Trieste abbraccia mons. Trevisi

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Domenica 23 aprile mons. Enrico Trevisi è diventato vescovo di Trieste, accompagnato dal vescovo di Cremona mons. Antonio Napolioni e 150 fedeli, ed accolto da mons. Giampaolo Crepaldi, mons. Carlo Maria Redaelli, da mons. Andrea Bruno Mazzocato, da mons. Michele Tomasi e dal patriarca Francesco Moraglia, che ha detto:

“Non basta stare di fronte alla realtà, ossia alle situazioni di sofferenza e crisi del nostro tempo; una Chiesa deve starvi ‘dentro’, abitarle con passione e simpatia, nell’amore e nella verità, sapendo che solo tenendo insieme verità ed amore sull’uomo si trasmette la redenzione, il dono pasquale di Cristo”.

Dopo i saluti istituzionali il neo vescovo ha rivolto un saluto alle famiglie: “E’ stato bello poco fa incontrare le famiglie e i bambini al Santuario di Monte Grisa: abbiamo pregato perché la nostra Chiesa diventasse una ‘famiglia di famiglie’ lasciandoci contagiare dal quel sano stile familiare che trasuda di complicità, di pazienza, di reciproco ascolto, di corresponsabilità, pur dentro le fatiche, le stanchezze, le inadempienze che tutti ci portiamo appresso. Abbiamo pregato per la pace”.

Ricordando le vittime delle violenze delle guerre, specialmente in terra friulana, mons. Trevisi ha invocato la fine delle guerre: “A dire il vero, noi, come i due discepoli di Emmaus, spesso ci troviamo a discutere e conversare con volto triste. E molti sono i motivi che ci giustificano. Ci sono quelli della storia: e qui davanti all’altare ricordiamo tutte le vittime di ieri e di oggi, di tutti i genocidi, le guerre e le immani cattiverie umane.

Sto leggendo un libro intitolato ‘Adriatico amarissimo’. Una lunga storia di violenza. Affidiamo a Dio le vittime della Risiera di San Sabba e delle foibe di Basovizza e tutte le altre vittime che ci portano a gridare: Mai più! Mai più! Ed invece con tristezza guardiamo al mondo di oggi ancora insanguinato da tante guerre fratricide, da tanti massacri, da tanta miseria che genera profughi, che alimenta disperazione”.

Uno sguardo preoccupato anche sul mondo del lavoro: “Sto seguendo con preoccupazione le sorti della Wärtsilä e dei suoi lavoratori (e so di altre aziende in difficoltà). A volte la tristezza è per l’apprensione per i posti di lavoro, per il futuro delle famiglie, per un’economia e una politica che non trovano le giuste tutele per i giovani, per le donne, per le persone fragili.

Non vuole essere un’accusa, ma la costatazione che abbiamo davanti tutti un lavoro immenso, che tutti siamo chiamati a partecipare per la costruzione di una città dell’uomo più conforme a una famiglia umana dove ciascuno possa sentirsi a casa, dunque accolto, stimato, protetto, valorizzato. Dove ciascuno dà il meglio di sé stesso”.

E’ un invito a non avere uno ‘sguardo’ triste, come sollecitava don Primo Mazzolari, commentando il racconto dei discepoli di Emmaus: “Talvolta la tristezza è per le nostre personali delusioni: come i discepoli di Emmaus ci si sente disillusi. Avevamo tanto sperato… e invece Gesù è stato crocifisso e ucciso. Certo qualcuno, le donne corse al sepolcro, dicono, ci hanno sconvolti…

Ci sono le nostre speranze infrante: la malattia che improvvisamente debilita e tinge di grigio il futuro, le incomprensioni e divisioni in famiglia e proprio dove c’erano alte aspettative, la maldicenza con la quale ci si ferisce e ci si fa reciprocamente del male, anche nella Chiesa, anche dentro le singole comunità”.

E’ un invito ad avere un cuore ardente: “Le parole di Gesù non modificano i crudeli fatti che hanno portato alla Crocifissione, ma danno un senso nuovo alla vita, aprono alla speranza e alla missione. Mettono in movimento. Solo coltivando la nostra spiritualità, dentro il cammino amaro della vita, con le ingiustizie e le cattiverie che subiamo e anche di quelle che ci vedono complici; solo coltivando l’ascolto di un Dio che ci parla riusciremo a ritrovare il senso della missione che ci compete, della vita densa che ci aspetta, del futuro per il quale impegnarci”.

Quindi il neo vescovo ha invitato ad essere missionari: “Un annunciatore è pronto a partire, e sa che il Signore passa in modo sorprendente; deve quindi essere libero da schemi e predisposto ad un’azione inaspettata e nuova: preparato per le sorprese…

Ecco, fratelli e sorelle: è importante avere questa prontezza alla novità del Vangelo, questo atteggiamento che è uno slancio, un prendere l’iniziativa, un andare per primo. E’ un non lasciarsi sfuggire le occasioni per promulgare l’annuncio del Vangelo di pace, quella pace che Cristo sa dare più e meglio di come la dà il mondo”.

Mons. Trevisi ha concluso l’omelia invitando tutti a testimoniare la propria fede: “Questa sera prima di andare a dormire, datti ancora un minuto per sintonizzarti sul Signore. Metterti in ascolto di lui. Ringrazialo per la vita; ringrazialo perché hai una missione in nome di Dio e per il bene di questa umanità ferita. Lasciati toccare dal suo amore, per lasciarti entusiasmare per una missione insieme a Lui.

Ci sono dei fratelli, magari rinchiusi nelle loro paure, come gli apostoli rinserrati nel cenacolo, che aspettano la gioia della tua presenza, la condivisione della tua speranza, la testimonianza della tua fede: di chi si è lasciato incontrare dall’amore del Risorto, che ci ha rintracciati sulle nostre strambe strade e ci ha inviati ai fratelli”.

(Foto: Diocesi di Trieste)

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