Quesito giuridico (civilistico-amministrativo-tributario-canonico) sulla compatibilità del «MOTU PROPRIO» (2023) “Il diritto nativo:il patrimonio della Sede Apostolica” con il can. 1258 CIC, l’art. 831 CC, la L. 127/97 ed il D.lgs. n. 117/2017 s.m.i. PARTE TERZA 3- RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA SUGLI ENTI ECCLESIASTICI

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Premesso quanto illustrato nei due precedenti articoli ( F. Trombetta e G. Di Giacinto) qui pubblicati (…..), riteniamo utile citare preliminarmente  una delle più rilevanti  Sentenze   della  Cassazione civile , la n. 5418  del 1993, essa  ribadisce il principio – già espresso in altra occasione (negli anni 69 e 70) – secondo il quale le norme canoniche  acquistano forza nell’ordinamento italiano in virtù del rinvio formale; di conseguenza, l’eventuale mancanza dell’autorizzazione può essere dedotta solo dagli ENTI ECCLESIASTICI nel cui interesse è svolto il controllo e non anche dall’ altro contraente. E’ stato rilevato, inoltre,  che con la Legge121/85 è stata soppressa ,  per lo Stato italiano , ogni  ingerenza  nell’amministrazione dei beni degli ENTI ECCLESIASTICI ormai sottoposta all’esclusivo controllo canonico ! (dopo l’ abrogazione dell’art. 17 c.c. avvenuta con la L. 127/97 ).

– In riferimento agli eventuali effetti derivanti dalla mancanza dell’autorizzazione ( “licentia” e/o “consenso”) per la stipula di atti di alienazione, da parte dei medesimi ENTI ECCLESIASTICI, la Cassazione, riferendosi alle “licentiae” canoniche ( natura giuridica trattata in prosieguo), ricorda come queste ultime siano richieste dal codex  “ad valide alienande” ( per la validità del contratto). In effetti, per la formazione della volontà negoziale degli ENTI ECCLESIASTICI cattolici (iter complesso e differente rispetto a quello per gli Enti privati) sono, di regola, richieste una serie di autorizzazioni gerarchiche superiori previste dal codex ( integrato e modificato dai citati documenti magisteriali in materia).

A tal proposito, giova sottolineare l’importanza dell’art. 18 della L. 222/85 (riguardante la revisione del Concordato del 1929) che ha quale obiettivo il fatto di agevolare il terzo che contratti con gli ENTI ECCLESIASTICI. In effetti, a norma dell’ art. 18, sarebbero opponibili ai terzi esclusivamente quei controlli canonici o limitazioni statutarie debitamente pubblicizzate (Registro delle persone giuridiche), in ossequio al richiamato principio dell’affidamento privato.

Quindi possiamo affermare che la L. 222/85 ha delineato compiutamente la figura degli “Enti ecclesiastici civilmente riconosciuti”. 

A seguito di quanto sopra il terzo che si accinge a contrarre con gli ENTI ECCLESIASTICI civilmente riconosciuti ha l’onere di attivarsi al fine di individuare l’esatto iter per la formazione della sua volontà negoziale.  In caso contrario, il medesimo, non potrebbe invocare a propria tutela la “buona fede” qualora gli ENTI ECCLESIASTICI abbiano adempiuto all’onere pubblicitario. Qualora, invece, gli ENTI ECCLESIASTICI non abbiano provveduto a quest’ultimo onere scatterebbe l’inopponibilità al terzo di buona fede delle limitazioni statutarie. 

Quindi, nel caso mancasse un formale collegamento (quale il riconoscimento) con la Chiesa occorrerà verificare se esiste una espressa volontà degli associati di adottare quel sistema come regola dei loro rapporti. In tal caso il rinvio opera nei confronti dei terzi solo se è stato pubblicizzato come da Legge.

Le Associazioni ecclesiastiche non riconosciute e gli Enti non riconosciuti, ai sensi della 222/85, sono sottoposti al diritto canonico (norme citate).

