Quesito giuridico (civilistico-amministrativo-tributario-canonico) sulla compatibilità del «MOTU PROPRIO» (2023) “Il diritto nativo:il patrimonio della Sede Apostolica” con il can. 1258 CIC, l’art. 831 CC, la L. 127/97 ed il D.lgs. n. 117/2017 s.m.i. 2- COMPARAZIONE CANONICO-CIVILISTICA

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 Premesso quanto ha illustrato brillantemente il mio ex studente (attuale P. Avv. Dott. Giuseppe Di Giacinto, tirocinante giudiziario, primo classificato nel mese di  Marzo 2023 presso Corte d’Appello) nel precedente articolo qui pubblicato (…..),cercherò di completare la complessa configurazione della vicenda sancita dalla recente  normativa, avvalendomi  della dottrina più accreditata e della  giurisprudenza consolidata in tali contesti.

Sul fondamento del combinato disposto del M.P. “Il diritto nativo” (“Nessuna Istituzione o Ente può pertanto reclamare la sua privata ed esclusiva proprietà o titolarità dei beni della Santa Sede…), del Can. 1273  ( Il Romano Pontefice, in forza del primato di governo è il supremo amministratore ed economo di tutti i beni ecclesiastici), del  Can. 1258 del Codice di Diritto canonico (“Nei canoni seguenti con il nome di Chiesa s’intende non soltanto la Chiesa universale o la Sede Apostolica, ma anche qualsiasi persona giuridica pubblica nella Chiesa, a meno che non risulti diversamente dal contesto o dalla natura delle cose”) e dell’art. 831 del Codice Civile italiano (Beni degli enti ecclesiastici ed edifici di culto:

  “I beni degli  enti  ecclesiastici  sono  soggetti  alle  norme  del presente codice, in quanto non e’ diversamente disposto  dalle  leggi speciali che li riguardano…)  spiegherò il significato di “Enti ecclesiastici” contemplati dall’ordinamento  (L. 24-6-1929, n. 1159; L. 20-5-1985, n. 222; Accordo Stato italiano-Santa Sede del 18-2-1984 e s.m.i.) sui quali il Papa ha sancito nuove norme, anche sul piano patrimoniale, con il M.P. “Il diritto nativo….” del  20/2/ 2023 in quanto il variegato e complesso duplice ordinamento  attribuisce a tali enti una mutevole  natura in base a particolari vicende; inoltre, come si evincerà dalla nostra disamina, allo stato degli atti non si ha certezza giuridica  ed univocità  sistemica in ordine alla esatta titolarità dei beni della Chiesa universale ed ai procedimenti che li concernono sotto tutti i profili analizzati dalla dottrina e dalla giurisprudenza.


Una parte della dottrina evidenzia che così si definiscono (—) quegli organismi ( sorti anche  nella forma di associazioni), aventi finalità di religione ed in particolare di culto, sorti nell’ambito della struttura della Chiesa cattolica  ( nell’accezione citata dal  can. 1258 CIC) e delle confessioni diverse dalla cattolica, che possono,  attraverso il riconoscimento, di norma previo parere del Consiglio di Stato (diventando persone giuridiche), svolgere un ruolo rilevante anche nell’ordinamento statale.

E’ necessario, pertanto, individuare concretamente gli “ENTI ECCLESIASTICI (CATTOLICI) CIVILMENTE RICONOSCIUTI “(art. 7, n. 2, Nuovo Concordato 1984)

I seguenti Enti furono riconosciuti ( costituenti Persone giuridiche) anteriormente al Concordato del 1929:
Santa Sede, Sacre Congregazioni, Collegio dei Cardinali, Tribunali ecclesiastici presso la Santa Sede (Rota Romana, Segnatura Apostolica), Penitenziaria Apostolica, Capitoli (cattedrali e collegiali), Seminari di ogni ordine e grado ( le mense vescovili e i benefici parrocchiali sono stati soppressi dall’art. 28 della L. 222/85).

