Papa Francesco: una Chiesa che parli il linguaggio della carità

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La seconda giornata della visita di papa Francesco a Budapest è iniziata con la visita ai bambini dell’Istituto ‘Beato László Batthyány-Strattmann’, che accoglie 72 disabili, a cui il papa ha rivolto un saluto, sottolineando che Gesù ha preso la realtà come è:

 “Grazie tante a tutti voi per l’accoglienza e la tenerezza. Grazie per i vostri canti, per i gesti, per i vostri occhi. Grazie, Signor Direttore, perché Lei ha voluto cominciare quest’atto con la preghiera di san Francesco, che è un programma di vita. Perché sempre il Santo chiede la grazia che dove non c’è qualcosa che io possa fare qualcosa, quando manca qualcosa io posso fare qualcosa.

In un cammino dalla realtà come è, portare avanti, far camminare la realtà. E questo è Vangelo puro. Gesù è venuto a prendere la realtà com’era e portarla avanti. Sarebbe stato più facile prendere le idee, le ideologie e portarle avanti senza tenere conto della realtà. Questo è il cammino evangelico, questo è il cammino di Gesù”.

Subito dopo ha incontrato i poveri ed i rifugiati, sottolineato che Gesù ha annunciato il ‘lieto annuncio ai poveri’: “Essi, allora, ci indicano una sfida appassionante, perché la fede che professiamo non sia prigioniera di un culto distante dalla vita e non diventi preda di una sorta di ‘egoismo spirituale’, cioè di una spiritualità che mi costruisco a misura della mia tranquillità interiore e della mia soddisfazione.

Vera fede, invece, è quella che scomoda, che rischia, che fa uscire incontro ai poveri e rende capaci di parlare con la vita il linguaggio della carità. Come afferma san Paolo, possiamo parlare tante lingue, possedere sapienza e ricchezze, ma se non abbiamo la carità non abbiamo niente e non siamo niente”.

E’ un invito al linguaggio della carità, come sant’Elisabetta: “Il linguaggio della carità. E’ stata la lingua parlata da santa Elisabetta, verso la quale questo popolo nutre grande devozione e affetto. Arrivando stamani, ho visto nella piazza la sua statua, con il basamento che la raffigura mentre riceve il cordone dell’ordine francescano e, contemporaneamente, dona l’acqua per dissetare un povero”.

Chi crede in Dio si apre alla carità: “E’ una bella immagine della fede: chi ‘si lega a Dio’, come fece san Francesco d’Assisi a cui Elisabetta si è ispirata, si apre alla carità verso il povero, perché ‘se uno dice: Io amo Dio e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede’.

Santa Elisabetta, figlia di re, era cresciuta nell’agiatezza di una vita di corte, in un ambiente lussuoso e privilegiato; eppure, toccata e trasformata dall’incontro con Cristo, ben presto sentì un rigetto verso le ricchezze e le vanità del mondo, avvertendo il desiderio di spogliarsene e di prendersi cura di chi era nel bisogno.

Così, non solo spese i suoi averi, ma anche la sua vita a favore degli ultimi, dei lebbrosi, dei malati fino a curarli personalmente e a portarli sulle proprie spalle. Ecco il linguaggio della carità”.  

Così ha ringraziato la Chiesa ungherese, che ha operato per i poveri, come hanno raccontato le testimonianze: “E a questo proposito esprimo la mia gratitudine alla Chiesa ungherese per l’impegno profuso nella carità, un impegno capillare: avete creato una rete che collega tanti operatori pastorali, tanti volontari, le Caritas parrocchiali e diocesane, ma anche gruppi di preghiera, comunità di credenti, organizzazioni appartenenti ad altre Confessioni ma unite in quella comunione ecumenica che sgorga proprio dalla carità. E grazie per come avete accolto – non solo con generosità ma pure con entusiasmo – tanti profughi provenienti dall’Ucraina”.

