del Popolo (FARC-EP) – in Colombia si respira generalmente un’aria molto più tranquilla.

Detto ciò, che la Colombia non è più la terra di Escobar, devo dire che la visita del malfamato quartiere Santa Fe mostra ancora il dramma di delinquenza non risolta. Come in Messico la fine del Chapo Guzman ha causato la nascita di microcriminalità, così in Colombia ed a Bogotà la microcriminalità si organizza e diventa potente e – proprio a Santa Fè – diventa un modo di vita. La chiamano in spagnolo “Olla” ed è molto temuta e si fa rispettare.

Proprio in questo quartiere pericoloso e fuori controllo incontro lei, Frangelis, una piccola prostituta di solo 22 anni che viene dal Venezuela, da Duapa nello Stato di Lara, In Colombia come in Perù dove lavoriamo, l’immigrazione clandestina venezuelana è un dramma, perché tra molta gente realmente bisognosa, si nascondono molti delinquenti.

La potente Olla fa paura tra la gente e questa mattina a colazione Andrea, la signora di servizio in parrocchia, mi racconta storie raccapriccianti che parlano addirittura di leoni in recinti sfamati dai corpi della gente uccisa, di pareti in cui si murano i cadaveri. Dopo che nel 2003 fu smantellato il quartiere malfamato chiamato Bronx, in onore di quello di New York, il quartiere Santa Fe è divenuto senz’altro il più pericoloso della metropoli e la parrocchia, in cui sono ospitato da Don Giorgio in questi giorni, è a pochi passi.

Frangelis è il nome di questa ragazza venezuelana che ieri sera ho incontrato e che puoi vedere nella foto di copertina. La incontro in casa di Luis, un venezuelano della parrocchia. È piccolina e molto carina, con due occhi profondi e dolci. Il suo vestito è inequivocabilmente quello della prostituta. A proposito, qui non si possono chiamare prostitute, ma pensate un po’, si chiamano “lavoratrici del sesso”. Altrimenti, chiamandole prostitute, si manca di rispetto. Come se usare il loro corpo per denaro fosse invece rispettoso.

Frangelis mi saluta con una voce debole. È vestita con una minigonna bianca molto corta, una maglietta rossa e porta un giubbino nero. Luis ci offre del tè e poi ci lascia. Rimango solo con Lei. La ragazza è venuta con alcune perplessità. Le dico che vorrei scrivere un libro in cui parlare della sua tragedia. Mi guarda con calma e mi dice: “Padre, tu non conosci il mio disgusto e il mio tormento. Come puoi aiutarmi?” Le rispondo calmo: “Io non voglio aiutarti, io voglio essere aiutato da te, a leggere la mia vita in modo meno stupido. Questa sera, in questo quartiere tanto malfamato, la tua vita può diventare un faro per me”. Lei mi guarda incredula e dice: “Non scherzare, io ho il buio dentro non la luce”. Rispondo: “Penso che possa aiutarti semplicemente ascoltandoti. Va bene? Iniziamo?”. “Certo padre, la prima cosa che ti dico è che non ho nessuno che mi ascolta. E queste ore insieme sono per me importanti”. “Bene, allora iniziamo. Raccontami di te, ti ascolto”.

La ragazza si siede più comodamente ed inizia a parlare: “Sono nata il 31 agosto 2001 in Venezuela, a Duapa. Mia madre si chiama Maria Carolina e ha 42 anni. Mio padre invece è morto. Noi siamo sei fratelli con 4 padri diversi. Io sono figlia di Fredi e i miei fratelli si chiamano Francis, che ha 25 anni e Wilker, che ha 16 anni. Ho poi altri tre fratellastri e si chiamano Eugenia, Scarlett e Wladimir. Mia mamma è donna delle pulizie. Appartengo alla Chiesa pentecostale. Termino la scuola molto presto e a 14 anni faccio la bambinaia. A 17 anni mi innamoro di un ragazzo colombiano di 19 anni, Leonides che inizia a vivere con me e mi toglie dal lavoro mantenendomi. Lui mi vuole bene e io contraccambio pensando al mio sogno: quello di vivere in Colombia con lui. Ma Leonides mi maltratta, mi picchia e mi rompe il dito mignolo della mano sinistra. A questo punto mi separo da lui e inizio una relazione con Luis Xavier di 25 anni, che è di Barranquillas e lavora nell’impresa Tigo. Proprio con Luis Xavier a 19 anni arrivo irregolare a Barranquillas, dove vivo con lui e inizio a vendere caffè per le strade della città”.