La natura giuridica della “licentia” è sta analizzata dalla  dottrina  e dalla giurisprudenza, pertanto, un primo orientamento (prevalente in giurisprudenza e dottrina nonché quello preferibile) sostiene che sia qualificabile come atto autorizzativo ovvero atto di controllo necessariamente preventivo; un altro orientamento (parte di dottrina) ha sostenuto la possibilità di una “licentia” successiva al negozio, il quale nelle more sarebbe sospensivamente condizionato all’ottenimento della medesima. (tale orientamento, però, stravolgerebbe la ratio del controllo tutorio).

Seguendo l’orientamento prevalente, quindi, la mancanza della “licentia” (qualora richiesta) impedirebbe il regolare sorgere del negozio compiuto.

Pertanto, gli atti di straordinaria amministrazione effettuati dagli ENTI ECCLESIASTICI senza la relativa  “licentia” devono ritenersi – per il diritto civile – “annullabili”, ex art. 1425 CC, di conseguenza sono pienamente efficaci, sono convalidabili (art. 1444 CC) dagli ENTI ECCLESIASTICI con “licentia” ad hoc per la convalida, soggetti alla prescrizione quinquennale.

In definitiva, quindi, si propende per la invalidità dell’atto compiuto e non per la sua “inefficacia” poiché, quest’ ultima, si tradurrebbe in un rischio maggiore per il terzo contraente e per la certezza  giuridica delle contrattazioni.

Occorre segnalare che la “licentia”, oltre ad essere necessaria per tutti gli atti di straordinaria amministrazione, è necessaria anche per quelle figure negoziali alternative al modo ordinario di formazione dell’accordo, quali il patto di opzione di vendita, il preliminare di vendita e la proposta irrevocabile di vendita.

Inerentemente alla contrattazione avente per oggetto beni immobili, si sottolinea che è per il Notaio vietato ricevere atto senza “licentia” (art. 54 reg. Not.), qualora richiesta; fatto obbligo di allegare il documento autorizzativo all’atto medesimo, anche ai fini della trascrizione.

Importante sottolineare come la violazione di tali obblighi, però, non sembra comportare la violazione dell’ art. 28 della L. Not. trattandosi di atto meramente annullabile, il quale non appare come “espressamente vietato dalla legge” o contrario all’ordine pubblico o buon costume.

Il negozio annullabile, essendo pienamente efficace fino all’eventuale impugnazione e annullamento, comporta che sarà necessaria la “licentia” anche per la semplice rinuncia al diritto di impugnazione e, ovviamente,  per la transazione.

Tutto quanto sopra riportato non si applica, ovviamente, nell’ipotesi di “E.E imprenditore” e cioè alle attività svolte dal medesimo e qualificabili come economiche. Qualora, a contrario, dovessero ritenersi necessarie anche in tal caso le autorizzazioni canoniche – nell’ambito quindi della propria attività di impresa – significherebbe alterare il sistema della rappresentanza commerciale prevista dal legislatore che, in tali casi, prevede addirittura validi gli atti eccedenti l’ oggetto sociale nonostante lo statuto sia stato pubblicizzato (art. 2384 bis CC). Tuttavia, preso atto della giurisprudenza civilistica, è utile adesso esporre gli orientamenti giurisprudenziali in materia del massimo Giudice amministrativo esistente in Italia, organo di rilevanza costituzionale, pubblicata e commentata da un noto giurista che ho molto apprezzato.

                        EMILIANO NICOLINI Il riconoscimento degli enti ecclesiastici cattolici nella recente giurisprudenza del Consiglio di Stato

 “La prassi del primo decennio di applicazione degli Accordi di Villa Madama ha ricondotto la disciplina degli enti ecclesiastici nell’area del diritto comune. È stato così messo in discussione quel principio di specialità che trova riscontro in tutte le principali trattazioni scientifiche successive al Concordato del ’29 e dell ’84.