 Invece gli Enti seguenti furono  riconosciuti (ovvero sono riconoscibili) dalla Chiesa cattolica dopo i Concordati del 1929 e del 1984:
 Diocesi, Parrocchie, Istituti universitari, accademie, collegi e altri istituti per ecclesiastici e religiosi o per la formazione nelle discipline ecclesiastiche, Chiese aperte al culto pubblico,
 Santuari, Fabbricerie, Associazioni religiose (istituti religiosi e società di vita apostolica di cui ho trattato già nei precedenti articoli pubblicati da “Korazym”, per i quali ringrazio il Dott. Simone Baroncia, V. Direttore, giornalista vaticanista), Confraternite, Associazioni pubbliche di fedeli, Fondazioni di culto,  Istituto centrale per il sostentamento del clero, Istituti diocesani e interdiocesani per il sostentamento del clero.  
I presupposti per l’attribuzione della qualifica, nell’ambito dell’ordinamento italiano,

 degli enti civilmente riconosciuti ( persone giuridiche), sono:
 un preventivo provvedimento canonico di erezione o di approvazione (cd. presupposto fondamentale), la sede in Italia,  il fine di religione o di culto (presunto per alcune categorie di enti o accertato direttamente dallo Stato per tutti gli altri enti),  la dimostrazione (solo però per alcune categorie di enti) della sufficienza dei mezzi per il raggiungimento dei propri fini e/o della rispondenza alle esigenze religiose della popolazione,  un procedimento amministrativo ( previo parere del Consiglio di Stato, massimo Giudice amministrativo italiano) di riconoscimento agli effetti civili descritto compiutamente dalla L. 222/85.


L’art. 19 della L. 222/85 ha previsto, in particolare, che in caso di mutamento sostanziale (nel fine, nella destinazione dei beni e nel modo di esistenza, per esempio la posizione di proprietario dei beni, come si è verificato con il menzionato nuovo M.P. del Pontefice) che faccia perdere all’ente uno dei requisiti prescritti per il suo riconoscimento, questo possa essere revocato con decreto del Presidente della Repubblica ( o di altro organo statuale secondo la legislazione vigente e s.m.i. ) sentita l’autorità ecclesiastica ( competente) e udito il parere del Consiglio di Stato ( di cui esamineremo la giurisprudenza in materia).

La Legge  20 maggio 1985, n. 222 e s.m.i. detta le seguenti principali “Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi”.

Come primo approccio si sottolinea che “Gli enti costituiti o approvati dall’autorità ecclesiastica, aventi sede in Italia, i quali abbiano fine di religione o di culto, possono essere riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili ( diventando Enti ecclesiastici civilmente riconosciti ) con decreto del Presidente della Repubblica ( lex rebus sic stantibus), udito il parere del Consiglio di Stato.

 Sono considerati aventi fine di religione o di culto gli enti che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa ( in prosieguo), gli istituti religiosi e i seminari. Per altre persone giuridiche canoniche, per le fondazioni e in genere per gli enti ecclesiastici che non abbiano personalità giuridica ( associazioni non riconosciute) nell’ordinamento della Chiesa, il fine di religione o di culto è accertato di volta in volta, in conformità alle disposizioni dell’articolo 16. L’accertamento di cui al comma precedente è diretto a verificare che il fine di religione o di culto sia costitutivo ed essenziale dell’ente ( sulla base dell’ermeneutica giurisprudenziale), anche se connesso a finalità di carattere caritativo previste dal diritto canonico.

 Il riconoscimento della personalità giuridica è concesso su domanda di chi rappresenta l’ente secondo il diritto canonico, previo assenso dell’autorità ecclesiastica competente, ovvero su domanda di questa. (LE PERSONE GIURIDICHE: Can. 113 – §1. La Chiesa cattolica e la Sede Apostolica sono persone morali in forza della stessa disposizione divina. §2. Nella Chiesa, oltre alle persone fisiche, ci sono anche le persone giuridiche, soggetti cioè nel diritto canonico di obblighi e di diritti che corrispondono alla loro natura. Can. 114 – §1. Le persone giuridiche sono costituite o dalla stessa disposizione del diritto oppure dalla concessione speciale da parte della competente autorità data per mezzo di un decreto, come insiemi sia di persone sia di cose ordinati ad un fine corrispondente alla missione della Chiesa, che trascende il fine dei singoli. §2. Come fini, di cui al §1, s’intendono quelli attinenti ad opere di pietà, di apostolato o di carità sia spirituale sia temporale.

§3. L’autorità competente della Chiesa non conferisca la personalità giuridica se non a quegli insiemi di persone o di cose, che perseguono un fine effettivamente utile e che, tutto considerato, sono forniti dei mezzi che si possono prevedere sufficienti a conseguire il fine prestabilito.

Can. 115 – §1. Le persone giuridiche nella Chiesa sono o insiemi di persone o insiemi di cose.

