125° giorno del #ArtsakhBlockade. Non chiudiamo gli occhi, non accettiamo le menzogne, guardiamo a quello che sta accadendo nel Caucaso meridionale e le responsabilità

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 15.04.2023 – Vik van Brantegem] – Nel giorno 125, entrando nel quinte mese del #ArtsakhBlockade, l’Azerbajgian continua a rifiutare «ad adottare tutte le misure a sua disposizione per garantire la circolazione senza ostacoli di persone, veicoli e merci lungo il Corridoio di Lachin in entrambe le direzioni» come ha ordinato la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite in una decisione legalmente vincolante il 22 febbraio 2023 e continua ad interrompere la forniture di elettricità e di gas dall’Armenia all’Artsakh.

«I bambini della scuola materna passeggiano nella piazza del Rinascimento a Stepanakert. È il quinto mese del #ArtsakhBlockade» (Siranush Sargsyan).

L’Azerbajgian ha occupato almeno 215 chilometri quadrati di territorio armeno dal 2020. Dopo la sconfitta dell’Armenia nella guerra del Nagorno-Karabakh del 2020, le forze armate azere hanno occupato del territorio sovrano dell’Armenia in diverse occasioni. L’ultima avanzata è avvenuta proprio il mese scorso vicino al villaggio di confine di Tegh, nella regione di Syunik, nel sud dell’Armenia. Secondo le immagini satellitari, le forze armate azere sono avanzate nell’Armenia vera e propria, occupando in totale almeno 215 chilometri quadrati del territorio sovrano dell’Armenia dal 2020.

La politica di frontiera aggressiva dell’Azerbajgian e i suoi obiettivi principali
di Tigran Grigoryan
Civilnet.am, 14 aprile 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

L’11 aprile è scoppiato un combattimento mortale tra le forze armate azere e armene nelle vicinanze del villaggio di Tegh nella regione armena di Syunik. Come si può vedere chiaramente nel filmato pubblicato dal ministero della Difesa armeno, un gruppo di militari azeri si è avvicinato a un’area in cui i militari armeni stavano conducendo lavori di ingegneria e ha aperto il fuoco nella loro direzione. A causa di questa provocazione, è iniziata una scaramuccia, che ha provocato vittime da entrambe le parti.

Alla fine di marzo, le forze azere hanno preso il controllo di una strada temporanea che collega il nuovo percorso del Corridoio di Lachin con l’Armenia e sono avanzate di diverse centinaia di metri nel territorio sovrano dell’Armenia. Le forze armate dell’Azerbajgian hanno installato postazioni militari su parti di terreni agricoli appartenenti ai residenti di Tegh. Il micidiale scontro a fuoco avvenuto l’11 aprile è stato preceduto da giorni di trattative tra le parti.

Gli sviluppi delle ultime settimane vicino a Tegh fanno parte della politica di frontiera aggressiva postbellica dell’Azerbajgian. Mentre tutti i mediatori hanno sollecitato le parti a realizzare la delimitazione e la demarcazione del confine tra Armenia e Azerbajgian, Baku si è impegnata de facto in un proprio processo di “delimitazione e demarcazione”, modificando i fatti sul campo e acquisendo il controllo su altezze chiave e altre aree di importanza strategica lungo il confine.

Questa tattica di annessione strisciante è stata utilizzata da Baku sia in Armenia che nel Nagorno-Karabakh. L’aggressiva politica di frontiera di Baku persegue due obiettivi principali: in primo luogo, trarre vantaggio dalla situazione geopolitica instabile sul terreno e occupare quanto più territorio possibile; e in secondo luogo, avere un’altura in tutte le aree della linea del fronte, sia in Armenia che nel Nagorno-Karabakh.

La cosa ancora più preoccupante è che l’aggressiva politica di frontiera di Baku è accompagnata da tentativi di delegittimare l’Armenia e il diritto all’autodifesa dell’Armenia e del Nagorno-Karabakh. Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha affermato pubblicamente in diverse occasioni che all’Armenia non dovrebbe essere permesso di avere un esercito, e ha anche criticato i Paesi che vendono armi all’Armenia.

L’attacco su larga scala dell’Azerbajgian contro l’Armenia nel settembre 2022 è stato giustificato dall’affermazione che le forze armate armene stavano piantando mine antiuomo lungo la linea del fronte all’interno del territorio dell’Armenia. Baku ha anche cercato di disarmare l’esercito di difesa dell’Artsakh, forza di autodifesa del Nagorno-Karabakh.

Anche l’atteggiamento negativo dell’Azerbajgian nei confronti della Missione di monitoraggio civile dell’Unione Europea fa parte di questo approccio. Il regime di Aliyev mira a imporre militarmente le sue richieste massimaliste all’Armenia, e ogni piccolo ostacolo in questo processo è visto come un problema. In poche parole, Baku sta cercando di normalizzare le sue politiche aggressive sul campo, negando nel frattempo all’Armenia e al Nagorno-Karabakh il diritto all’autodifesa.

Lo scontro a fuoco vicino a Tegh assomigliava allo schema sopra menzionato. L’Azerbajgian è avanzato per la prima volta nel territorio sovrano dell’Armenia e ha iniziato a installare le sue postazioni militari in quella zona. Quando la parte armena ha cercato di installare le proprie posizioni, le forze armate azere hanno iniziato la scaramuccia mortale.