 Infatti, in più occasioni, il Consiglio di Stato ha finito col trattare gli enti ecclesiastici alla stregua delle persone giuridiche private a tutto sfavore del carattere di specialità degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. A conferma di tale attrazione nell’ambito del diritto comune, l’articolo mette in evidenza come alcuni dei recenti interventi unilaterali del legislatore statale, in materia di riconoscimento delle persone giuridiche, siano stati ben accetti anche da parte dell’autorità ecclesiastica: si pensi ad esempio all’art. 17 legge n. l27/97, il quale, mentre ha conservato il parere obbligatorio del Consiglio di Stato in pochi casi, ha abrogato tutte le altre disposizioni che lo prevedessero, fra cui quelle riguardanti le vicende degli enti in oggetto. Gli stessi progetti governativi, miranti alla semplificazione dei procedimenti di riconoscimento della personalità giuridica, potrebbero applicarsi agli enti cattolici.

Si sottolinea adesso la questione attinente all’emersione giurisprudenziale di un diritto al riconoscimento, non più subordinato ad un atto amministrativo discrezionale e non dovuto.

Per quanto concerne il procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica dell’ente ecclesiastico, si deve segnalare come recente novità normativa la legge del 15 maggio 1997 n. 127, la quale ha riformato la disciplina dei pareri resi dagli organi consultivi delle pubbliche amministrazioni, e ha dettato specifiche regole in ordine all’attività consultiva del Consiglio di Stato.

 Prima di tale legge, come abbiamo sottolineato, era previsto dagli articoli l e 19 della legge n. 222/85, il parere obbligatorio del Consiglio di Stato sia per il riconoscimento che per la revoca della personalità giuridica civile e per le  modificazioni cui gli enti cattolici fossero andati incontro. Ad esempio,

in merito al loro riconoscimento, il Ministero dell’Interno una volta ricevuti gli atti da parte del prefetto competente, era obbligato a richiedere il parere succitato, tra l’altro non vincolante. Su tale procedimento si è inserito l’articolo 17, 25° e 26° comma,della legge n. 127, il quale, mentre ha conservato il parere obbligatorio del Consiglio di Stato in pochi casi, ha abrogato tutte le altre disposizioni che lo prevedessero, fra cui quelle riguardanti le vicende degli enti ecclesiastici.

 Alla luce di queste considerazioni è seguito uno scambio di note tra l’Italia e la Santa Sede, in base al quale quest’ultima ritiene che “la legge n. 127/1997”, in quanto disposizione unilaterale, non ha forza di modificare la vigente disciplina di natura patrizia”. Nonostante ciò, si può osservare come l’autorità ecclesiastica apprezzi sia il fatto che il Ministero dell’Interno abbia voluto interpellare il Consiglio di Stato prima di dar luogo a prassi innovative, che il parere n. 1401/97, ossia quello di risolvere la questione attraverso una consultazione bilaterale.

 Inoltre, la dottrina ha puntualizzato che con lo scambio di note succitato, la Segreteria di Stato vaticana ha affrontato la questione sollevata con la legge n. 13/1991, che ha sottratto alla competenza del Presidente della Repubblica e affidato a quella del Ministero competente per materia l’emanazione del decreto di riconoscimento delle persone giuridiche. In effetti già nel ’91 il Ministero dell’Interno aveva cominciato a firmare i decreti di riconoscimento dei nuovi enti ecclesiastici, mentre l’articolo l delle Norme approvate con il Protocollo del 15 novembre ’84 ne attribuiva la competenza al Capo dello Stato.

L’autorità ecclesiastica sostiene al riguardo che di per sé, la legge n. 13/91, non ha forza per prevalere sulle Norme approvate con il Protocollo, ma anche in questo caso, come a proposito del parere obbligatorio del Consiglio di Stato, considerata la natura essenzialmente procedurale della disposizione concernente la forma dell’atto amministrativo di attribuzione della personalità giuridica, si conviene di adeguarsi alla prassi introdotta che prevede il decreto del Ministero dell’Interno.