La carità fa riaffiorare la memoria, come ha raccontato Oleg, fuggito dalla guerra in Ucraina: “La memoria di quella esperienza lo ha incoraggiato a partire con la sua famiglia e a venire qui a Budapest, dove ha trovato generosa ospitalità. Il ricordo dell’amore ricevuto riaccende la speranza, incoraggia a intraprendere nuovi percorsi di vita.

Anche nel dolore e nella sofferenza, infatti, si ritrova il coraggio di andare avanti quando si è ricevuto il balsamo dell’amore: e questa è la forza che aiuta a credere che non è tutto perduto e che un futuro diverso è possibile”.

La memoria è un antidoto contro l’indifferenza: “L’amore che Gesù ci dona e che ci comanda di vivere contribuisce allora a estirpare dalla società, dalle città e dai luoghi in cui viviamo, i mali dell’indifferenza (è una peste l’indifferenza!) e dell’egoismo, e riaccende la speranza di un’umanità nuova, più giusta e fraterna, dove tutti possano sentirsi a casa”.

Un ringraziamento a Zoltan ed Anna, che hanno accolto rifugiati e poveri: “E grazie per aver accolto quella mozione dello Spirito Santo che vi ha portato, con coraggio e generosità, a costruire un centro per accogliere persone senza fissa dimora.

Mi ha colpito sentire che, insieme ai bisogni materiali, prestate attenzione alla storia e alla dignità ferita delle persone, prendendovi cura della loro solitudine, della loro fatica di sentirsi amate e benvenute al mondo.

Anna ci ha detto che ‘è Gesù, la Parola vivente, che guarisce i loro cuori e le loro relazioni, perché la persona si ricostruisce dall’interno’; rinasce, cioè, quando sperimenta che agli occhi di Dio è amata e benedetta. Questo vale per tutta la Chiesa: non basta dare il pane che sfama lo stomaco, c’è bisogno di nutrire il cuore delle persone!

La carità non è una semplice assistenza materiale e sociale, ma si preoccupa della persona intera e desidera rimetterla in piedi con l’amore di Gesù: un amore che aiuta a riacquistare bellezza e dignità”.

Insomma è un incoraggiamento a parlare il linguaggio della carità: “Fare la carità significa avere il coraggio di guardare negli occhi. Tu non puoi aiutare un altro guardando da un’altra parte.

Per fare la carità ci vuole il coraggio di toccare: tu non puoi buttare l’elemosina a distanza senza toccare. Toccare e guardare. E così tu toccando e guardando incominci un cammino, un cammino con quella persona bisognosa, che ti farà capire quanto bisognoso, quanto bisognosa sei tu dello sguardo e della mano del Signore”.

Attraverso il linguaggio della carità si percepisce il profumo dell’amore: “Fratelli e sorelle, vi incoraggio a parlare sempre il linguaggio della carità. La statua in questa piazza raffigura il miracolo più famoso di santa Elisabetta: si racconta che il Signore una volta trasformò in rose il pane che portava ai bisognosi.

E’ così anche per voi: quando vi impegnate a portare il pane agli affamati, il Signore fa fiorire la gioia e profuma la vostra esistenza con l’amore che donate. Fratelli e sorelle, vi auguro di portare sempre il profumo della carità nella Chiesa e nel vostro Paese”.

A termine dell’incontro con i poveri e con i rifugiati papa Francesco ha incontrato la Comunità greco-cattolica presso la Chiesa Protezione della Madre di Dio, salutato da Fülöp Kocsis, arcivescovo metropolita dell’eparchia di Hajdúdorog per i Cattolici di rito bizantino con il pensiero a san Giovanni Paolo II dal quale “abbiamo imparato l’importante verità che la Chiesa di Cristo respira con due polmoni, lo spirito dell’Oriente e lo spirito dell’Occidente, che insieme fanno vivere il Corpo Mistico”.

Poi ha incontrato Ilarion Alfeev, metropolita ortodosso di Budapest, che era il presidente del dipartimento delle relazioni esterne del patriarcato di Mosca quando è scoppiata la guerra in Ucraina.

(Foto: Santa Sede)

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