Questa politica di frontiera aggressiva è uno dei principali strumenti nella cassetta degli attrezzi di Baku e sarà continuamente utilizzata anche in futuro. Non ci sono reali garanzie che l’Azerbajgian abbandonerà questa tattica, anche se si svolgerà un vero e proprio processo di delimitazione e demarcazione. Non è un caso che in uno dei suoi recenti discorsi Aliyev abbia affermato che la delimitazione sarà effettuata alle condizioni dell’Azerbajgian.

A questo proposito, è estremamente importante impedire la normalizzazione della politica di frontiera aggressiva di Baku. La mancanza di una forte risposta internazionale incentiva il regime di Aliyev a continuare a perseguire questa tattica sul campo. Dichiarazioni neutre e richieste a entrambe le parti di ridimensionare non sono affatto utili. C’è solo una parte che sta intensificando la situazione sul campo. Tutti gli attori internazionali che assimilano le narrazioni armate dell’Azerbaigian contribuiscono indirettamente al successo di questa politica.

Il bue che chiama l’asino cornuto

«Condanniamo l’incendio della bandiera nazionale dell’Azerbajgian alla cerimonia di apertura del Campionato europeo di sollevamento pesi in Armenia. È preoccupante che gli organizzatori non abbiano adottato misure di sicurezza contro tali azioni di odio. Gli autori dovrebbero essere puniti di conseguenza!» (Aykhan Hajizada, Portavoce del Ministero degli Esteri dell’Azerbajgian).

Il Ministero della Gioventù e dello Sport e il Comitato Olimpico Nazionale della Repubblica di Azerbajgian hanno rilasciato una dichiarazione congiunta: «La bandiera dell’Azerbajgian è stata bruciata in modo dimostrativo da una persona ufficialmente accreditata alla cerimonia di apertura del Campionato europeo di sollevamento pesi a Yerevan, la capitale dell’Armenia, il 14 aprile 2023. La commissione di un tale atto barbaro alla cerimonia alla presenza del Primo Ministro dell’Armenia e la sua approvazione da parte del pubblico armeno, e la descrizione della persona che ha commesso quell’atto come un eroe, è un chiaro esempio di odio etnico, razzismo, xenofobia, e l’azerbajgianfobia in questo Paese, così come è in completa contraddizione con i nobili obiettivi e principi dello sport, che promuove la pace e la comprensione reciproca tra le nazioni. La politicizzazione dello sport è assolutamente inaccettabile. A causa delle pressioni psicologiche in Armenia, dove prevale un tale clima di odio e la sicurezza non è garantita, la normale partecipazione degli atleti azeri alle competizioni è impossibile. Tenendo conto di ciò, è stata presa la decisione di riportare gli atleti azeri in patria. L’Armenia dovrebbe garantire il loro ritorno sicuro. Chiediamo alla comunità internazionale e alle istituzioni sportive internazionali di condannare fermamente questo atto barbaro. Chiediamo anche alla Federazione europea di sollevamento pesi di imporre sanzioni contro l’Armenia. Riteniamo che questo incidente dimostri che l’Armenia non è in grado di organizzare competizioni sportive internazionali e garantire la sicurezza degli atleti».

«Mentre tornano a casa, lasciate che prendano un paio di bandiere dell’Azerbajgian dal loro posto genocida del #ArtsakhBlockade come premio di consolazione» (Nara Matini).

«”Bruciare la bandiera dell’Azerbajgian non aiuta ad avvicinarci alla pace”. Sai cos’altro no? Blocco dell’Artsakh. Torturare prigionieri di guerra armeni. Esecuzione di civili armeni. Occupazione del territorio armeno sovrano. Distruggere il patrimonio culturale armeno. Incitamento all’odio contro gli Armeni» (Alex Galitsky).

«L’organo investigativo dell’Armenia ha dichiarato che non vi era alcun elemento criminale nelle azioni del designer armeno Aram Nikolyan, che ha incendiato la bandiera dell’Azerbajgian alla cerimonia di apertura del Campionato europeo di sollevamento pesi tenutosi a Yerevan», ha dichiarato Alexander Gochubayev, l’avvocato di Aram Nikolyan. «È positivo che nella fase iniziale delle indagini, l’organo investigativo abbia affermato che non vi è alcun elemento criminale. Secondo le informazioni preliminari, non verrà aperto alcun procedimento penale contro Aram Nikolyan», ha osservato Gochubayev.

«Mentre in Azerbajgian l’assassino con l’ascia, che ha ucciso l’Armeno addormentato, è diventato un eroe, in Armenia un ragazzo ha bruciato la bandiera dell’Azerbajgian e contro di lui è stato avviato un procedimento per teppismo. Vedi la differenza?» (Tatevik Hayrapetyan).

Twittare sconvolto su una bandiera e difendere un regime governato da un autocrate cleptocrate che corrompe politici e giornalisti per mascherare le sue violazioni dei diritti umani e crimini di guerra, è assolutamente folle rispetto a ciò che la Turchia e l’Azerbajgian hanno fatto agli Armeni negli ultimi 100 anni, non degno per un tweet di protesta, anzi, negandolo.

Il retweet dell’Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania: «Durante la cerimonia di apertura dei Campionati europei di sollevamento pesi del 2023 a Yerevan, in Armenia, ha avuto luogo l’atto barbaro e la bandiera dell’Azerbajgian è stata incendiata. Ciò è profondamente inaccettabile e dimostra che l’Armenia non è pronta ad ospitare tali eventi».