Per di più lo spostamento di competenza, circa l’imputazione formale della decisione, aumenta l’aspetto di omogeneità in ordine al riconoscimento degli enti e comunque non sembra avere ulteriori conseguenze su di esso. Sarà dunque preferibile la strada diplomatica attraverso lo scambio di note, anziché quella delle “mini-intese” previste dagli Accordi di Villa Madama, che necessitano tra l’altro della istituzione di commissioni paritetiche. Queste ultime, infatti, riaprono il dibattito in merito alla pretesa delegificazione che, secondo alcuni  si verificherebbe nelle materie oggetto delle stesse: invero, in base all’opinione prevalente, nei casi anzidetti (ex art. 13.2 legge n. 121/85) in cui siano previsti accordi fra le autorità italiane e la Santa Sede, non vi è una delegificazione, poiché nessuna delle disposizioni in questione esprime una norma che escluda la necessità di una legge per disciplinare le materie da esse considerate come oggetti possibili di un accordo”.

Pertanto per acquisire un panorama complessivo in tale complessa materia e per accertare la compatibilità con le norme statuali del CIC (revisionato recentemente dal Pontefice con la recente Costituzione dello Stato “ Città del Vaticano” del 19/3/2022 e con il citato, conseguenziale “Motu Proprio” del 20 Febbraio 2023)  è indispensabile esporre i principali orientamenti  giurisprudenziali del Consiglio di Stato: https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.google.com%2Furl%3Fsa%3Dt%26rct%3Dj%26q%26esrc%3Ds%26source%3Dweb%26cd%26cad%3Drja%26uact%3D8%26ved%3D2ahUKEwiD5_mxveX9AhVriv0HHVL2APMQFnoECBIQAQ%26url%3Dhttps%253A%252F%252Fjournals.uniurb.it%252Findex.php%252Fstudi-A%252Farticle%252Fdownload%252F1132%252F1031%252F4368%26usg%3DAOvVaw1bWu1UqGbCQWSa-Lh4LmGA%26fbclid%3DIwAR0_HUposugEm03uQ0IYuiOAjJj3C6LSdYaGNBFhTg5WGd-9iTrIgF5hR3w&h=AT3IUwyuqTWbjfVAnPg6GJQnHHiggMxAffNQ9OQz31otga9zEVz_U0JRb4TmaBt_Hn8464mIngFhQLRT0kj3RSmv4EDQX_4zou7WTKeQoeC3JaWKgl2hVvlbgVZREHMHGuM&__tn__=R]R&c[0]=AT3INcl5ozafVhrrg_PH4F6hAsmkiil2NNHVrrj_9Q78USykoIB1DVxEkn42UjNyoUgK0zCibcwNFztitMC6iOYBXVClzb3LJtBnsdo2zvXlh4Q1EzeOgBNE80MG7GxxFX08w_kgvZMGgblUSu-fYkCi0Y8Z6Z0_FkWp-coBPrmSGhyXooLZ:

 L’attenzione prestata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato per la disciplina degli enti ecclesiastici è da considerarsi notevole, e per alcuni aspetti, molto interessante. Innanzitutto bisogna rilevare come la prassi amministrativa nel decennio successivo agli Accordi di Villa Madama, non abbia rispettato i principi concordatari, finendo spesso per ricondurre la disciplina degli enti ecclesiastici a quella delle persone giuridiche comuni.

Tra i vari aspetti trattati dalla giurisprudenza amministrativa, particolare rilievo assume, specifica l’autore, il fine di religione o di culto. A proposito di quest’ultimo, sulla base della nuova normativa, esso risulta essere un requisito necessario per il riconoscimento di qualunque ente ecclesiastico.

