In Ungheria papa Francesco invita l’Europa a non essere ‘liquida’

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“Giungo come pellegrino e amico in Ungheria, Paese ricco di storia e di cultura; da Budapest, città di ponti e di santi, penso all’Europa intera e prego perché, unita e solidale, sia anche ai nostri giorni casa di pace e profezia di accoglienza”: questa è la frase che papa Francesco ha scritto nel ‘Libro d’Onore’ del presidente della Repubblica ungherese, che ha dato il via al viaggio apostolico, accolto dal vice primo ministro e da un bambino e una bambina in abito tradizionale che gli offrono il pane e il sale, simbolo di vita, di benedizione e buon augurio.

Mentre sull’aereo, rispondendo ad una domanda di Sylwia Wysocka, corrispondente della agenzia polacca PAP, ha definito una ‘cretinata’ le esternazioni in diretta televisiva del fratello di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana quindicenne sparita 40 anni fa, Pietro Orlandi, riportando il contenuto di un audio, in cui parlava di presunte abitudini del Papa polacco, che usciva la sera con due monsignori ‘certo non per benedire le case’.  

Ed a Budapest nel primo discorso nell’incontro con le autorità civili ungheresi, il papa ha messo in guardia dalla ‘via nefasta delle colonizzazioni ideologiche’ e dal ruggito dei nazionalismi che dimenticano la vita dei popoli, con un monito anche contro la ‘cultura gender’ ed il ‘diritto all’aborto’ con l’invito all’accoglienza di chi fugge da guerre e cambiamenti climatici, ricordando la storia della capitale ungherese:

“Sorta in tempo di pace, ha conosciuto dolorosi conflitti: non solo invasioni di tempi lontani ma, nello scorso secolo, violenze e oppressioni provocate dalle dittature nazista e comunista – come scordare il 1956? E, durante la Seconda guerra mondiale, la deportazione di decine e decine di migliaia di abitanti, con la restante popolazione di origine ebraica rinchiusa nel ghetto e sottoposta a numerosi eccidi.

In tale contesto ci sono stati molti giusti valorosi (penso al Nunzio Angelo Rotta, per esempio), tanta resilienza e grande impegno nel ricostruire, così che Budapest oggi è una delle città europee con la maggior percentuale di popolazione ebraica, centro di un Paese che conosce il valore della libertà e che, dopo aver pagato un alto prezzo alle dittature, porta in sé la missione di custodire il tesoro della democrazia e il sogno della pace”.

Non ha dimenticato di ricordare la ricorrenza dei 150 della fondazione della città, nata dall’unione di tre città con un richiamo alle radici dell’Europa: “La nascita di questa grande capitale nel cuore del continente richiama il cammino unitario intrapreso dall’Europa, nella quale l’Ungheria trova il proprio alveo vitale.

Nel dopoguerra l’Europa ha rappresentato, insieme alle Nazioni Unite, la grande speranza, nel comune obiettivo che un più stretto legame fra le Nazioni prevenisse ulteriori conflitti. Purtroppo non è stato così.

Nel mondo in cui viviamo, tuttavia, la passione per la politica comunitaria e per la multilateralità sembra un bel ricordo del passato: pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace, mentre si fanno spazio i solisti della guerra”.

E’ un’amara constatazione, che ha portato alla disgregazione dell’unità delle radici da cui è sorta l’Europa: “In generale, sembra essersi disgregato negli animi l’entusiasmo di edificare una comunità delle nazioni pacifica e stabile, mentre si marcano le zone, si segnano le differenze, tornano a ruggire i nazionalismi e si esasperano giudizi e toni nei confronti degli altri.

A livello internazionale pare persino che la politica abbia come effetto quello di infiammare gli animi anziché di risolvere i problemi, dimentica della maturità raggiunta dopo gli orrori della guerra e regredita a una sorta di infantilismo bellico.

Ma la pace non verrà mai dal perseguimento dei propri interessi strategici, bensì da politiche capaci di guardare all’insieme, allo sviluppo di tutti: attente alle persone, ai poveri e al domani; non solo al potere, ai guadagni e alle opportunità del presente”.

Però ora l’Europa è fondamentale: “Perché essa, grazie alla sua storia, rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico.