L’Azerbajgian è colpevole di molte violazioni dei diritti umani e ha commesso atroci crimini di guerra contro gli Armeni, nella più totale impunità: decapitazione di civili innocenti, tortura di prigionieri di guerra, mutilazioni di cadaveri, uccisione di poliziotti, militari e civili armeni durante il regime di cessate il fuoco, e #ArtsakhBlockade, l’elenco è lungo. Per la cronaca: la persona che ha dato fuoco alla bandiera azera era il fratello di un civile che è stato decapitato da un soldato azero per ordine del Presidente dell’Azerbajgian. L’Azerbajgian è la definizione di terrorismo di frontiera. È sconvolgente che le forze armate azere possano continuare a uccidere gli Armeni impunemente. Basta sciocchezze da parte di questo diplomatico di Aliyev in Germania.

«L’atto barbaro è la fame e il congelamento di 30.000 bambini armeni sotto il #ArtsakhBlockade da parte dell’Azerbajgian. Bruciare una bandiera che rappresenta il regime genocida azero si chiama protesta contro le sue azioni barbariche» (Dao Paris).

L’attività lavorativa alla miniera di Sotk (che sorge sul confine tra Armenia e Azerbajgian, è stata interrotta dalla parte armena a causa di ripetuti colpi di arma da fuoco sparati dalle forze armate azeri. Anche l’11 aprile, quando c’è stato l’attacco mortale delle forze armate azere a Tegh, hanno sparato alla miniera di Sotk [QUI].

Non noto proteste indignate da parte di chi si strappa le veste per una bandiera bruciata, per questa ennesima violazione del cessato il fuoco con lo scopo di impedire la vita economica.

Poi, parlando della bandiera dell’Azerbajgian: «La bandiera dell’Azerbajgian è stata conservata intatta presso la Yerevan Brandy Factory per decenni. Il “Barile della Pace” è stato installato nella fabbrica di cognac di Yerevan in onore della visita dei co-Presidenti del gruppo OSCE di Minsk il 6 novembre 2001. I governi sono cambiati, ma non è stato rimosso; è conservato. In questo barile viene invecchiato il cognac prodotto nel 1994, anno simbolo del cessate il fuoco della Prima Guerra del Karabakh. Il barile si chiama “Pace” e verrà aperto quando il conflitto del Nagorno-Karabakh sarà risolto. Il cognac è buono quando è invecchiato, ma in questo caso spero che si apra il prima possibile. Poiché ciò non è avvenuto, i visitatori del Museo Ararat lasciano le loro firme direttamente sulle pareti dietro il barile. In questo modo, le persone mostrano il loro sostegno all’instaurazione della pace ed esprimono opposizione alla guerra» (Roberto Anayan).

La persona che ha bruciato la bandiera dell’Azerbajgian è stata arrestata con l’accusa di teppismo e la bandiera è stata immediatamente sostituita.

L’Azerbajgian continua a negare di aver bloccato il Corridoio di Berdzor (Lachin), ma per qualche motivo misterioso, per i media e i troll azeri rimane un evento degno di nota ogni volta che gli “eco-attivisti” lasciano passare un convoglio del Contingente di mantenimento della pace russo o del Comitato Internazionale della Croce Rossa, che sono gli unici “veicoli civili” (altrettanto misterioso cosa trovano di “civile” in questi mezzi di trasporto militari e umanitari) che fanno passare (e non sempre senza creare problemi o senza respingimenti), passaggio che di volta in volta deve essere concordato previamente con le autorità statali azeri. La notizia quotidiano è sempre corredata da ampia documentazione fotografica e video.

«Continua il libero passaggio dei veicoli civili sulla strada Lachin-Khankandi, dove si svolge l’azione di protesta contro lo sfruttamento illegale dei giacimenti minerari nelle aree sotto il temporaneo controllo delle forze di mantenimento della pace russe, riferisce da Shusha il corrispondente di APA. Sono state create le condizioni per il passaggio senza ostacoli dei veicoli appartenenti al Contingente di mantenimento della pace russo attraverso la strada Lachin-Khankandi, riferisce il corrispondente dell’APA assegnato a Shusha. I veicoli appartenenti a Contingente di mantenimento della pace russo hanno effettuato il passaggio senza alcun ostacolo. 5 camion hanno attraversato l’area di protesta da Khankandi e si sono mossi senza ostacoli verso Lachin» (Azeri-Press Agency, agenzia stampa statale dell’Azerbajgian).

Credono a tutte menzogne ma di fronte alla verità chiedono fonti e prove

Una volta che viene scoperto il castello di menzogne molti menzogneri reagiscono mostrando aggressività e rabbia nei confronti di coloro che mettono in discussione quanto sostenuto, non perché scoperti ma perché non creduti; oppure si impegnano per credere e far credere di essere delle vittime, di avere ragione di essere ingiustamente attaccato.

8 tipiche reazioni del menzognero quando viene smascherato

  1. Tende ad alzare il tono di voce. In questo modo rimarca ciò che sta dicendo, affermando la sua autorità.
  2. Aggiunge dettagli superflui alla storia. In questo modo spera di rendere il racconto ancora più reale.
  3. C’è una dissonanza tra ciò che viene detto e il linguaggio del corpo. Ad esempio potrebbe raccontare un fatto, facendo un lieve cenno di diniego con il capo.
  4. Si mette sulla difensiva reagendo con rabbia. Le persone che sanno di dire la verità si offendono semplicemente. Al contrario chi mente, tende ad arrabbiarsi.
  5. Prova a cambiare argomento. Il menzognero sarà ben felice di modificare il tema di conversazione, al contrario chi è sincero si sentirà imbarazzato o confuso, cercando di tornare all’argomento precedente.
  6. Inizia a sudare. Alcune persone quando mentono tendono a sudare di più. A questo dato bisogna tuttavia prestare molta attenzione.
  7. Detesta ripetere. Chi dice falsità non sopporta ridire le cose, per questo motivo cercherà di evitarlo. Se viene incalzato a farlo, è bene osservare il linguaggio del corpo e i segnali che indicano che si sta mentendo, come lo sguardo assente che evita il contatto o i movimenti più veloci di braccia e gambe per esempio.
  8. Non ama il confronto diretto. Tende quindi a raccontare la menzogna ricorrendo più a messaggi scritti o audio. In questo modo si ha la possibilità di riflettere e di prendere tempo.

