I Camaldolesi nella storia della Chiesa

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Il 6 agosto la Congregazione Camaldolese ha concluso i festeggiamenti per i 1000 anni dell’ordine, fondato dal monaco ravennate San Romualdo (952-1027) per ospitare alcuni monaci provenienti dall’ordine benedettino.

I monaci camaldolesi seguono la regola benedettina con l’aggiunta di propri principi e norme e sono riuniti nella Congregazione Camaldolese dell’ordine di San Benedetto. La congregazione camaldolese coniuga la dimensione comunitaria e quella solitaria, espressa, architettonicamente, dalla presenza, nella stessa struttura, sia dell’eremo che del monastero. Questa comunione di vita comunitaria ed eremitica è espressa anche nello stemma, formato da due colombe che si abbeverano ad un solo calice.

Casa madre della congregazione è l’Eremo di Camaldoli presso Arezzo. Essa è punto di riferimento di dieci comunità maschili presenti in Italia, USA, Brasile e India. Dopo il Concilio Vaticano II, grazie all’attenzione al cristianesimo orientale, le comunità camaldolesi sono tornate ad essere luogo privilegiato per il dialogo ecumenico e, attraverso l’organizzazione degli annuali Colloqui ebraico-cristiani di Camaldoli, del dialogo ebraico-cristiano. La congregazione camaldolese ha dato alla Chiesa figure di spicco come papa Gregorio XVI, san Pier Damiani, cardinale e dottore della Chiesa e in tempi più recenti quella di Benedetto Calati.

Nella preghiera di ringraziamento per questa ricorrenza la comunità camaldolese così si è espressa: “Siamo grati al Signore per aver manifestato la sua benevolenza e la sua fedeltà verso la nostra Comunità monastica e la Congregazione camaldolese nel corso di questi dieci secoli. Lo ringraziamo per il dono della Sacra Scrittura che ci insegna come il tempo, dono di Dio, diventi storia con noi e tramite noi. Lo ringraziamo per il dono di san Romualdo, per la sua piccola regola eremitica, per il privilegium amoris, per il triplice bene espressione del nostro carisma.

Lo ringraziamo per la ricchezza della tradizione monastica romualdino-camaldolese rimasta viva fino a noi attraverso generazioni di monaci e monache che l’hanno vissuta fedelmente, giorno dopo giorno, nel silenzio, nel nascondimento, nella preghiera. Lo ringraziamo perché anche nel XX secolo ha chiamato nelle comunità camaldolesi fratelli e sorelle che hanno saputo ravvivare il carisma monastico, come Anselmo Giabbani, Benedetto Calati, Ildegarde Ghinassi, Nazarena Crotta”.

Per comprendere meglio questa ricchezza della Chiesa abbiamo incontrato l’artista e monaco camaldolese, padre Salvatore Frigerio, che ci ha spiegato che il radicamento cristiano è avvenuto mille anni fa ad opera di san Romualdo in un’Europa che era scossa da un quadro politico ed istituzionale molto carente: i camaldolesi hanno guidato i passi dell’Europa e dell’Italia nei momenti più difficili.

Cosa significa mille anni di storia camaldolese nella Chiesa?: “Una realtà monastica per la Chiesa è sempre considerata un segno di comunione e condivisione; un segno dove l’equilibrio della persona e della comunità si esprime in quello che è il detto benedettino dell’ ‘ora et labora’ e diventa una possibilità di una riacquisizione dell’equilibrio dell’uomo nei confronti del tempo e dello spazio”.

Allora chi è il monaco oggi? “Oggi il monaco è tutto da ristudiare! La regola di san Benedetto da Norcia ci dice che la comunità monastica deve vivere secondo i tempi e secondo i luoghi. Ora i nostri tempi ed i nostri luoghi sono totalmente nuovi ed il nostro tempo è un vero trapasso epocale, che il mondo non ha mai vissuto. In questo salto epocale il monachesimo è quanto mai provocato e ci stiamo interrogando come diventare segni efficaci della realtà ecclesiale dentro la stessa Chiesa”.

Padre Benedetto Calati ha descritto la visione di Dio per un monaco: “La visione di Dio non è avere apparizioni, ma la visione di Dio è saper cogliere, aiutati dallo Spirito e dalla Parola, la Sua presenza dentro il magma della storia. Questa è la profezia: saper vedere dentro la storia; non temerla, ma saper  vedere dentro di essa l’azione dello Spirito Santo”.

Quindi quale Chiesa per il Terzo Millennio? “C’è bisogno di una Chiesa che deve aver il coraggio di aprirsi alle provocazioni della Storia. Il profeta Isaia dice che la storia è il martello di Dio. Dio si serve della storia attraverso i segni; Nostro Signore ci rimprovera di non saper leggere il segno del tempo ed il nostro tempo ci sta fornendo moltissimi segni. La mia preoccupazione è che pare si abbia paura di questi segni, anziché vederne le opportunità”.

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