Papa Francesco: la cultura è laboratorio di speranza

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L’ultimo incontro di papa Francesco a Budapest è stato con il mondo universitario e della cultura alla facoltà di Informatica e Scienze Bioniche dell’Università Cattolica ‘Péter Pázmány’, che combina lo studio dell’ingegneria elettronica e informatica con la biologia molecolare e neurale e la medicina, fondata nel 1635, in cui ha ricordato l’importanza della cultura:

“La cultura, in un certo senso, è come un grande fiume: collega e percorre varie regioni della vita e della storia mettendole in relazione, permette di navigare nel mondo e di abbracciare Paesi e terre lontane, disseta la mente, irriga l’anima, fa crescere la società. La stessa parola cultura deriva dal verbo coltivare: il sapere comporta una semina quotidiana che, immergendosi nei solchi della realtà, porta frutto”.

E non poteva dimenticare in questa prestigiosa università la menzione a Romano Guardini, che distingue due conoscenze: “Guardini non demonizza la tecnica, la quale permette di vivere meglio, di comunicare e avere molti vantaggi, ma avverte il rischio che essa diventi regolatrice, se non dominatrice, della vita”.

La domanda sulla vita è fondamentale per la cultura: “E’ una questione che, specialmente in questo luogo, dove si approfondiscono l’informatica e le ‘scienze bioniche’, è bene porsi. Infatti, quanto intravisto da Guardini appare evidente ai nostri giorni: pensiamo alla crisi ecologica, con la natura che sta semplicemente reagendo all’uso strumentale che ne abbiamo fatto. Pensiamo alla mancanza di limiti, alla logica del ‘si può fare dunque è lecito’.

Pensiamo anche alla volontà di mettere al centro di tutto non la persona e le sue relazioni, ma l’individuo centrato sui propri bisogni, avido di guadagnare e vorace di afferrare la realtà. E pensiamo di conseguenza all’erosione dei legami comunitari, per cui la solitudine e la paura, da condizioni esistenziali, paiono tramutarsi in condizioni sociali”.

Quindi quello del confine tra realtà e ‘social’ è fondamentale: “Quanti individui isolati, molto “social” e poco sociali, ricorrono, come in un circolo vizioso, alle consolazioni della tecnica come a riempitivi del vuoto che avvertono, correndo in modo ancora più frenetico mentre, succubi di un capitalismo selvaggio, sentono come più dolorose le proprie debolezze, in una società dove la velocità esteriore va di pari passo con la fragilità interiore. Questo è il dramma”.

Non è questione di pessimismo ma di visione: “Dicendo ciò non voglio ingenerare pessimismo (sarebbe contrario alla fede che ho la gioia di professare), ma riflettere su questa ‘tracotanza di essere e di avere’, che già agli albori della cultura europea Omero vedeva come minacciosa e che il paradigma tecnocratico esaspera, con un certo uso degli algoritmi che può rappresentare un ulteriore rischio di destabilizzazione dell’umano”.

Anche nel libro ‘Il padrone del mondo’ Robert Benson annunciava l’insidia della ‘tecnica’: “In questo libro, in un certo senso ‘profetico’, scritto più di un secolo fa, viene descritto un futuro dominato dalla tecnica e nel quale tutto, in nome del progresso, viene uniformato:

ovunque si predica un nuovo “umanitarismo” che annulla le differenze, azzerando le vite dei popoli e abolendo le religioni. Abolendo le differenze, tutte. Ideologie opposte convergono in una omologazione che colonizza ideologicamente”.

E’ una messa in guardia contro la colonizzazione ideologica: “Questo è il dramma, la colonizzazione ideologica; l’uomo, a contatto con le macchine, si appiattisce sempre di più, mentre il vivere comune diventa triste e rarefatto.

In quel mondo progredito ma cupo, descritto da Benson, dove tutti sembrano insensibili e anestetizzati, pare ovvio scartare i malati e applicare l’eutanasia, così come abolire le lingue e le culture nazionali per raggiungere la pace universale, che in realtà si trasforma in una persecuzione fondata sull’imposizione del consenso, tanto da far affermare a un protagonista che ‘il mondo sembra in balia di una vitalità perversa, che corrompe e confonde ogni cosa’”.

Riprendendo le domande formulate papa Francesco ha ricordato che gli intellettuali sono umili; perciò aperti: “Chi ama la cultura, infatti, non si sente mai arrivato e a posto, ma porta in sé una sana inquietudine. Ricerca, interroga, rischia, esplora; sa uscire dalle proprie certezze per avventurarsi con umiltà nel mistero della vita, che si sposa con l’inquietudine, non con l’abitudine; che si apre alle altre culture e avverte il bisogno di condividere il sapere.

Questo è lo spirito dell’università, e vi ringrazio perché lo vivete così; come ci ha detto il prof. Major, il quale ha raccontato la bellezza di cooperare con altre realtà educative, attraverso programmi di ricerca condivisi e anche accogliendo studenti provenienti da altre regioni del mondo, come il Medio Oriente, in particolare dalla martoriata Siria. E’ aprendosi agli altri che si conosce meglio sé stessi. L’apertura, aprirsi agli altri è come uno specchio: mi fa conoscere meglio me stesso”.

Ed ha ricordato che l’oracolo di Delfi invitava a conoscersi: “E mentre il pensiero tecnocratico insegue un progresso che non ammette limiti, l’uomo reale è fatto anche di fragilità, ed è spesso proprio lì che comprende di essere dipendente da Dio e connesso con gli altri e con il creato.

La frase dell’oracolo di Delfi invita dunque a una conoscenza che, partendo dall’umiltà, partendo dal limite, partendo dall’umiltà del limite scopre le proprie meravigliose potenzialità, che vanno ben oltre quelle della tecnica. Conoscere sé stessi, in altre parole, chiede di tenere insieme, in una dialettica virtuosa, la fragilità e la grandezza dell’uomo.

Dallo stupore di questo contrasto sorge la cultura: mai appagata e sempre in ricerca, inquieta e comunitaria, disciplinata nella sua finitezza e aperta all’assoluto. Vi auguro di coltivare questa appassionante scoperta della verità!”

Questo è il motivo per cui Gesù ha affermato che la verità rende liberi, mettendo in guardia dai rischi del passaggio dal ‘comunismo’ al ‘consumismo’: “E quanto è facile passare dai limiti imposti al pensare, come nel comunismo, al pensarsi senza limiti, come nel consumismo! Da una libertà frenata a una libertà senza freni. Gesù invece offre una via d’uscita, dicendo che è vero ciò che libera, quello che libera l’uomo dalle sue dipendenze e dalle sue chiusure.

La chiave per accedere a questa verità è un conoscere mai slegato dall’amore, relazionale, umile e aperto, concreto e comunitario, coraggioso e costruttivo. E’ questo che le Università sono chiamate a coltivare e la fede ad alimentare. Auguro dunque a questa e ad ogni Università di essere un centro di universalità e di libertà, un cantiere fecondo di umanesimo, un laboratorio di speranza”.

(Foto: Santa Sede)

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