Per di più tale fine, che deve essere costitutivo ed essenziale, viene accertato dalla pubblica amministrazione e al riguardo oggi la dottrina è divisa tra quanti ritengono confermata la tesi della prevalenza del fine religioso rispetto ad altre finalità concorrenti  e chi, vede nella nuova disciplina, l’affermarsi della tesi dell’esclusività del fine •

Il Consiglio di Stato è intervenuto più volte sulla questione ed è significativo il parere in cui si trattava della richiesta di modifica dello statuto da parte di un ente (una casa religiosa) già riconosciuto nel ’65, il quale voleva aggiungere alla finalità religiosa originaria uno scopo di carattere assistenziale, prestando assistenza nella forma più ampia (vitto, scuola ecc.) a minori di famiglie disagiate, o persone emarginate in difficoltà economica. La pronuncia in esame ha confermato la tesi dell’esclusività del fine, ammettendo come unica eccezione la possibilità che possa essere connesso a finalità caritative ( come la citata associazione creata da Biagio Conte a Palermo “Missione di speranza e carità”).

 In vari casi è riscontrabile la difficoltà nell’accertare l’essenzialità e costitutività del fine religioso, ad esempio in occasione della riconoscibilità di un’associazione pubblica di fedeli; i pareri pronunciati in materia mettono in evidenza che “sussiste il requisito del fine di religione o di culto, costitutivo ed essenziale, in quanto il servizio ai poveri e agli emarginati (come l’associazione ONLUS,  ripeto, creata dal mio amico di sempre frate missionario laico Biagio Conte, noto in tutto il mondo, deceduto prematuramente il 12 Gennaio 2023 a Palermo), che in concreto viene prestato, è configurato dallo statuto non come mera risposta ai bisogni materiali, ed in senso lato morali dei poveri, ma piuttosto come annuncio del Vangelo, anche se connesso all’assistenza propriamente detta; pertanto si rientra nel caso dell’attività”missionaria” prevista dall’art. 16, lett. a, legge n. 222/85, il quale indica le attività che devono considerarsi, agli effetti civili, di religione o di culto.

 In particolare si ritiene che tutti gli enti ecclesiastici debbano elaborare uno statuto ai sensi dell’articolo 16 cod. civ.  e lo statuto sia sindacabile nel merito, e che in esso devono contenersi le norme per l’approvazione del bilancio. Viene poi sostenuta la stessa costituzione dell’ente mediante atto pubblico ex art. 14 cod. civ., pur non mancando occasionali pronunce in senso contrario.

Partendo dall’analisi dei punti specifici, in varie pronunce è stato affermato che l’ente ecclesiastico deve costituirsi per atto pubblico ai sensi dell’articolo 14 cod. civ., secondo cui le “associazioni e le fondazioni devono essere costituite per atto pubblico.

 Il Consiglio  muta ancora orientamento in occasione del parere n. 462/93, quando sostiene che l’assenza nello statuto di meccanismi per la nomina dei rappresentanti legali porta a formulare un giudizio negativo circa la futura stabilità dell’ente. Tale incertezza normativa è stata superata con la citata Intesa interpretativa del 3O aprile ’97, la quale ha ribadito che, in base all’Accordo del ’84, gli enti ecclesiastici sono riconosciuti civilmente con le caratteristiche che ineriscono all’ordinamento di provenienza e pertanto non risultano applicabili agli stessi le norme del codice civile in materia di costituzione, amministrazione e struttura delle persone giuridiche private.

 Passando allo statuto, e più in particolare con riferimento alla sua necessità, si distingue a seconda che gli enti appartengano o meno alla costituzione gerarchica della Chiesa,  per tali enti in questione, valgono le corrispondenti disposizioni canoniche d’ordine generale riguardanti la concreta organizzazione istituzionale della Chiesa.