La ragazza mentre parla, si sente sempre più a suo agio e la sua voce gradualmente diventa più alta e sicura, perde il tono di paura e sottomissione e i suoi occhi si riempiono di lacrime. Prosegue: “Rimango incinta e siamo felici di avere un figlio. Pensiamo il nome e Luis Xavier, che è Cristiano avventista, decide per il nome biblico di Job. E così giunge il giorno bello e terribile, entusiasmante e deprimente del 17 dicembre 2020. Il mio bimbo nasce ed è una grande gioia. Ma dopo 10 minuti muore ed è una pugnalata al mio cuore, muore perché inaspettatamente il bimbo nasce al quinto mese ed il suo corpicino non è sufficientemente formato per avere la vita. Muore padre, muore, muore!”

Frangelis, mentre ripete per tre volte la parola, aumenta il tono di voce che diventa imperioso. Luis che si trova nell’altra stanza dello squallido appartamento nel quartiere Santa Fe, apre la porta, vede la ragazza in lacrime e la chiude subito. Le offro una tazza di tè preparata per noi. Nello squallore scende il silenzio. La ragazza si ricompone e continua il suo discorso: “Io e Luis Xavier cadiamo in una profonda depressione. Non riusciamo ad accettare l’idea che nostro figlio sia nato e poi sia subito morto. E così iniziamo insieme per consolarci ad annusare cocaina e a fumare con la pipa la marijuana. Il bimbo Job nasce e muore il 17 gennaio ed il mese seguente Luis Xavier mi lascia. Cerco affetto e non lo trovo. Vorrei qualcuno attorno a me, ma sono sola, completamente sola. Proprio in quelle settimane continuo a pensare al mio piccolino e per alleviare il dolore e per tenere sempre con me il ricordo decido di farmi tatuare sulla spalla sinistra un piccolo angelo: è lui il mio angelo custode”.

Il tatuaggio mi incuriosisce. Chiedo a Frangelis se me lo può mostrare. Ma sapendo che questa ragazza ha un particolare rapporto con il suo corpo, non vorrei creare un malinteso. Però, lei capisce il mio intento buono, e con molta serenità e orgoglio di madre abbassa la manica della camicetta. Sulla spalla sinistra appare un tatuaggio di semplice fattura: una mamma che solleva in alto un piccolo angelo con delle grandi ali.

Capisco il valore del gesto e da lì continuo il mio discorso. “Frangelis, hai intenzione di fare altri tatuaggi? No padre, questo è unico ed irripetibile, che vorrei solo completare con il nome di Job e la data di nascita e morte, 17 dicembre 2020”. Guardo la ragazza con dolcezza e bacio il suo tatuaggio con devozione e rispetto: “Sono sicuro che questo angelo è una luce nel buio, che mi hai detto avere dentro di te. Le accarezzo lentamente sulla guancia. Lei ha un piercing sulla narice sinistra e due molto molto piccoli sulla lingua. Parliamo dei tatuaggi, del tatuaggio della Madonna Calpestata e mi rendo conto che questi tatuaggi sono una strada maestra per giungere al cuore delle persone come ben insegna il nostro amabile Papa Francesco.

La ragazza mi guarda negli occhi e dopo alcuni istanti si fa triste. “Rimasta sola con che cosa mi mantengo? Continuo a fumare marijuana e sniffare cocaina, ma per mantenere questo vizio devo lavorare e così dai 18 ai 21 anni mi propongo sessualmente in un sito a pagamento molto diffuso in Colombia: si chiama Modello webcam, un sito per incontri virtuali a sfondo sessuale. Così inizio a proporre il mio corpo per turni di 8 ore, con una media di 10 uomini al giorno”.

Sono totalmente fuori da questo mondo e così le pongo alcune domande. Mentre entra nei dettagli più intimi che mi disgustano, che certamente non racconto e non servono né a lei né tanto meno a noi, pongo una domanda: “Quanto guadagnavi in questi 3 anni?” “Vedi padre, i pagamenti venivano fatti ogni quindici giorni e potevano andare dai 500.000 ai 2.000.000 pesos colombiani [da circa 100 a 375 euro]”. Mentre la ragazza parla, rimango sconvolto per una paga mensile squallida di circa 700 euro per 8 ore al giorno di sesso virtuale. “In questi tre anni di sesso virtuale la mia vita cambia. Profondamente spaventata, stancata e disgustata di relazioni con uomini dai bassi istinti sessuali, incontro una ragazza di 23 anni, Eidi. È carina con me, si interessa alla mia vita e scopro un profondo affetto che diviene relazione sessuale quotidiana, forte e determinata: divento lesbica”.