E’ dunque essenziale ritrovare l’anima europea: l’entusiasmo e il sogno dei padri fondatori, statisti che hanno saputo guardare oltre il proprio tempo, oltre i confini nazionali e i bisogni immediati, generando diplomazie capaci di ricucire l’unità, non di allargare gli strappi”.

E’ un appello, affinché l’Europa non diventi ‘liquida’, eleminando le ‘differenze’: “Penso, dunque, ad un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli.

E’ questa la via nefasta delle ‘colonizzazioni ideologiche’, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato ‘diritto all’aborto’, che è sempre una tragica sconfitta”.

Ed ha fornito una nuova prospettiva: “Che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia (abbiamo Paesi in Europa con l’età media di 46-48 anni), perseguite con attenzione in questo Paese, dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno.

Il ponte più celebre di Budapest, quello delle catene, ci aiuta a immaginare un’Europa simile, formata da tanti grandi anelli diversi, che trovano la propria saldezza nel formare insieme solidi legami”.

Quindi ha rivolto un invito all’Ungheria a fare da ‘pontiere’: “In ciò la fede cristiana è di aiuto e l’Ungheria può fare da ‘pontiere’, avvalendosi del suo specifico carattere ecumenico: qui diverse Confessioni convivono senza antagonismi (ricordo la riunione che ho avuto con loro un anno e mezzo fa), collaborando rispettosamente, con spirito costruttivo.

Con la mente e il cuore mi dirigo all’Abbazia di Pannonhalma, uno dei grandi monumenti spirituali di questo Paese, luogo di preghiera e ponte di fraternità”.

Ma Budapest è anche una città di santi: “Dunque la storia ungherese nasce segnata dalla santità, e non solo di un re, bensì di un’intera famiglia: sua moglie, la Beata Gisella, e il figlio sant’Emerico. Questi ricevette dal padre alcune raccomandazioni, che costituiscono una sorta di testamento per il popolo magiaro. Oggi mi hanno promesso di regalarmi il tomo, lo aspetto!…

E’ un grande insegnamento di fede: i valori cristiani non possono essere testimoniati attraverso rigidità e chiusure, perché la verità di Cristo comporta mitezza, comporta gentilezza, nello spirito delle Beatitudini.

Si radica qui quella bontà popolare ungherese, rivelata da certe espressioni del parlare comune, come ad esempio: ‘jónak lenni jó’ (è bene essere buoni) ed ‘jobb adni mint kapni’ (è meglio dare che ricevere)”.

Inoltre, riprendendo alcune parole di s. Stefano, il papa ha affrontato il tema dell’accoglienza: “E’ un tema, quello dell’accoglienza, che desta tanti dibattiti ai nostri giorni ed è sicuramente complesso.

Tuttavia per chi è cristiano l’atteggiamento di fondo non può essere diverso da quello che s. Stefano ha trasmesso, dopo averlo appreso da Gesù, il quale si è identificato nello straniero da accogliere.

E’ pensando a Cristo presente in tanti fratelli e sorelle disperati che fuggono da conflitti, povertà e cambiamenti climatici, che occorre far fronte al problema senza scuse e indugi”.

Quindi il papa ha chiesto di affrontare insieme questo tema dell’accoglienza: “E’ tema da affrontare insieme, comunitariamente, anche perché, nel contesto in cui viviamo, le conseguenze prima o poi si ripercuoteranno su tutti.

Perciò è urgente, come Europa, lavorare a vie sicure e legali, a meccanismi condivisi di fronte a una sfida epocale che non si potrà arginare respingendo, ma va accolta per preparare un futuro che, se non sarà insieme, non sarà. Ciò chiama in prima linea chi segue Gesù e vuole imitare l’esempio dei testimoni del Vangelo”.

Ed ha concluso il discorso affidando il Paese ai suoi martiri: “Non è possibile citare tutti i grandi confessori della fede della Pannonia Sacra, ma vorrei almeno menzionare san Ladislao e santa Margherita, e fare riferimento a certe maestose figure del secolo scorso, come il card. József Mindszenty, i beati vescovi martiri Vilmos Apor e Zoltán Meszlényi, il beato László Batthyány-Strattmann. Sono, insieme a tanti giusti di vari credo, padri e madri della vostra Patria. A loro vorrei affidare l’avvenire di questo Paese, a me tanto caro”.  

(Foto: Santa Sede)

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