«In verità [per] quelli che non credono, non fa differenza che tu li avverta oppure no: non crederanno. Allah ha posto un sigillo sui loro cuori e sulle loro orecchie e sui loro occhi c’è un velo; avranno un castigo immenso. Tra gli uomini vi è chi dice: “Crediamo in Allah e nel Giorno Ultimo!” e invece non sono credenti. Cercano di ingannare Allah e coloro che credono, ma non ingannano che loro stessi e non se ne accorgono. Nei loro cuori c’è una malattia e Allah ha aggravato questa malattia. Avranno un castigo doloroso per la loro menzogna. E quando si dice loro: “Non spargete la corruzione sulla terra”, dicono: “Anzi, noi siamo dei conciliatori!”. Non sono forse questi i corruttori? Ma non se ne avvedono. E quando si dice loro: “Credete come hanno creduto gli altri uomini”, rispondono: Dovremmo credere come hanno creduto gli stolti?”. Non sono forse loro gli stolti? Ma non lo sanno. Quando incontrano i credenti, dicono: “Crediamo”; ma quando sono soli con i loro dèmoni, dicono: “Invero siamo dei vostri; non facciamo che burlarci di loro”. Allah si burla di loro, lascia che sprofondino nella ribellione, accecati. Sono quelli che hanno scambiato la retta Guida con la perdizione. Il loro è un commercio senza utile e non sono ben guidati. Assomigliano a chi accende un fuoco; poi, quando il fuoco ha illuminato i suoi dintorni, Allah sottrae loro la luce e li abbandona nelle tenebre in cui non vedono nulla. Sordi, muti, ciechi, non possono ritornare» (Sura II – Al-Baqara [La Giovenca], 6-18).

Istituto Lemkin per la Prevenzione di Genocidio
Intervista a SarahTanzilli

(Nostra traduzione italiana dall’inglese [QUI])

Qualche settimana fa, la responsabile del programma dell’Istituto Lemkin, Léa Périllat, ha avuto l’opportunità di incontrare Sarah Tanzilli, membro dell’Assemblea nazionale francese.

Tanzilli è profondamente impegnata con il popolo dell’Armenia e dell’Artsakh, avendo lei stessa radici armene. Difende nel Parlamento francese gli interessi del popolo armeno e si batte per garantire la sua sicurezza di fronte alle crescenti minacce esistenziali dei suoi vicini Azerbajgian e Turchia. In particolare, ha presentato lo scorso ottobre una risoluzione “per chiedere la fine dell’aggressione dell’Azerbajgian contro l’Armenia e per stabilire una pace duratura nel Caucaso meridionale”.

Durante questa intervista, Tanzilli ha discusso del blocco in corso nell’Artsakh, della questione della distruzione del patrimonio culturale armeno, della logica dei blocchi politici o del ruolo della Francia nella prevenzione di un nuovo genocidio alle porte del continente europeo.

Come un razzo composto da più fasi, Tanzilli vede la politica dello Stato azero nei confronti del popolo armeno come un accumulo di politiche e sviluppi che culmineranno nell’eliminazione e nella totale scomparsa della popolazione.

Vorrei iniziare questo scambio con il blocco in corso nell’Artsakh. Dal 12 dicembre, il Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega l’autoproclamata repubblica all’Armenia, è bloccato dai manifestanti azeri. Più di 120.000 abitanti armeni sono rimasti intrappolati in una situazione sempre più precaria. L’Istituto Lemkin per la Prevenzione di Genocidio ha denunciato il blocco fin dal primo giorno, ma la situazione è stata contenuta e centinaia di migliaia di persone restano al freddo. Come persona con radici armene ed estremamente impegnata per la causa del popolo armeno, come affronti questa situazione (a livello personale)?
È molto importante capire cosa sta succedendo e contestualizzare la situazione. Prima di esprimere la mia opinione su questo, volevo davvero insistere sul contesto. Il blocco che i 120.000 Armeni dell’Artsakh stanno affrontando oggi fa parte di un processo che mira a impedire a queste persone il rispetto dei loro diritti fondamentali da oltre 30 anni.
È stato un popolo che, nel contesto della caduta dell’URSS, ha lottato per la sua libertà e dopo 6 anni di guerra, ha vissuto 30 anni di isolamento sul piano politico ed economico, ha lottato con tutte le sue forze per costruire uno stato efficace e protettivo. Due anni fa, nella guerra dei 44 giorni, la morte è letteralmente caduta sulle loro teste. A quel tempo, nonostante la situazione estremamente precaria che vivevano le popolazioni locali, nonostante il destino a cui erano sottoposti coloro che stavano per tornare in questo territorio, nonostante le previsioni che si facevano allora, 120.000 dei 150.000 Armeni dell’Artsakh hanno fatto la scelta di tornare o rimanere in Artsakh. Ho voluto sottolinearlo perché mostra la loro determinazione a vivere nella loro terra.
Secondo me, l’obiettivo di questo blocco è rompere questa determinazione, rompere questa determinazione in modo che quando finirà, perché non posso immaginare che non finirà prima o poi, queste popolazioni saranno spinte a fuggire. Lo dico in questo momento perché è questo che mi tocca particolarmente perché anche i miei nonni, i miei bisnonni sono stati costretti a lasciare le loro case, a lasciare le terre che erano state loro per diversi millenni. Furono mandati in esilio. Così, attraverso la storia degli Armeni dell’Artsakh, riaffiora tutta la storia dei sopravvissuti al genocidio del 1915. Come hai detto, questa storia è la storia della mia famiglia, quindi mi colpisce particolarmente.
Allo stesso tempo, fa eco al mio impegno per il riconoscimento del genocidio armeno, alla mia mobilitazione negli ultimi 20 anni per allertare la gente sulla minaccia che il blocco turco-azero rappresenta per il popolo armeno.
Per molto tempo ci è stato detto che questa storia fa parte del passato. Ma ciò che sta accadendo oggi in Artsakh, ciò che accade dal 2020, è proprio la prova che non è nel passato, che è ancora attuale e che questa dimensione genocida dello sterminio della popolazione armena, prima in Anatolia e poi oggi nel Caucaso, è ancora rilevante.