 Si evidenzia che nel ’93, l’organo consultivo così si esprime: “se nello statuto devono essere menzionati gli elementi costitutivi del patrimonio iniziale, ciò non comporta la loro indicazione specifica, e tanto meno quando una simile precisazione vi fosse, ogni successiva variazione del patrimonio comporta una modifica dello statuto”; è necessario invece “che sia indicato il patrimonio iniziale e le fonti da cui lo stesso sarà  alimentato”.

  Possiamo notare, dunque, una notevole ambiguità e contraddittorietà dei pareri su tale questione e, a risolverla, è intervenuta l’ Intesa interpretativa del ’97, che afferma, come già detto, l’irrilevanza degli elementi (ad esempio quelli patrimoniali) richiesti per il riconoscimento delle persone giuridiche comuni.

Passando invece all’obbligo del bilancio, esso è richiesto generalmente per tutti gli enti ecclesiastici, siano essi di diritto diocesano, associazioni o istituti religiosi o fondazioni di culto, inoltre l’esigenza del bilancio è più evidente per gli enti che svolgono attività diverse da quelle di religione o di culto, tant’è che l’articolo 8, D.P.R. n. 33/87, prevede che “l’ente ecclesiastico che svolge attività per le quali sia prescritta dalle leggi tributarie la tenuta di scritture contabili, deve osservare le norme circa tali scritture relative alle specifiche attività esercitate”.

 In generale possiamo ritenere giusto, quando sia presente uno statuto, chiedere una normativa sul bilancio, alla quale debbono attenersi gli amministratori; ma da qui non si può arrivare a sostenere che il bilancio deve essere modellato esclusivamente sulla base del codice civile, visto che anche lo stesso codex iuris canonici, come evidenziato negli articoli precedenti qui pubblicati (….) detta previsioni specifiche al riguardo ( can. 1254 CIC e ss.).

 Si deve osservare come vi sia la tendenza giurisprudenziale  ad esigere anche un requisito aggiuntivo, ossia che l’edificio di culto sia di proprietà dell’ente riconoscendo; secondo l’organo consultivo “l’attribuzione della personalità giuridica comporta che il sostrato sostanziale (cioè l’edificio di culto) su cui sorge il nuovo ente, si trasformi in elemento patrimoniale e oggetto di dominio” . Di conseguenza, se il precedente proprietario dell’edificio di culto non trasferisce il suo diritto, non è possibile riconoscere un ente-chiesa, ma semmai una fondazione di culto o una confraternita.

 Tale orientamento, tuttavia, viene disapprovato dalla Dottrina, in quanto la normativa pattizia non richiede che la proprietà dell’edificio spetti all’ente erigendo: infatti quando la chiesa sia aperta al culto pubblico, e dunque assoggettata al vincolo di destinazione di cui all’articolo 831 CC, ciò comporta la sua piena funzionalità, visto che solo un atto dell’autorità ecclesiastica o la distruzione materiale possono sottrarre l’edificio alla destinazione al culto.

 In riferimento alle associazioni cattoliche, esse possono assumere varie forme tra cui gli istituti religiosi e le società di vita apostolica ( cfr. precedente mio articolo pubblicato da questa Rivista in occasione del decesso del mio amico Biagio Conte).

Sulla base dei requisiti stabiliti dalla normativa pattizia, le predette associazioni, nonché le loro procure e case generalizie, hanno “un vero e proprio diritto al riconoscimento” nel senso di una discrezionalità minima concessa all’amministrazione, tant’è che non devono provare l’esistenza di un patrimonio proprio, essendo sufficiente “la loro capacità di acquistare e possedere”. L’unico accertamento spettante all’autorità civile è quello di accertare, nei casi previsti, se il rappresentante di diritto sia anche quello di fatto.

