Italia senza figli

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Alla luce dei primi risultati provvisori, la popolazione residente in Italia al 1° gennaio 2023 è di 58.851.000 unità, 179.000 in meno sull’anno precedente, per una riduzione pari al 3‰: prosegue la tendenza alla diminuzione della popolazione, ma con un’intensità minore rispetto sia al 2021(-3,5‰), sia soprattutto al 2020 (-6,7‰), anni durante i quali gli effetti della pandemia avevano accelerato un processo iniziato già nel 2014.

Mai così poche sono state le nascite dall’unità d’Italia ad oggi e per la prima volta i bebè iscritti all’anagrafe sono scesi, nei dodici mesi del 2022, sotto la soglia dei 400.000, fermandosi a quota 393.000, a cui fa eccezione il Trentino Alto-Adige, che si conferma la regione con la più alta fecondità:

1,51 figli per donna a fronte dell’1,28 della media nazionale, dovuto anche alla presenza diffusa sul territorio dei servizi per l’infanzia, utilizzati dal 30% degli aventi diritto contro il 15% della media nazionale, ed all’introduzione nella legislazione locale della ‘dote finanziaria’ per aiutare i giovani, con un incentivo di € 5.000 alla nascita di ciascun figlio per le famiglie numerose. Seguono, nella graduatoria dei ‘più virtuosi’, Sicilia e Campania con valori rispettivamente di 1,35 e 1,33 nati per donna.

Appurato che nel 2022 la popolazione residente presenta una decrescita simile a quella del 2019 (-2,9‰), sul piano territoriale si evidenzia un calo demografico importante che interessa il Mezzogiorno (-6,3‰). Il Centro (-2,6‰) e soprattutto il Nord (-0,9‰), che pur presentano un saldo demografico negativo, hanno valori migliori della media nazionale.

Sul piano regionale, la popolazione risulta in aumento solo in Trentino-Alto Adige (+1,6‰), in Lombardia (+0,8‰) e in Emilia-Romagna (+0,4‰). Le regioni, invece, in cui si è persa più popolazione sono la Basilicata, il Molise, la Sardegna e la Calabria, tutte con tassi di decrescita più bassi del -7‰.

Su base nazionale, il calo della popolazione è frutto di una dinamica demografica sfavorevole che vede un eccesso dei decessi sulle nascite, non compensato dai movimenti migratori con l’estero. I decessi sono stati 713.000, le nascite 393.000 con un saldo naturale di -320.000 unità.

Le iscrizioni dall’estero sono state pari a 361.000, mentre 132.000 sono state le cancellazioni per l’estero. Ne deriva un saldo migratorio con l’estero positivo per 229.000 unità, in grado di compensare solo in parte l’effetto negativo del pesante bilancio della dinamica naturale.

Sul versante della mobilità interna, nel 2022 si rileva un aumento del volume complessivo dei movimenti del 4%, con 1.484.000 trasferimenti di residenza registrati tra Comuni contro 1.423.000 dell’anno precedente.  La popolazione di cittadinanza straniera al 1° gennaio di quest’anno è di 5.050.000 unità, in aumento di 20.000 individui (+3,9‰) sull’anno precedente.

L’incidenza degli stranieri residenti sulla popolazione totale è dell’8,6%, in leggero aumento rispetto al 2022 (8,5%). Quasi il 60% degli stranieri, pari a 2.989.000 unità, risiede al Nord, per un’incidenza dell’11%, la più alta del Paese.

Risulta attrattivo per gli stranieri anche il Centro, dove risiede 1.238.000 individui (25% del totale) con un’incidenza del 10,6%, al di sopra della media nazionale. Il Mezzogiorno ha invece meno presenza straniera, 824mila unità (16%), per un’incidenza del 4,2%.

La speranza di vita alla nascita nel 2022 è stimata in 80,5 anni per gli uomini e in 84,8 anni per le donne, solo per i primi si evidenzia, rispetto al 2021, un recupero quantificabile in circa 2 mesi e mezzo di vita in più. Per le donne, invece, il valore della speranza di vita alla nascita rimane invariato rispetto all’anno precedente.