Cavolo, ne ho sentite di cose nei miei viaggi, ma questa roba non riuscivo neppure ad immaginare. Respiro, mi calmo e piano, piano cerco di capire e non giudicare. Frangelis continua a parlare: “Eidi si veste da uomo, si taglia i capelli da uomo e si comporta da uomo. Mi vuole sinceramente bene e insieme vorremmo un figlio, ma siamo due donne e allora insieme decidiamo che io rimanga incinta da parte di un cliente senza volere sapere chi sia, in modo che il bambino sia tutto nostro”.

Mi metto a scrivere ogni dettaglio sul mio foglio per ricordare bene e in queste prime ore del mattino trascrivo questo nel mio report.

Le chiedo da quanto tempo si dedica alla prostituzione. “Sono sette mesi che mi prostituisco. Vi è un motel che ti farò vedere, un motel controllato dalla Olla. Quando il cliente arriva, paga per entrare nella camera 15 minuti, passati i quali bussano alla porta e il cliente deve uscire. Se i clienti non obbediscono o ci mancano di rispetto, li ammazzano di botte. Ho visto un uomo con la faccia sfigurata dalla loro violenza di pugni e bastonate. Ricevo 80.000 pesos colombiani [circa 15 euro] e faccio questi servizi per dieci volte al giorno guadagnando così 800.000 pesos colombiani [circa 150 euro] al giorno… quando i giorni sono completi, altre volte di meno!”

La guardo negli occhi. Cosa provi quando compi questi servizi? Lei rimane in silenzio e poi continua: “Questa è la peggiore domanda che mi potevi chiedere! Sai cosa provo? I primi giorni vomitavo, provo rabbia ben nascosta da falsi sorrisi, provo disgusto. Le prime settimane alla fine di particolari servizi disgustosi vomitavo nel cesso della camera”. La ragazza inizia ad entrare in dettagli ripugnanti, che mi fanno odiare quegli uomini che considero bestie. “Poi ho iniziato a provare odio verso i clienti più perversi e poi verso tutti i clienti. E mentre provo questo sentimento, mi affeziono sempre di più a Eidi. Con lei decidiamo di programmare un figlio in un momento in cui staremo meglio economicamente. Un figlio fatto con un cliente a caso del mio servizio di prostituzione. Ma nel frattempo Eidi si ammala e non può più lavorare vendendo caffè per la strada. Cerco di mantenerla come posso, ma… senza volerlo consciamente, perché programmato in un altro momento come ti ho detto, rimango incinta!”

Mi fermo, non scrivo più. “Cosa? Ho sentito bene? Attendi un figlio?”
“Si padre!”
“Ma questa è una roba da pazzi! Come hai fatto?”
“Non lo so”.
Respiro profondamente due volte e poi penso di dire qualcosa di carino a lei e non mi rendo conto di non conoscere per nulla il mondo delle lesbiche. “Scherzi? Eidi si è incazzata! Mi ha detto che io l’ho tradita, che ho tenuto nascosto a lei un altro rapporto. Mi ha lasciato due mesi fa quando ha saputo che ero incinta, ma ultimamente siamo tornate insieme”.

È ormai notte a Santa Fe e non è sicuro rimanere più tempo in questo malfamato quartiere. Scende il silenzio sulle mie carte con gli appunti dei nostri discorsi e ripongo la penna. “Ascolta Frangelis, ascolta bene! Dio ti ha tolto Job, ma ti ha mandato un altro angelo che vive dentro di te ora da due mesi. Tra l’affetto di Eidi e quello del tuo bimbo, chi scegli?”

La ragazza si illumina e mi regala un bellissimo sorriso di bimba e mi mostra un volto dolcissimo: “Gigi non ho alcun dubbio: mio figlio!” La guardo con ammirazione e le dico: “Frangelis, ti ammiro sai? Nel buio e nel fetore dell’ambiente che tu frequenti ti ha inviato un angelo e una luce. Ascoltami bene. Ti faccio una proposta: ti metto in una casa in cui potrai mangiare al sicuro, far crescere il tuo piccolo fino al giorno della sua nascita, li potrai trovare un lavoro come parrucchiera o qualcosa del genere. Ti pongo solo una condizione, anzi due. La prima che tu sparisci per sempre da Santa Fe e da quel maledetto motel. Non ti prostituisci più. Se vengo a sapere, che nella casa protetta dove Don Giorgio ti metterà, tu ti prostituirai ancora, prendo il primo volo dall’Italia e vengo ad ammazzarti”. La ragazza ride.

