‘Pacem in Terris’:diritti e doveri costruiscono la pace

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Quando Papa Giovanni XXIII , il pontefice del Concilio Vaticano II che ha cambiato la Chiesa cattolica, presentò la ‘Pacem in Terris’, la sua ultima e più nota enciclica, era malato. Da lì a poco, sarebbe morto, e lo sapeva. Ma l’emozione per quel documento, a suo modo rivoluzionario, traspariva dalle sue parole. Era l’11 aprile 1963:

“La Pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio. I progressi delle scienze e le invenzioni della tecnica attestano come negli esseri e nelle forze che compongono l’universo, regni un ordine stupendo; e attestano pure la grandezza dell’uomo, che scopre tale ordine e crea gli strumenti idonei per impadronirsi di quelle forze e volgerle a suo servizio”.

L’enciclica sulla pace di Giovanni XXIII cade in una nuova fase delle relazioni internazionali, dominata dalla minaccia nucleare; è pubblicata dopo un lungo periodo di guerra fredda, durante il quale le due grandi potenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, accumulano un arsenale nucleare sufficiente a distruggere numerose città.

All’inizio degli anni ’60 si erano verificate gravi crisi: nel 1961 l’erezione del muro di Berlino e, soprattutto, nel 1962 la crisi di Cuba, quando l’installazione di missili sovietici aveva portato il mondo a un passo da un conflitto nucleare.

Il concetto stesso di guerra cambia: qualsiasi conflitto diventa troppo pericoloso se comporta l’impiego di armi atomiche. Si eviterà perciò che i grandi imperi entrino direttamente in combattimento. La guerra non è più un mezzo per far prevalere la giustizia considerato accettabile dall’opinione pubblica.

D’altra parte, l’interdipendenza fra le nazioni è talmente stretta che diventa molto facile esercitare pressioni usando mezzi economici e finanziari; questo permette di gestire un conflitto senza il ricorso sistematico alle armi. Emergono altri tipi di guerra: c’è la guerra alimentare, quella monetaria, quella dei migranti…

Quasi tutti i Paesi in precedenza colonizzati, in particolare in Africa, sono diventati indipendenti e si lanciano nell’avventura dello sviluppo, sperando di assicurare alle proprie popolazioni una vita dignitosa nell’autonomia culturale ed economica. In tale contesto, papa Giovanni XXIII dà un contributo magisteriale all’analisi del mondo di allora, dei suoi conflitti, delle sue speranze.

E’ interessante notare che san Giovanni XXIII sottolinea la necessità di garantire alle persone diritti, che a 60 anni di distanza sono ancora negati, come quello della vita:

“Ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari; ed ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione, e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà”.

Come non può sottovalutare il diritto al rispetto della propria persona, declinato in varie applicazioni: “Ogni essere umano ha il diritto al rispetto della sua persona; alla buona riputazione; alla libertà nella ricerca del vero, nella manifestazione del pensiero e nella sua diffusione, nel coltivare l’arte, entro i limiti consentiti dall’ordine morale e dal bene comune; e ha il diritto all’obiettività nella informazione.

Scaturisce pure dalla natura umana il diritto di partecipare ai beni della cultura, e quindi il diritto ad un’istruzione di base e ad una formazione tecnico-professionale adeguata al grado di sviluppo della propria comunità politica.

Ci si deve adoperare perché sia soddisfatta l’esigenza di accedere ai gradi superiori dell’istruzione sulla base del merito; cosicché gli esseri umani, nei limiti del possibile, nella vita sociale coprano posti e assumano responsabilità conformi alle loro attitudini naturali e alle loro capacità acquisite”.

Un altro diritto riguarda la libertà religiosa: “Ognuno ha il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza; e quindi il diritto al culto di Dio privato e pubblico”. Ed al diritto di scelta di uno Stato, che non può essere disgiunto dalla libertà della professione di fede:

“Gli esseri umani hanno il diritto alla libertà nella scelta del proprio stato; e quindi il diritto di creare una famiglia, in parità di diritti e di doveri fra uomo e donna; come pure il diritto di seguire la vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa”.

Ed anche la famiglia è un diritto inalienabile: “La famiglia, fondata sul matrimonio contratto liberamente, unitario e indissolubile, è e deve essere considerata il nucleo naturale ed essenziale della società. Verso di essa vanno usati i riguardi di natura economica, sociale, culturale e morale che ne consolidano la stabilità e facilitano l’adempimento della sua specifica missione. I genitori posseggono un diritto di priorità nel mantenimento dei figli e nella loro educazione”.

Anche l’immigrazione e l’emigrazione sono diritti: “Ogni essere umano ha il diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’interno della comunità politica di cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consiglino, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse.

Per il fatto che si è cittadini di una determinata comunità politica, nulla perde di contenuto la propria appartenenza, in qualità di membri, alla stessa famiglia umana; e quindi l’appartenenza, in qualità di cittadini, alla comunità mondiale”.

Ed ad ogni diritto corrisponde un dovere, come quello al disarmo: “Per cui giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci…

Occorre però riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica:

il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità”.

Mentre nei ‘richiami pastorali’ san Giovanni XXIII ha sottolineato il dovere alla partecipazione alla vita pubblica: “Ancora una volta ci permettiamo di richiamare i nostri figli al dovere che hanno di partecipare attivamente alla vita pubblica e di contribuire all’attuazione del bene comune della famiglia umana e della propria comunità politica;

e di adoprarsi quindi, nella luce della fede e con la forza dell’amore, perché le istituzioni a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, siano tali da non creare ostacoli, ma piuttosto facilitare o rendere meno arduo alle persone il loro perfezionamento: tanto nell’ordine naturale che in quello soprannaturale”.

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