54ª Udienza del Processo 60SA in Vaticano. “Chiudiamo questo tormentato capitolo” dice il Presidente, ma non era riferito al processo

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 19.04.2023 – Ivo Pincara] – Quindi, prosegue ad obtorto collo l’epicedio accompagnato da danze come era il costume greco, in scena al Tribunale vaticano nell’Aula polifunzionale dei Musei vaticani, che dal 27 luglio 2021 va avanti con un dibattimento definirlo surreale è un understatement, che speriamo finisca presto, veramente. Anche perché i soldi della Santa Sede vanno spese in modo utile, non in pagliacciate. Nel corso della 54ª Udienza del processo per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato, oggi 19 aprile 2023, il Presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha reso noto che il fratello del Cardinale Angelo Becciu, Antonino, non deporrà in aula come testimone. “Chiudiamo questo tormentato capitolo”. Sono stati escussi tre testimoni e gli avvocati di quattro difese hanno contestano l’“indeterminatezza” dei nuovi capi d’imputazione formulati nei confronti dei loro assistiti dal Promotore di Giustizia.

Citato come testimone dal Tribunale vaticano, Antonino Becciu, alla guida della Cooperativa Spes di Ozieri, in Sardegna, avrebbe dovuto presentarsi in Aula già lo scorso 8 marzo e con lui anche Don Mario Curzu, Direttore della Caritas di Ozieri. Entrambi avevano però disertato opponendo, tramite l’Avv. Ivano Iai, l’assenza di garanzie in Vaticano per chi è indagato in altro procedimento, come è per loro presso la Procura della Repubblica di Sassari, in relazione all’attività della Diocesi, della Caritas e della Cooperativa Spes di Ozieri. Allora, il Presidente Pignatone aveva definito “infondata e irricevibile” la comunicazione del legale, ritenendo esistenti anche in Vaticano tali garanzie, e “illegittima” l’assenza dei due testimoni, riconvocati per l’udienza di oggi. Nella penultima udienza del 29 marzo Pignatone aveva letto anche un’ordinanza con cui ribadiva ancora una volta “tutte le garanzie per un giusto processo” e stabilito che i due si sarebbero dovuti irrevocabilmente presentare questa mattina, anche eventualmente per manifestare la loro facoltà di non rispondere.

Come ha riferito il Presidente Pignatone, Antonino Becciu ha inviato una comunicazione via mail nella quale spiega che non si presenterà nel dibattimento in corso, in quanto intende avvalersi della facoltà di non rispondere, essendo uno “stretto congiunto” dell’imputato. Don Curzu, invece, non ha fatto sapere nulla, e insieme ad altri testimoni che ancora mancano all’appello è stato rimandato dal Presidente Pignatone all’udienza dell’11 maggio. “Come in Parlamento, c’è la prima chiama, la seconda chiama e dopodiché…”, ha commentato scherzosamente Pignatone: “Chiudiamo così questo tormentato capitolo”.

Il primo testimone ascoltato oggi è stato Luigi Rossi, citato dalla difesa di Mons. Mauro Carlino, che rispondendo domande dell’Avv. Mondello, ha smentito l’accusa che l’ex Segretario particolare del Cardinal Becciu fosse a Londra per seguire le trattative per il palazzo al numero 60 di Sloane Avenue nei primi giorni del maggio 2019: “Monsignor Carlino era con me a Portico di Caserta, sono andato a prenderlo al treno, siamo stato a pranzo dalle suore fino alle ore 15.00 e poi abbiamo visto la partita del Lecce a casa mia”. L’Avv. Mondello ha depositato anche una copia delle chat che i due si sono scambiati, e Rossi le ha confermate.