C’è qualcosa nella sua risposta che ha attirato immediatamente la mia attenzione: queste sono persone che sono lì da centinaia e migliaia di anni. Anche se, spesso, vengono presentati come se fossero lì da qualche anno, quindi non hanno niente da fare lì e quindi le aspirazioni azere nei loro confronti sono del tutto legittime.
Questa affermazione si sovrappone a una domanda che volevo farla, ovvero che essendo lì da centinaia di anni, hanno un patrimonio, hanno la loro cultura, hanno uno stile di vita, hanno edifici, strutture che sono lì da centinaia o addirittura migliaia di anni. Ciò che sta accadendo negli ultimi 30 anni e più è una distruzione quasi sistematica da parte dell’Azerbajgian, in particolare del patrimonio culturale e religioso degli armeni sia in Armenia che in Artsakh. La Francia ha firmato un gran numero di convenzioni e trattati volti a preservare il patrimonio culturale di Paesi nel mondo. Nel caso del conflitto in Artsakh, l’Assemblea Nazionale ha approvato lo scorso novembre una risoluzione, invitando le parti a preservare il patrimonio culturale e religioso del territorio armeno e del Nagorno-Karabakh sotto il controllo azero. Cosa può fare la Francia per la continua distruzione del patrimonio culturale armeno nella regione del Caucaso meridionale? Come possiamo preservare questo patrimonio secolare, come possiamo rendere le persone consapevoli che ciò che sta accadendo fa parte di un processo più ampio che è genocida?
Ha ragione; infatti, la politica di eradicazione delle popolazioni armene è sempre stata accompagnata da una politica di distruzione delle tracce fisiche della presenza armena su questi territori.
Basta guardare Ani, una grande capitale del Medioevo, che è un luogo importante per la civiltà e la cultura armena. Basta vedere lo stato in cui questo territorio è abbandonato per capire che la politica missilistica a più stadi dell’Azerbajgian funziona. Dopo aver fatto sparire le popolazioni, vogliono far sparire ogni traccia di queste popolazioni per poter riscrivere la storia legata a questi territori (che è lo stadio finale del razzo); e, così facendo, cancellare la presenza armena dalla storia di questi territori.
Quindi, per agire su questo tema, abbiamo uno strumento che esiste a livello internazionale, che è destinato ad essere fortemente mobilitato su questo tema: l’UNESCO. Tuttavia, questa azione a favore della conservazione del patrimonio culturale non può essere portata avanti isolatamente perché c’è anche la questione dell’integrità degli Stati territoriali che stabilisce che abbiamo l’autorizzazione degli Stati ad intervenire per preservare il patrimonio.
È fondamentale che le organizzazioni internazionali facilitino il processo di protezione di questo patrimonio. Questo è dove sta il problema; lo sappiamo perfettamente. Dal 2020, ci sono state importanti mobilitazioni per fare pressione sull’UNESCO affinché agisse, ma invano. Questo era già avvenuto nell’enclave azerbajgiana di Nakhichevan, dove negli anni ’90 c’erano stati forti appelli all’intervento dell’UNESCO perché quasi tutti i khachkar (croci di pietre specifiche dell’architettura religiosa armena, molto sintomatiche della presenza di armeni in questi territori) erano mirata.
Infine, purtroppo, le azioni che sono state intraprese non hanno avuto successo perché oggi non abbiamo trovato soluzioni per finanziare queste organizzazioni internazionali e l’Azerbajgian ha capito benissimo che potrebbe usare i petrodollari per finanziare l’UNESCO e, alla fine, guadagnarsi una reputazione di benevolenza . Direi addirittura che l’UNESCO è diventato compiacente nei confronti dell’Azerbajgian e che abbiamo un’organizzazione internazionale che non è affatto all’altezza della gravità della situazione a livello culturale e del patrimonio.

