La questione della Chiesa missionaria e dell’unità della Chiesa

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 10.04.2023 – Andrea Gagliarducci] – Papa Francesco ha raccolto testimonianze di persone provenienti da vari scenari di guerra per servire come testimoni della fede alla Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo. Le loro testimonianze sono anonime e i testi non sono stati divulgati in anticipo, come di consueto, ma solo poche ore prima della Via Crucis. Papa Francesco sembra aver cercato di evitare la situazione dello scorso anno, quando la notizia di una preghiera di una donna ucraina e di una russa insieme, in cui si parlava esplicitamente di perdono mentre la situazione bellica era ancora complessa, creò una serie di discussioni. Alla fine, nel 2022 si è deciso di non leggere i testi ma di fare un momento di silenzio. Non è la prima volta che il Papa decide di evitare le polemiche. Ad esempio, i saluti post-Angelus, che a volte contengono appelli, non vengono divulgati in anticipo ai giornalisti sotto embargo da quando il Papa ha saltato un comunicato sulla situazione a Hong Kong, e un giornalista, violando l’embargo, ha fatto notare questo.

Papa Francesco ha sempre scelto un approccio personale alle sue decisioni. Spesso arrivano all’improvviso, fuori da ogni discussione, anche quando è evidente che il Papa stesso le ha maturate da tempo. Più volte, Papa Francesco si è lamentato di ciò che chiama critica a prescindere. Nell’ultima Udienza generale prima di Pasqua, ha messo in guardia da chi continua a dire che il vecchio era buono e si chiude al nuovo [QUI]. Eppure c’è una mentalità da intendere in questo modo di operare di Papa Francesco. Chiudendosi alle critiche, evita di ascoltare anche quelle che hanno un fondamento. Soprattutto, sembra esserci un divario tra la percezione di Papa Francesco di alcune questioni e il significato dei problemi. C’è, infatti, un tema che è decisivo nel pontificato di Papa Francesco e che rischia anche di essere allo stesso tempo paradossalmente controverso: la missionarietà. Secondo Papa Francesco, tutto deve essere missionario e le strutture istituzionali, a cominciare da quelle di Roma, non fanno altro che ostacolare la missione della Chiesa.

In questa concezione, troviamo molto del sentimento antiromano che hanno le diocesi della Chiesa nella periferia, che si sentono poco comprese da Roma. Papa Francesco non ha mancato di dire più volte che «il centro si vede meglio dalle periferie» e di puntare il dito contro le élite [QUI] nel chiedere una Chiesa che viva in sintonia con i fedeli. Questa idea si riflette nella riforma della Curia voluta da Papa Francesco, con tutte le sue conseguenze pratiche e filosofiche. La missione diventa il centro della missione della Curia romana. E questa è una rivoluzione copernicana, almeno dal punto di vista filosofico.

Il Papa, come istituzione, non è il primo missionario ma il garante dell’unità della Chiesa. La Curia aiuta il Papa a preservare l’unità della Chiesa. Lo scopo della Curia non è quello della missione ma quello di fare in modo che tutte le parti particolari della Chiesa abbiano un punto di incontro, una stella polare con cui armonizzarsi. La Curia non può avere il compito missionario perché lo spirito missionario parte dall’annuncio di Cristo ma vive anche situazioni contingenti. Prima della dottrina, guardiamo le persone. Ma è l’unica dottrina che permette alla Chiesa di essere missionaria, di avere un centro, di diffondere nel mondo il Vangelo di Gesù Cristo. La dottrina è garanzia di unità, così come le istituzioni sono garanzia di libertà. Naturalmente ogni situazione va gestita secondo necessità, ma sempre ricordando che esiste un unico punto di riferimento. Quando la finalità della Curia diventa missionaria, le necessità pratiche diventano il centro. Ma se le esigenze particolari sono la stella polare, allora il rischio è che tutti vadano alla deriva.