Nel Nord la speranza di vita alla nascita è di 80,9 anni per gli uomini e di 85,2 per le donne; i primi recuperano circa un mese rispetto all’anno precedente al contrario delle donne che invece lo perdono. Il Trentino-Alto Adige è ancora la regione con la speranza di vita più alta sia tra gli uomini sia tra le donne, il Friuli-Venezia Giulia è invece la regione che ha registrato il maggior guadagno rispetto all’anno precedente, circa sei mesi per entrambi i sessi.

Il Centro è l’unica area per cui si registrano incrementi di sopravvivenza in tutte le regioni, anche se lievi, rispetto al 2021: per gli uomini l’incremento è dello 0,2, mentre per le donne dello 0,1. La speranza di vita più alta tra gli uomini si annota in Toscana (81,3), per le donne nelle Marche (85,4).

Anche il Mezzogiorno nel complesso fa registrare gli stessi incrementi del Centro, ma al suo interno ha una situazione più eterogenea. Si passa da regioni come Molise (solo per gli uomini) e Puglia, dove i guadagni rispetto all’anno precedente sono intorno ai 6 mesi di vita, alla Sardegna, dove la forte mortalità ha fatto sì che si sia perso circa mezzo anno di vita per entrambi i sessi.

Quest’ultima è la regione dove la quota di rinunce a prestazioni sanitarie è più elevata (nel 2021 era pari al 18,3% contro il dato nazionale dell’11%). La Campania, con valori della speranza di vita di 78,8 anni per gli uomini e di 83,1 per le donne, resta la regione dove si vive meno a lungo.

Nello scorso anno i nati sono scesi, per la prima volta dall’unità d’Italia, sotto la soglia delle 400.000 unità, attestandosi a 393.000. Dal 2008, ultimo anno in cui si registrò un aumento delle nascite, il calo è di circa 184.000 nati, di cui circa 27.000 concentrate dal 2019 in avanti. Questa diminuzione è dovuta solo in parte alla spontanea o indotta rinuncia ad avere figli da parte delle

coppie. In realtà, tra le cause pesano molto tanto il calo dimensionale quanto il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (dai 15 ai 49 anni). La diminuzione del numero medio di figli per donna riguarda sia il Nord sia il Centro Italia, dove si registrano valori rispettivamente pari a 1,26 e 1,16 (nel 2021 erano pari a 1,28 e 1,19).

Nel Mezzogiorno, invece, si registra un lieve aumento, con il numero medio di figli per donna che si attesta a 1,26 (era 1,25 nell’anno precedente). L’età media al parto è leggermente superiore nel Nord e nel Centro (32,6 e 32,9) rispetto al Mezzogiorno (32,1). La nuzialità registra un lieve aumento, con un tasso che passa dal 3,1‰ dello scorso anno al 3,2‰, ritornando così ai livelli pre-pandemia.

Il tasso più elevato si riscontra nel Mezzogiorno (3,6‰, in diminuzione rispetto al 3,8‰ del 2021) mentre nel Nord e nel Centro i livelli sono inferiori (3‰ per entrambe le ripartizioni, in leggero aumento rispetto a 2,7‰ e 2,6‰ del 2021).

Dopo il crollo del 2020, il Mezzogiorno presenta l’aumento maggiore di nuzialità negli ultimi due anni; tendenza che si associa a quella altrettanto positiva della fecondità che ha caratterizzato questa ripartizione.

E sulla ‘caduta demografica’ dell’Italia, è intervenuto il neo presidente del Forum delle Famiglie, Adriano Bordignon, invitando a ‘non crogiolarsi’ sul fatto che sia meno grave dello scorso anno:

“Continua il crollo delle nascite e il saldo migratorio con l’estero sembra positivo ma in realtà ci sono tantissimi giovani italiani che hanno lasciato il Paese e che non hanno ancora formalizzato questo abbandono. Siamo come la rana nella pentola sopra il fuoco: non ci accorgiamo della gravità del processo che sta segnando il futuro del Paese.

Meno figli, meno lavoratori, meno competitività delle imprese, meno welfare e meno salute, più solitudini e migrazioni sono ciò che ci aspetta se pensiamo solo a sopravvivere. Serve una rivoluzione copernicana che metta il futuro, e non il passato e i diritti acquisiti, al centro dell’agire politico ed economico. Servono, innanzitutto, il potenziamento dell’assegno unico, la riforma fiscale e i servizi per la prima infanzia”.

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