Raphael Lemkin, l’uomo che ha coniato il termine “genocidio”, includeva specificamente non solo lo sterminio fisico di un popolo, ma anche situazioni che privano un gruppo di persone del diritto a una vita sicura e protetta. Eppure questo è il tipo di violenza a cui stiamo attualmente assistendo nel blocco dell’Artsakh, dove le persone vengono intenzionalmente private di calore, elettricità e luce in pieno inverno dalle forze statali azere. Attualmente, questo evento è evidenziato solo come una crisi umanitaria, ma dovrebbe anche essere riconosciuto come parte di un processo di genocidio e ricevere l’attenzione internazionale, ma non lo è. Cosa impedisce ai governi europei, compresa la Francia, e l’Unione Europea, di riconoscere nuovamente questi modelli simili così vicini al proprio suolo?
Farei una distinzione tra la Francia e l’Unione Europea. Penso che la posizione in Francia e la posizione in Europa non siano del tutto identiche. È vero che l’angolo adottato in termini di azione è un angolo umanitario e penso che sia una scelta che si fa per permettere di sbloccare più velocemente la situazione perché, ovviamente, quando spieghiamo che c’è una crisi umanitaria, non è una diplomazia internazionale di aiuti umanitari che può essere messa in atto. Lo vediamo molto chiaramente in questo momento per quanto riguarda la Turchia dopo il terremoto. Pertanto, questo angolo non è del tutto privo di interesse.
Penso che in Francia si possa ritenere che la classe politica sia abbastanza unanime nel condannare il blocco per quello che è. Ha ragione, fa parte di una politica di genocidio, una politica di pulizia etnica, di eradicazione della popolazione, senza dubbio. Questo fa parte di una dinamica che non è iniziata 2 anni fa, che non è iniziata 20 anni fa, che è iniziata 150 anni fa.
È molto più complicato convincere l’Unione Europea ad agire. Sia che si possa chiamarla una crisi umanitaria o un’azione legalmente qualificata di genocidio; l’azione è molto debole da parte dell’Unione Europea.
Alla fine di novembre, l’Assemblea Nazionale francese si è pronunciata e ha adottato una forte risoluzione a favore dell’Armenia. Questo era ovviamente prima del blocco, ma ho già chiarito che la comunità internazionale nel suo insieme non ha molto da guadagnare sostenendo l’Armenia se non il suo onore e il rispetto dei suoi principi.
D’altra parte, abbiamo uno Stato, l’Azerbajgian, che presenta molti interessi e opportunità. Il Presidente della Commissione Europea ha qualificato l’Azerbajgian, che è, dopotutto, una delle dittature più dure del pianeta, come un partner affidabile. Perché il nostro Presidente della Commissione Europea definisce l’Azerbajgian un partner affidabile? Perché ha in programma di sostituire parte delle importazioni di gas dell’Unione Europea dalla Russia con gas dall’Azerbajgian. Devo confessare che non ho ancora compreso appieno la logica di ciò dal punto di vista economico, perché hanno in programma di finanziare turbine eoliche offshore nel Mar Caspio per fornire elettricità a una parte dell’Europa, e in particolare all’Europa dell’Est. Quindi chiaramente, ci troviamo in una situazione in cui il Presidente della Commissione Europea non intende sacrificare quelli che considera gli interessi dell’Unione Europea con l’Azerbajgian.
Alla fine, non importa per loro che l’Azerbajgian fornisca gas all’Unione Europea che proviene effettivamente dalla Russia, e non importa che le società del gas russe sanzionate siano azionisti del fornitore di gas azero SOCAR, non importa, e penso che sia importante sottolineare questo punto, che questo accordo tra Putin e Aliyev è potenzialmente la ragione dell’inerzia delle forze militari russe [come forze di mantenimento della pace nell’Artsakh]. Continuiamo a trovarci in una situazione in cui abbiamo la Commissione Europea che non solo non agisce per sbloccare questa situazione, ma che, al contrario, è in definitiva molto attiva nel creare le condizioni che spiegano questo blocco.