Il secondo testimone è stato Terry Keeley, contabile del WRM Group del finanziere Raffaele Mincione dal settembre 2016 al giugno 2019. L’Avv. Caiazza, difensore di Micione, gli ha chiesto se si fosse occupato del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra: “Non direttamente, mi occupavo di contabilità”. Dopo l’acquisizione dell’immobile da parte della Santa Sede, ha detto però Keeley, ha avuto “contatti con potenziali investitori internazionali” interessati all’acquisto del palazzo di Londra, che lo avevano a sua volta contattato tramite un broker di sua conoscenza. “Ci sono state diverse manifestazioni di interesse” sull’immobile al numero 60 di Sloane Avenue, ma l’unica pervenuta per iscritto e accompagnata da un’offerta – ha riferito Keeley – è stata quella del gruppo Fentom Whelan, inviata tramite mail nel maggio 2020. L’offerta per il palazzo di Londra ammontava a 275 milioni di sterline, ma alla manifestazione di interesse “non c’è stata alcuna risposta”, ha affermato il test dichiarando di non conoscerne il motivo. Alla domanda del Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, sulla presenza di investitori per partecipare all’operazione, Keeley ha risposto in forma affermativa – “altrimenti non facevano neanche la proposta” – ma alla richiesta dei nomi degli investitori il teste ha replicato: “Non lo so, non è il mio lavoro. Si è parlato anche di altre manifestazioni di interesse, ma si è trattato solo di colloqui preliminari senza offerte formali: l’unica offerta formalizzata è stata quella di Fenton Whelan, ma anche qui non si è andati oltre”.

Terzo e ultimo testimone dell’udienza odierna è stato Giulio Corrado e la sua escussione proseguirà domani. Si tratta di un esperto di ristrutturazioni immobiliari-finanziarie e di analisi di investimenti gestiti da fondi, collaboratore del WRM Group di Mincione. “Quando sono arrivato, nel 2015, quello del palazzo di Sloane Avenue era già un progetto importante”, ha dichiarato. “L’investimento era stato fatto nel 2021, a buon mercato per gli acquirenti ma non tanto per chi doveva vendere”. Interpellato dall’avvocato Caiazza sul motivo delle oscillazioni di valore dell’immobile, e in particolare del Nav (Net asset value), Corrado ha spiegato: “Dipendono dalla differenza tra attivi e passivi, e riguardano le potenzialità di sviluppo immobiliare, influenzate dal progetto sottostante. Quando il palazzo è stato acquistato c’erano tre piani di uffici, negozi al piano terra e una palestra. Il valore era dato dagli affitti generati da questi uffici, non c’era nessun progetto di sviluppo”. Poi, il gruppo di Mincione ha pensato di sviluppare un progetto per valorizzare l’immobile anche nel campo residenziale, ma il prestigioso architetto che ha progettato il palazzo non ha firmato tale proposta. Alla domanda se Mincione avesse investito “personalmente” sul palazzo di Londra, Corrado ha risposto di aver constatato, da quando è arrivato in WRM, “nel tempo almeno tre investimenti, tramite varie società a lui riconducibili: uno nel 2014 di 10 milioni di euro, e un’altra di 15”. Dopo la Brexit, “inaspettata”, a dire di Corrado “c’è stato un raffreddamento nel campo mobiliare, e la reazione è stata quella di esplorare nuove alternative”. In merito al rapporto con la Segreteria di Stato, Corrado ha dichiarato che veniva costantemente aggiornata rispetto agli andamenti del fondo. Tanto che la volontà di acquistare l’immobile, prospettata da Luigi Torzi alla fine del 2018, “fu accolta con molto stupore”. “La loro volontà di liquidazione, di uscita dal fondo, ci ha sorpreso. Le richieste si sono fatte più pressanti col passare del tempo. Sono stati tempi inusualmente veloci per una transazione di questo tipo. Le motivazioni non sono mai state espresse di preciso: non abbiamo mai capito perché doveva assolutamente chiudersi entro la fine dell’anno, non ci è stato detto. La richiesta a Mincione per vendere era di poco superiore al Nav, la trattativa si è chiusa alla fine del 2018 con un valore leggermente inferiore al Nav”.

A conclusione dell’udienza, le difese degli imputati Gianluigi Torzi, Fabrizio Tirabassi, Enrico Crasso e Raffaele Mincione hanno contestato con altrettante richieste di nullità l’“indeterminatezza” dei nuovi capi d’imputazione formulati nei confronti dei loro assistiti dal Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, nella scorsa udienza. “Siamo alle prese con capi di imputazione geneticamente modificati”, ha detto il legale di Tirabassi, l’Avv. Cataldo Intrieri. Il Tribunale vaticano si pronuncerà prossimamente sulle varie eccezioni.

Indice – Caso 60SA [QUI]

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