§2. L’insieme di persone, che non può essere composto se non almeno di tre persone, è collegiale, se i membri determinano la sua azione, concorrendo nel prendere le decisioni, con uguale diritto o meno, a norma del diritto e degli statuti; altrimenti è non collegiale. §3. L’insieme di cose, ossia la fondazione autonoma, consta di beni o di cose, sia spirituali sia materiali, e lo dirigono, a norma del diritto e degli statuti, sia una o più persone fisiche sia un collegio. Can. 116 – §1. Le persone giuridiche pubbliche sono insiemi di persone o di cose, che vengono costituite dalla competente autorità ecclesiastica perché, entro i fini ad esse prestabiliti, a nome della Chiesa compiano, a norma delle disposizioni del diritto, il proprio compito, loro affidato in vista del bene pubblico; tutte le altre persone giuridiche sono private. §2. Le persone giuridiche pubbliche vengono dotate di tale personalità sia per il diritto stesso sia per speciale decreto dell’autorità competente che la concede espressamente; le persone giuridiche private vengono dotate di questa personalità soltanto per mezzo dello speciale decreto dell’autorità competente che concede espressamente la medesima personalità. Can. 117 – Nessun insieme di persone o di cose che intenda ottenere la personalità giuridica, può validamente conseguirla se i suoi statuti non siano stati approvati dalla competente autorità. Can. 118 – Rappresentano la persona giuridica pubblica, agendo a suo nome, coloro ai quali tale competenza è riconosciuta dal diritto universale o particolare oppure dai propri statuti; rappresentano la persona giuridica privata, coloro cui la medesima competenza è attribuita attraverso gli statuti).

   Gli enti ecclesiastici che hanno la personalità giuridica nell’ordinamento dello Stato assumono, ripeto, la qualifica di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.

 Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti devono iscriversi nel registro delle persone giuridiche ( dello Stato italiano). Nel registro, con le indicazioni prescritte dagli articoli 33 e 34 del codice civile, devono risultare le norme di funzionamento e i poteri degli organi di rappresentanza dell’ente. Agli enti ecclesiastici non può comunque essere fatto, ai fini della registrazione, un trattamento diverso da quello previsto per le persone giuridiche private. I provvedimenti previsti dagli articoli 19 e 20 delle presenti norme sono trasmessi d’ufficio per l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche.

Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, alle condizioni previste dall’articolo 7, n. 3, secondo comma, dell’accordo del 18 febbraio 1984.

Agli effetti delle leggi civili si considerano comunque: a) attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana; b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro”.

Per gli acquisti degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti si applicano le disposizioni delle leggi civili relative alle persone giuridiche dello Stato italiano, come  descritto in questo testo:

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Mancando una definizione normativamente puntuale di Ente Ecclesiastico la Dottrina ha adottato due criteri interpretativi ( rilevanti anche in ordine ai citati, recentissimi documenti magisteriali del Pontefice) in base ai quali sono tali quelli che perseguono un fine di religione o di culto (criterio finalistico), quelli che sono sorti in forza di provvedimento canonico, quali quelli posti in essere dalla Chiesa o assorbiti da quest’ultima e regolati dal diritto canonico.

 Pertanto, Gli ENTI ECCLESIASTICI, attualmente , possono raggrupparsi in 5 categorie, qualificazione rilevante anche ai fini dei differenti effetti del parere  (facoltativo, obbligatorio, vincolante) del Consiglio di Stato:

a) Gli ENTI ECCLESIASTICI appartenenti alla costituzione gerarchica della Chiesa (C.E.I./Regioni ecclesiastiche/Province ecclesiastiche/ Diocesi-Abbazie-Prelature/Capitoli/Parrocchie/Chiese), indicazione rilevante anche ai fini del differente parere del Consiglio di Stato a loro riservato;

b) Istituti universitari/ Seminari/ Accademie/ Collegi per religiosi ed ecclesiastici;

c)Persone giuridiche canoniche quali: Società di vita apostolica/ Associazioni pubbliche di fedeli e confederazioni;

d)Fondazioni (Istituti di sostentamento del clero/ Fondazioni autonome);

e)Enti costituiti o approvati dall’Autorità ecclesiastica.

Le principali Fonti sono: Concordato Lateranense del 1929; Art. 20 Costituzione italiana; Legge 206/85 e Legge 222/85 e s.m.i.

La dottrina ha cercato di configurare  la loro  “natura giuridica”:

Gli ENTI ECCLESIASTICI sono persone giuridiche private dotate di autonomia speciale in considerazione delle loro peculiarità, oggetto di specifica tutela dello Stato (ex plurimis Cass. 1990/1983/1985); sono inquadrati nell’ampio genus degli Enti pubblici (dottrina tradizionale); rappresentano un “tertium genus”, in base all’art. 4 della L. 222/85, poiché sono disciplinati da tale legge e, per quanto non previsto da questa, dal codice civile (diverso orientamento).