Lei ha ribadito che l’Armenia e il popolo dell’Artsakh, nonostante la loro incrollabile determinazione, e cito, “non rimarranno soli di fronte alla petro-dittatura azera da un lato e al potere militare-imperialista turco dall’altro”. Ha ricordato ancora una volta che l’Armenia e l’Artsakh devono allearsi. In Francia sappiamo che ci sono milioni di Armeni, e anche il Presidente della Repubblica ha ripetuto nelle interviste che non li deluderebbe. Ma concretamente oggi non si fa nulla, almeno in relazione al blocco. Perché la Francia, il Signor Macron e il suo governo, non adottano misure concrete per porre fine a questa situazione?
Ha ragione a specificarlo. Credo sia importante precisarlo e lo scopo della nostra conversazione è parlare del blocco, perché oggi è la priorità. Ma dobbiamo essere consapevoli che la minaccia non è solo per l’Artsakh, ma anche per l’Armenia.
Ce ne siamo accorti lo scorso settembre durante l’offensiva del 13 e 14 settembre. L’obiettivo ideologico dell’Azerbajgian è lo sradicamento del popolo armeno; l’obiettivo strategico dell’Azerbajgian e della Turchia è il corridoio che collega la Turchia all’Azerbajgian e garantire la continuità geografica di tutti i Paesi di lingua turca dell’Asia. Quello che manca e che ostacola la costituzione di questo blocco geografico è il piccolo collegamento tra Nakhichevan e Azerbajgian. In realtà sappiamo benissimo che la minaccia grava sia sull’Artsakh che sull’Armenia.
Penso che dovremmo riconoscere che il Presidente Macron è riuscito a coinvolgere i suoi partner europei facendo votare il Consiglio Europeo sullo spiegamento di una missione di monitoraggio al confine armeno-azerbajgiano. Questo non è un lusso perché è una sorta di scudo, una sorta di protezione, una garanzia per l’Armenia.
Noi (i parlamentari) rimaniamo mobilitati. La posizione dell’Assemblea Nazionale o la posizione del Senato non è necessariamente la posizione del governo, del Presidente della Repubblica o del Quai d’Orsay (Ministero degli Affari Esteri). Siamo fortemente mobilitati per garantire che ci sia davvero un sostegno concreto, compreso l’aiuto militare. Sul piano difensivo, oggi, mi sembra che la priorità degli amici dell’Armenia dovrebbe essere quella di rafforzare l’Armenia. Rafforzare l’Armenia prima di tutto a brevissimo termine significa darle la possibilità di difendersi militarmente. E poi, a lungo termine, rafforzare l’Armenia significa creare le condizioni per consentirle di essere più forte a livello energetico, a livello economico per ottenere la sovranità.
Per rispondere al problema di cui parlavamo prima quando abbiamo detto che “beh, non abbiamo nulla da guadagnare, tranne il nostro onore”, per aiutare l’Armenia. Se riusciamo a rafforzare economicamente l’Armenia, a stabilire grandi società internazionali in Armenia, sono convinto che l’interesse della comunità internazionale nel suo insieme per questo Paese sarà più importante.
E penso, bisogna dirlo con molta franchezza, abbiamo un limite che è legato alla logica di blocchi che prevalgono nelle relazioni internazionali. Le faccio un esempio un po’ più lontano da noi, ma che mostra chiaramente di cosa si tratta. Non sono molti gli Stati che vengono in appoggio all’Armenia, ce n’è uno: è l’India. Perché l’India sostiene l’Armenia? Perché l’India ha una situazione piuttosto complicata con uno dei suoi vicini, il Pakistan. E il Pakistan è in strettissimo rapporto con la Turchia, con l’Azerbajgian, al punto che il Pakistan non solo non riconosce l’Artsakh (quello ovviamente), ma non riconosce la Repubblica di Armenia. Quindi, ovviamente, l’India vede un certo interesse in termini di logica dei blocchi e relazioni internazionali per venire a sostegno dell’Armenia. Credo che questo sia parte di una chiave di lettura della situazione e uno degli elementi che pone maggiori difficoltà per riuscire a coinvolgere le forze democratiche in un approccio proattivo per rimuovere questo blocco e venire concretamente in aiuto dell’Armenia.

Vorrei rivolgere a lei come deputato una domanda relativa al suo lavoro. In che modo, quotidianamente, attraverso il suo mandato nell’Assemblea Nazionale, porta avanti la causa armena? Come mette in atto un processo che permetta, a livello politico francese, di sensibilizzare non solo i vostri colleghi (la classe politica francese è abbastanza unanime su quanto sta accadendo in Armenia e in Artsakh) ma nel vostro collegio elettorale che consenta concretamente i francesi a rendersi conto di ciò che sta accadendo?
Ho un distretto che è già abbastanza sensibile a questo problema poiché ho un comune chiamato Décines-Charpieu che molto rapidamente dopo il genocidio ha accolto rifugiati e sopravvissuti. Rappresentano il 1/3 della popolazione di questo comune. C’è una storia. A Décines è stato costruito il primo edificio non religioso della comunità armena in Francia. A Décines è stato costruito il primo monumento commemorativo in onore e memoria delle vittime del genocidio armeno. Poche persone, inoltre, non conoscono o non hanno un amico, un vicino, un compagno di classe, eccetera, che sia di origine armena, che sia Armeno a causa delle successive ondate migratorie. Ho la fortuna di avere un collegio elettorale molto sensibile a questo argomento. Quello che sto cercando di fare è collocare questo evento in un contesto internazionale più ampio che dovrebbe, a mio avviso, interessare e interessare i francesi di oggi.
Per molto tempo (diciamo dalla caduta del muro [di Berlino] e fino a pochi anni fa), abbiamo pensato che il liberalismo avesse sostituito la storia e che la questione della rinascita degli imperi e della guerra fosse una cosa del passato. All’epoca si riteneva che tutti gli Stati avessero interesse a preservare e mantenere la pace, perché questa era la condizione sine qua non di un sistema che funzionasse bene sul piano economico. Abbiamo visto che ovviamente non è così semplice.
La proliferazione e il rafforzamento dei regimi dittatoriali e delle democrazie è all’opera. Ne parlavamo in particolare della Turchia, e così via, e alla fine ci siamo resi conto che ci sono realtà che si impongono e che ci sono Stati democratici e altri no. Un regime che prima o poi diventa dittatoriale entrerà in una logica imperialista perché, per durare, un potere dittatoriale deve colpire l’esterno. Questo è ciò che sta accadendo con la Russia, questo è ciò che sta accadendo con la Turchia.
È così che cerco di affrontare la questione, che se non siamo in grado di mostrare solidarietà tra regimi democratici, allora credo che noi stessi saremo minacciati a un certo punto.
La logica che dobbiamo avere è una logica geografica, ma è anche una logica di valore. Perché le democrazie sono in ritirata e ad un certo punto rischiamo di ritrovarci completamente soli. Questo è ciò che ci sta accadendo alla fine, quando guardiamo alla guerra in Ucraina. L’Europa e gli Stati Uniti, alla fine, sono molto soli. Perché in altri paesi meno democratici si preoccupano meno delle libertà individuali e delle libertà collettive delle persone. Beh, a loro non importa molto se uno stato invade un altro stato. Credo che sia necessario riattivare una logica di solidarietà tra democrazie che, a mio avviso, dovrebbe prevalere su tutto il resto.
Prima parlavamo della logica dei blocchi. È certo che oggi, se guardiamo in modo molto neutrale e freddo alla situazione dell’Armenia e al suo rapporto con l’Azerbajgian e la Turchia, possiamo vedere che l’Europa e gli Stati Uniti, che sono in un’alleanza militare con la Turchia all’interno della NATO; che sono in un’alleanza, nel caso dell’Europa, a livello energetico con l’Azerbajgian, si oppongono a questa alleanza intorno alla Russia. Ma sono profondamente convinto che questa sia solo una scelta di default. Una scelta che non è una scelta. L’Armenia non ha la possibilità di scegliere la propria alleanza perché dall’altra parte ci sono Stati che vogliono la scomparsa dell’Armenia e dell’Artsakh e delle persone che vi abitano. Finché restiamo chiusi in queste logiche di blocco, le modalità di sostegno dell’Unione Europea, della Francia, degli Stati Uniti saranno limitate e questo nonostante tutta la volontà che il Presidente Macron potrà avere di trovare soluzioni.
Il Consiglio di coordinamento delle associazioni armene di Francia ha incontrato non molto tempo fa il Presidente e lui stesso ha manifestato la sua determinazione a cercare di trovare una soluzione, in particolare per quanto riguarda il Corridoio di Lachin e il blocco dell’Artsakh. Siamo su un territorio dove ci sono soldati russi. Un’operazione fisica su questo territorio, da parte di un esercito europeo o francese, pone interrogativi e richiede prudenza e vigilanza, tanto che oggi, alla luce dell’intero contesto internazionale, questa opzione sembra molto complicata da attuare. Sì, ci sono molte, molte cose che si sovrappongono, motivo per cui la mia risposta è un po’ complicata.