Per completezza  evidenziamo che recentemente il Governo italiano ha adottato un nuovo provvedimento riguardante anche le sovvenzioni a favore  degli enti ecclesiastici ( riportato in prosieguo), inoltre la Corte di  Cassazione e la Corte dei conti si sono  occupati di vari profili degli enti ecclesiastici; nel contempo il Papa ha emanato nuovi documenti (di natura giuridica ed economica) in materia di persone giuridiche strumentali per i quali prossimamente possiamo attivare un dibattito con altri esperti disponibili ad una valutazione comparativa con noi  al fine di acquisire un panorama evolutivo sul piano canonico, amministrativo, tributario e civilistico utile ai chierici della Chiesa universale  ed ai fedeli laici cattolici:

-Sentenza della Sezione giurisdizionale  della Corte dei conti 4/5/2022 n. 42 (Venivano inoltre considerati inconferenti i richiami del P.M. al “patrimonio indisponibile dell’ente sanitario sulla scorta della disciplina di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. 502/1992”, considerando la natura dell’Ente ecclesiastico: “  https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.eius.it%2Fgiurisprudenza%2F2022%2F260%3Ffbclid%3DIwAR3a8EgpdPo5rQZ6Mbzbckbop3kSX4VYg6CnPrL556Tqh37Y8DHQGcqNF4o&h=AT24tq_2bGNPobbtD2fltqKrgjJ4sfVyPGtNTAxC2EaR39mEfcbhbHM0en7pMZfHRovEA0GhIEatOD1yDGz_82971EmrpvnDA6Q5WnRT9iJEONk59yjE8Zn2Z9v7PJVeINOZ&__tn__=H-R&c[0]=AT3br3KUl680F0AvNZGY4EqPcfTQR5hVeW_HRakhEIhaqNSCXZpEjdVV80zK7WVc9XoIRjeIpXlDoho8M0K-ReR2cLt-IY15g8hixfJb53oHZ7Ptjcb2lP4HHLV9j8awMHzHSDVvbZnL8UelPOM2QGb8PWgNqL5sXMvQC4T2UL9wHCh9m6t “)

-Il Decreto n. 350 del 16 dicembre 2022 è stato sottoposto alla Sezione di  controllo della Corte dei conti e registrato in data 13.01.2023 al n. 87. (Allegato A – Allegato 1 al decreto del Segretario Generale del Ministero della Cultura n. 455/2022 – Estratto degli interventi sui beni di proprietà delle diocesi e degli enti ecclesiastici sotto soglia comunitaria:

https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fdgspatrimonioculturale.beniculturali.it%2Fpnrr-decreto-350-assegnazione-risorse-enti-pubblici%2F%3Ffbclid%3DIwAR28G9Rt7KxhXOBsSqMAuvIroG5Ll2tkxoFz-hbNK_sXeLjkeXzsIQ0yNAc&h=AT0YcTXNPJLMRQ3C_W1a0_rI93OdZxO0QAbo_L34LZn-fNb0fOkEkANW_JHpZS-12Rzu-6hUatqR1VTVQjxQ05s1WGdoLuR9oNiresuw7EJxiZ28H_SvSJrEbL10rrRQpbgn&__tn__=H-R&c[0]=AT3c9GvjzNI96JoUbxO3b6bGgQP7gvY-sSgoqosER8BhwjASOB9B_UhZaXtHItYINXutlSw1usXX03hgSvhZ8aK59ZgywLiJYLhh21R65lEXtTNEDVkDn9pdrNOoc75OYj_0NBOq2WBprxU1TaRgJOibVrJq3ucCvWQbv-eVtgLPUvYB-CHi ).