Papa Francesco spesso descrive la Chiesa come la “Santa Madre Gerarchica”. Ma come si può applicare questa gerarchia se non c’è un centro? Il Papa, già nel suo primo saluto dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana il 13 marzo 2013 [QUI], ha sottolineato che la Chiesa di Roma “presiede nella carità” tutte le altre Chiese. Ma come può presiedere alla carità se poi deve adattarsi alle situazioni locali? Questa filosofia di fondo fa sì che il Papa sia il primo missionario. Papa Francesco non parla da Papa ma da pastore universale del mondo. Pertanto, non considera il suo ruolo diplomatico, sociale, politico o culturale a meno che, in questo ruolo, non trovi il modo di svolgere quella che considera la sua missione. Il suo principio guida è mostrare vicinanza alle situazioni, anche contro ogni opinione o eventualità. Del resto il Papa non vuole sentire critiche perché non si sente compreso nella sua missione di pastore universale. Ma, allo stesso tempo, evitando le critiche, non comprende come questo modo di operare possa incidere sul papato.

La confusione potrebbe iniziare nelle periferie quando il centro diventa missionario e quindi svolge un compito diverso da quello di cui sarebbe responsabile. La Cina, per la seconda volta, ha snobbato la Santa Sede dopo il secondo rinnovo dell’accordo sulla nomina dei vescovi istituendo un vescovo a Shanghai, Joseph Shen Bin senza l’approvazione del Papa. In precedenza, la Cina aveva insediato un’ausiliario di una vasta diocesi che esiste solo nella suddivisione delle diocesi ideata da Pechino e non in quella progettata dalla Santa Sede. Il problema non è l’accordo – accordi simili sono stati fatti anche con altri paesi dell’Europa dell’Est durante la guerra fredda, come l’Ungheria [QUI] – ma proprio il fatto che, non essendoci un centro e avendo un Papa che mette al primo posto l’impegno religioso e personale, Pechino sa di avere una piccola apertura per agire e che attirerà solo proteste minime, se ce ne saranno.

Il Cammino sinodale della Germania è stato condotto con l’idea di prendere decisioni vincolanti in materia di dottrina. Sta andando avanti nonostante l’opposizione della Santa Sede e di Papa Francesco. E può permettersi di andare avanti proprio perché se il centro è missionario il rischio di uno scisma si riduce molto. Inoltre, se il centro è missionario, le diverse comunità nazionali della Chiesa hanno un peso maggiore rispetto alla Chiesa universale. Anche questo conta.

Poi, ci sono le varie interpretazioni date ad Amoris laetitia, che sono frutto dell’idea di un “sinodo sempre aperto” [QUI], che, alla fine, non dà risposte ma provoca interrogativi. Papa Francesco vuole aprire processi, e lo fa continuamente. La realtà è che questa continua apertura di processi fa perdere di vista il vero obiettivo della Chiesa. Papa Francesco sembra non capire che non parla più a titolo personale ma a nome della Chiesa. Non è un una persona chiamato a un incarico di governo, ma ha un compito spirituale, che è molto più di una semplice missione e che va certamente al di là dell’immagine di se stesso. Ogni parola del Papa è destinata ad avere un peso e quest’ultima Via Crucis lo avrà senz’altro. Tuttavia, Papa Francesco ha comunque dimostrato di temere l’opinione pubblica, decidendo di non divulgare preventivamente i testi. Le critiche sono considerate personali e non contro il ruolo da Papa. Il modo per evitarli è nascondere fino alla fine ciò che si sta facendo, presentandolo a tutti come un fatto compiuto.

Eppure, questa Chiesa missionaria e “ospedale da campo” sembrano aver perso questo senso di unità. Se diventa un gruppo di comunità ecclesiali nazionali, con tutte le sue peculiarità, non sarà più diverso dal mondo ortodosso. Se portato avanti a partire dalle Conferenze Episcopali, sarà un cammino guidato da un punto di vista pragmatico che non può essere quello della Chiesa universale.

Sono riflessioni su cui vale la pena impegnarsi, considerando che ogni gesto del pontificato è un segno, e per cercare di capire cosa verrà dopo Francesco.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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