In chiusura, volevo solo lasciare la parola a lei, se vuole dire qualcosa in particolare o se ha un messaggio da trasmettere.
Il messaggio che posso trasmettere è proprio quello che consiste nel dire che oggi, la cosa certamente più utile è sensibilizzare l’opinione pubblica nei regimi democratici su questa situazione. In particolare per quanto riguarda la dimensione profondamente genocida del blocco e della politica che è stata sviluppata globalmente da Turchia e Azerbajgian. Perché in realtà, come ha detto prima, questa politica di genocidio esiste da 150 anni. È profondamente nutrito tra le popolazioni turche e azere, a cui viene insegnato in tenera età che l’Armeno è una sotto-razza, che è peggio di un cane, che merita la morte. In Turchia c’è un insulto, che è abbastanza rivelatore, un insulto che è “sperma armeno”. C’è una dimensione razzista che è drammatica; si ritiene che biologicamente, geneticamente, queste persone non abbiano il diritto di vivere.
Questa politica genocida non si è mai fermata. Si esprime col rimbalzo quando se ne presenta l’occasione; quando le condizioni sono favorevoli. Oggi è chiaro che, alla luce degli accordi impliciti tra Russia e Azerbajgian sul gas, ci sono tutte le condizioni affinché nessuno si muova e tutti lascino bloccare, attaccare o aggredire gli Armeni, sia che si tratti di Russi o altri.
Questa politica di genocidio è ovviamente una minaccia per queste popolazioni in primo luogo, ma questi regimi dittatoriali sono anche minacce per le nostre democrazie. Sono anche minacce per gli Europei, per i Francesi e anche se sono sulla loro isola, per gli Americani.
Credo che se c’è una cosa che dobbiamo riuscire a fare, è far passare questo messaggio nel modo più globale, generale e collettivo possibile. La leva più efficace che abbiamo è certamente riuscire a coinvolgere l’opinione pubblica in queste democrazie e quindi far muovere i politici attraverso l’opinione pubblica. I politici hanno ovviamente un ruolo importante da svolgere; i media hanno un ruolo importante da svolgere; lei stessa ha un ruolo da svolgere e lo svolgi molto bene perché è molto mobilitato a diffondere messaggi inequivocabili su ciò che sta accadendo lì.
Ecco il mio messaggio: non tacciamo, non chiudiamo gli occhi, guardiamo in faccia la realtà di quello che sta accadendo laggiù, e prendiamola per quello che è e proviamo, attraverso l’opinione pubblica, a fare democrazie muoversi e siamo molto onesti anche per far muovere gli Stati Uniti. A livello internazionale, nessuno è uguale agli Stati Uniti, e il potere che ha e la sua forza trainante è essenziale.
Un altro messaggio in relazione a questo. Dicevamo prima della logica dei blocchi. Ciò pone delle difficoltà, ma può anche essere una reale opportunità per bloccare il processo in corso in modo molto pragmatico e di breve termine. Anche l’Europa e gli Stati Uniti hanno influenza su Turchia e Azerbajgian per dire basta.
Un ultimo elemento di cui volevo parlare prima sulle risposte perché è un punto fondamentale per capire fino in fondo cosa sta accadendo, soprattutto sul Corridoio di Lachin. È importante ricordare che l’accordo del 9 novembre 2020, che ha posto fine alla guerra dei 44 giorni, è un accordo trilaterale che coinvolge Armenia, Azerbajgian e Russia. La Russia è legalmente responsabile della sicurezza della popolazione armena dell’Artsakh e della loro libera circolazione. Dopo l’Azerbajgian, il secondo Stato, direttamente responsabile di quanto sta accadendo, è quello che si è assunto la responsabilità che ciò non accadesse: è la Russia. Infine, è quasi una doppia punizione per queste popolazioni perché la presenza della Russia costituisce un elemento di sbarramento per consentire l’intervento delle forze occidentali. La presenza della Russia chiaramente non è una garanzia dei diritti fondamentali e della libera circolazione delle popolazioni.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

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