Nel contesto della medesima Legge  é formulato espressamente il principio secondo il quale gli ENTI ECCLESIASTICI afferiscono alle confessioni religiose per quanto concerne la loro costituzione, funzionamento ed il regime delle autorizzazioni, ma agiscono nell’ordinamento giuridico italiano secondo le regole del diritto interno. Tale principio, dovuto dall’esigenza di contemperare l’esigenza di autonomia degli ENTI ECCLESIASTICI e il rispetto di norme poste a tutela di interessi civilisticamente rilevanti, ha comportato l’obbligo, ribadisco, di pubblicità nel Registro delle persone giuridiche degli ENTI ECCLESIASTICI, di modo che si rendano riconoscibile ai terzi prescrizioni statutarie difformi rispetto ai principi del diritto canonico. L’art. 1, della legge in argomento, prevede la possibilità di riconoscimento (D.P.R. su proposta del Ministro dell’interno) per gli ENTI ECCLESIASTICI costituiti o approvati dall’Autorità ecclesiastica a condizione che abbiano sede in Italia (cfr. Regolamento di esecuzione D.P.R. 33/1987 della Legge n. 222/1985).

Sotto il profilo strettamente notarile ( molti anni ho effettuato tirocinio professionale in uno studio a Palermo), vi é da segnalare come la capacità negoziale degli Enti della Chiesa cattolica, nonché degli Enti che fanno capo a confessioni che hanno stipulato intese con lo Stato, ex art. 8 Cost., sia subordinata all’iscrizione dell’Ente nel registro delle persone giuridiche (art. 6 ) mentre per gli altri enti che non possono o non vogliono ottenere il riconoscimento si pongono problemi di individuazione della normativa applicabile. L’iscrizione nel registro ha natura di pubblicità costitutiva poiché, in effetti, la soppressione o estinzione degli ENTI ECCLESIASTICI così come la revoca del decreto di riconoscimento (perdita di uno dei requisiti richiesti per il riconoscimento, per alcuni rientra anche la trasformazione da proprietario dei beni ad amministratore/gestore dei beni patrimoniali) per essere efficaci nei confronti dei terzi devono essere iscritti nel registro. Il Notaio, nel caso di ENTI ECCLESIASTICI quale parte contrattuale, dovrà verificare i poteri di chi interviene distinguendo tra potere deliberativo nei confronti anche dei beni patrimoniali (quale proprietario o possessore) potere di gestione (quale amministratore), potere di rappresentanza ( quale procuratore). Per le persone giuridiche private é sufficiente verificare il registro delle p.g. e richiedere la delibera dell’organo competente. Per gli ENTI ECCLESIASTICI é più complesso poiché, oltre alla delibera degli organi canonicamente competenti, sono necessari anche gli atti autorizzativi e di controllo delle Autorità gerarchicamente superiori (cfr. i recenti Documenti pontifici citati).

Il diritto canonico riconosce la rappresentanza al Vescovo per la Diocesi, al Parroco per la Parrocchia e al Rettore per i Seminari. Negli altri casi, quali le Associazioni di fedeli o gli Istituti religiosi, il CIC non prevede i rappresentanti, di conseguenza bisognerà rifarsi ai rispettivi statuti. Se dal registro delle persone giuridiche non si può verificare chi sia il rappresentante legale e la data di assunzione dei poteri, il regime di disponibilità ( a titolo di proprietario, di possessore, di gestore, amministratore, ecc.) dei beni degli ENTI ECCLESIASTICI risulta solo dal codex iuris canonici !!!

A tal proposito, per gli ENTI ECCLESIASTICI facenti parte della costituzione gerarchica della Chiesa lo Statuto é sostituito dal Decreto di erezione (che può essere integrato con dichiarazioni, contenenti ulteriori elementi costitutivi, da parte dell’Autorità ecclesiastica) dal quale risultano gli elementi essenziali quali la denominazione, la sede, la natura, la proprietà od il possesso dei beni, ecc.

Per gli ENTI ECCLESIASTICI privi di uno statuto, approvato agli effetti civili, deve essere prodotta un’attestazione della Santa Sede o del Vescovo diocesano dal quale risultino gli elementi di funzionamento e di rappresentanza dell’Ente.

Per gli enti ecclesiastici non riconosciuti in persona giuridica, tale normativa opererà soltanto se il loro statuto faccia espresso riferimento alla normativa canonica, e sia stato pubblicizzato nelle forme di legge, secondo le variegate interpretazioni giurisprudenziali ( che saranno specificate nella parte terza di prossima pubblicazione in questa rivista).

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