“La seconda cosa che ti chiedo è di mettere Eidi al secondo posto, sempre, sempre, sempre. Tu hai bisogno di un robusto aiuto psicologico che ti dia identità e serenità. Domani mi dai una risposta, va bene? Ti faccio un piccolo regalo per il tuo bambino: ti offro 100.000 pesos colombiani [20 euro] che sono molti di più degli 80.000 per un servizio. E ci aggiungo altri 50.000, sai perché?” Mi guarda curiosa e mi chiede: “Dimmi Gigi, non tenermi sulle spine!” Domani mattina vai a farti tatuare il nome di Job e la data del 17 dicembre 2020. Te lo regalo io, così non ti dimenticherai anche di me”.

Metto sul tavolo prima 100.000 e poi 50.000. La ragazza non prende i soldi subito, si alza viene da me e teneramente mi abbraccia in un profondo e forte sfogo di pianto. E mi dice: “Gigi grazie per il bel regalo del tatuaggio e per il tuo aiuto economico. Ti giuro che cambio vita. Ho sempre creduto che devo lottare nei miei sogni e il mio sogno è quello di essere mamma. Grazie per l’aiuto che Padre Giorgio mi darà”.

Il nostro abbraccio si scioglie e le asciugo gli occhi con le dita. “Frangelis, ci vediamo domani e mi fai vedere il nuovo tatuaggio. Appena arrivi a casa mandami un messaggio WhatsApp”.

Scendiamo le scale, sulla porta le do un bacio. Io vado a destra e lei va a sinistra. È notte fonda nel pericoloso quartiere di Santa Fe. Gli halcones della Olla mi guardano con perplessità. Dopo 10 minuti chiudo la porta di ferro della parrocchia e mi sento al sicuro. Sprofondo così in un grande sonno pieno di pace.

[*] La frase è tratta dal Talmud di Babilonia. Oggi c’è chi penserebbe che non ne vale la pena… neanche quando legge i racconti di Don Gigi.

La frase è posta in polacco, inglese, ebraico sulla lapide davanti alla ex fabbrica di Oskar Schindler. La frase sottolinea «come sia iscritta in ogni uomo la capacità di opporsi al male e come, anche attraverso l’azione individuale, si possano compiere gesti di enorme rilevanza equiparabili a salvare il mondo intero. Con un atto di responsabilità personale ci si può sottrarre a logiche di massificazione del pensiero che conducono all’odio, alle violenze, ai crimini più efferati. Per non prendere parte al male è necessario essere capaci di una riflessione personale, vivere un combattimento morale, essere in prima fila laddove le istituzioni sono assenti e dove l’opinione pubblica si lascia assuefare dall’indifferenza e dal timore o abdica il proprio pensiero a ideologie volte all’odio e alla violenza. Il mondo intero è salvato dal gesto eroico di chi ha la capacità di contrapporsi all’odio! I giovani devono essere condotti a comprendere la valenza enorme di questi gesti ed essere spinti ad ispirarsi a questo comportamento per dar vita ad un processo di “umanizzazione” che possa garantire la giustizia e la convivenza pacifica. Il “giusto” salva il mondo intero e la sua testimonianza equivale a raccontare la testimonianza di ogni uomo che sia veramente libero ed è strumento per smuovere la coscienza dell’intera comunità. Il significato comunemente affidato alla frase consiste nell’affermare che ognuno di noi possiede un suo valore universale e che, di conseguenza, nella decisione di mettere in salvo un individuo si racchiude la volontà di liberare e difendere l’intera umanità dal processo di disumanizzazione, che è avvenuto e avviene ancora sotto i nostri occhi. Oggi purtroppo è difficile associare questa frase ad una società come quella odierna, orientata all’individualismo e fondata, non sulla cooperazione, ma sul raggiungimento spregiudicato dei propri scopi. La libertà personale dovrebbe essere il giusto connubio tra il perseguimento di obiettivi personali e il bene della comunità. “Chi salva una vita, salva il mondo intero” è un messaggio di speranza. Salvare un uomo è un atto di coraggio che non tutti sono in grado di compiere. Occorre riportare in primo piano il valore di “ogni” persona, nella sua integrale dimensione identitaria. Attraverso l’aiuto di una singola persona, l’uomo può riappropriarsi della consapevolezza del proprio io e del proprio valore. Preservando l’identità, il mondo potrà non essere privato della diversità» (Angela De Santis e Mariapia Nardone, Rete nella memoria).

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