– Sentenza della Corte di Cassazione 5^ Sezione  n. 526/2021:

https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.misterlex.it%2Fcassazione-civile%2F2021%2F526%2F%3Ffbclid%3DIwAR16qiRirMf63TQe9C0B0vooBXOzU1wgCbpAyj45y9aAVpFIsqPN63QFjB8&h=AT0Q6-2TFi08XzOq5dfpMNpNqCe6lINmdLS4dU8chmeZ2GyZtLSaV7oNBz9mxJfGaeB9DiCSKArdzmOg8zPS7EaHTri7Y9YtYf23WswT2JXoYp9oj-Yn9jMDpZur5p_Sx6eM&__tn__=H-R&c[0]=AT1KuKMRJALqWS1hfGVFtVew4ex6fWuYVxyx9x-K_tqfDVqFo0CfhF4YcQg_hhSP9dn1gKvJJJoQGS2HdC1zGrZb6laMWSFu5GmPGNpjYjVLWVkj5qYcjuAmJgsdsrEMvScApPktrQnlXbHmIgBYuAyO9LQ4EvDOaztnnRoyGNG5x3MUVVxa

– Santa Sede: https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.voxcanonica.com

%2F2022%2F12%2F12%2Fla-nuova-normativa-per-le-persone-giuridiche-strumentali-della-santa-sede%2F%3Ffbclid%3DIwAR2_GaQdnPd9nfPgAcq4Rk8WiivqazbK-YhZOHWyzutjfIyCX5Bn-naiUjo&h=AT3s3Eow3wV5M6TQdoiwz-9B1JgNdiw8OwlVjC791SdVNLfPxNl7goIO7wAxbMCUjwQRlju6OuAcw536tLW76pOq6aVtQQbejwI2D-zTHT6YAN6mimLwE4Vh8_wDrGPOk1Se&__tn__=%2CmH-y-R&c[0]=AT2Q5hJZA2ar4ZYTMi7Bz3i7Emsyy6aSPS5t-y1dmjmsOVspOUwVo6dsafj9-PdCnkmQtBVQXlTuCwj3AubBsOkoiLsuVAZut9rH8fMYE2g9v_zBTTWLLUy2G-rg_-L2DCXr-mhi-nsN0yB0gEdxUIXXYHQg_lNjDLbhKppFxSaH8P-bYqaEEtnQ64zsgLk

– MOTU PROPRIO: https://www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/20221205-motu-proprio-curia-romana.html#:~:text=Lettera%20Apostolica%20in%20forma%20di,Curia%20Romana%20(5%20dicembre%202022)&text=%C2%ABChi%20%C3%A8%20fedele%20in%20cose,(Lc%2016%2C10a). In conclusione riteniamo, considerato quanto illustrato nelle 3 parti di questo nostro articolo,  che sia preferibile la strada diplomatica attraverso un “Protocollo formale” con lo scambio di note fra gli organi competenti dello Stato italiano e dello Stato “ Città del Vaticano” ( anziché quella delle “mini-intese” previste dagli Accordi di Villa Madama del 1984), con l’ istituzione di commissioni paritetiche formate da chierici e laici esperti in queste materie giuridiche, economiche, finanziarie ed anche teologiche (confermato implicitamente da Papa Francesco al n. 10 della  citata Costituzione apostolica Praedicate Evangelium del 19/3/2022 ” Ogni cristiano è un discepolo missionario:  Il Papa, i Vescovi e gli altri ministri ordinati non sono gli unici evangelizzatori nella Chiesa. Essi «sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutto il peso della missione salvifica della Chiesa verso il mondo»[19]. Ogni cristiano, in virtù del Battesimo, è un discepolo-missionario «nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù»[20].

Non si può non tenerne conto nell’aggiornamento della Curia, la cui riforma, pertanto, deve prevedere il coinvolgimento di laiche e laici, anche in ruoli di governo e di responsabilità. La loro presenza e partecipazione è, inoltre, imprescindibile, perché essi cooperano al bene di tutta la Chiesa[21] e, per la loro vita familiare, per la loro conoscenza delle realtà sociali e per la loro fede che li porta a scoprire i cammini di Dio nel mondo, possono apportare validi contributi, soprattutto quando si tratta della promozione della famiglia e del rispetto dei valori della vita e del creato, del Vangelo come fermento delle realtà temporali e del discernimento dei segni dei tempi “).

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