I Pastori possono sbagliare, possono essere criticati?

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 25.03.2023 – Vik van Brantegem] – Il collega e amico Marco Tosatti – a cui auguriamo pronta ripresa dopo l’intervento – offre alcune riflessioni a margine dello scambio di opinioni tra Austen Ivereigh e Matteo Matzuzzi, su una questione di cui ci siamo occupato già in modo esaustivo in passato: I Pastori possono sbagliare, possono essere criticati? Una risposta alla luce del “favor veritatis et salus animarum suprema lex” – 7 febbraio 2022 (Quanto segue non è un “attacco” al Papa, non è un “attacco” a Papa Francesco, non è un “attacco” al Papato, non è un “attacco” al Pontificato. E meno ancora rappresenta un “attacco” alla Chiesa di Cristo, anzi. Quanto segue è offerto come pro memoria delle fonti su quanto scritto nel titolo e come sussidio per la riflessione sul tema indicato) e L’approfondimento. Intervista di Cazzullo al Cardinale Ruini: “La Chiesa italiana è in declino. Criticare Papa Francesco? Non vuol dire essergli contro” – 6 ottobre 2020.

Ripetiamo quanto scritto già in precedenti occasioni, formulare critiche all’operato del Papa, in conformità al Can. 212 del Codice di Diritto Canonico, non vuole dire essere “contro il Papa”. Noi non siamo “contro il Papa”. E l’ha pure detto Papa Francesco: «Non è peccato criticare il Papa qui! Non è peccato, si può fare» (Discorso all’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, 21 maggio 2018 [QUI]).

Criticare il Papa, si può? Quanto, come e fino a dove?
di Mons. Ics
Stilum Curiae, 25 marzo 2023


Allego l’articolo di Matzuzzi, vaticanista de Il Foglio. E riprendo le due domande fondamentali ivi contenute: “- Si può criticare il Papa e il suo pontificato? – La comunione con Roma è ora facoltativa per i vescovi?”. Ha twittato domenica Austen Ivereigh. “La domanda completa però dovrebbe essere se si può farlo pubblicamente più che intimamente”. Ma un’altra domanda è anche: “Si può NON valutare il Papa e il suo pontificato? Può un cattolico di Santa Romana Chiesa non utilizzare la sua ragione e la sua fede, accettando tutto ciò che dice e fa il Pontefice senza porsi domande appropriate, se ciò che dice e fa il Papa è degno di un Vicario di Cristo? O deve tacitamente accettare tutto ed obbedire anche contro la propria coscienza, negando pertanto il proprio libero arbitrio?

Le risposte potrebbero essere: “Per obbedire al Papa e vivere la propria fede, si deve usare senso critico per valutare il suo insegnamento, se è o non è convincente. Noi dovremmo farlo, non per fare carriere, ma per guadagnare la vita eterna, vivendo il Cristianesimo in unità di vita. Ecco “convincente“ è una parola appropriata. È convincente l’insegnamento di Papa Bergoglio? Domando se è convincente ciò che insegna, sia da un punto di vista religioso (secondo la dottrina cattolica) che da un punto di vista razionale. Domando se è convincente o no per confermarci come dobbiamo vivere ed operare per la salvezza nostra e del prossimo, nonché per la cosiddetta civiltà cristiana. Credo che questa sia la vera domanda: è convincente?

Vorrei prescindere anche da ciò che dice e twitta il Signor Ivereigh, definito da Matzuzzi “prestigioso” e “osservatore equilibrato”. Di Ivereigh quasi nessuno conosceva l’esistenza prima della nomina di Bergoglio Papa. Che io sappia si conosceva solo per un libretto il cui titolo era più o meno “Come difendere la fede senza alzare la voce”, che ricordo in due edizioni. La prima molto “ortodossa”, antecedente al 2013, cioè alla nomina di Bergoglio, la seconda, subito dopo la nomina, totalmente stravolta, scritta in ginocchio, come si dice.

Vorrei prescindere dal carattere di Papa Bergoglio, dal suo stile, dittatoriale, un po’ arrogante, un pochino apparentemente prepotente, certo quasi sempre confondente, ecc. (perfette doti per un pontefice gesuita e positivista…). Ne prescindo, arrivando persino ad esser disposto a riconoscere che lo fa “in buona fede e rette intenzioni”. Proprio per questo è lecito, o indispensabile, valutarlo e usare senso critico per farlo. Certo un cattolico non può disobbedire al Papa. Ma può fare apostolato ed evangelizzazione, senza riferirsi al magistero del Papa? Forse è per questo che il Papa stesso ha chiesto di NON fare evangelizzazione per rispettare la cultura dei non cattolici. Ma come potremmo noi cattolici, quindi esser cattolici, e pertanto fare evangelizzazione (che peraltro lui vieta), se quella che faremmo è differente da ciò che dice il Papa. L’interlocutore che ci ascolta ci direbbe subito (come capita a me spessissimo), che non stiamo insegnando ciò che insegna il Papa, cui dobbiamo conformarci per non contraddirci. Così la risposta più facile alla domanda “si può criticare il Papa?” potrebbe essere: no, nessuna critica al Papa, solo a Bergoglio. Ma è risposta inconsistente.

La fede non è un fatto prevalentemente razionale con intervento (atteso) della Grazia. La fede si dimostra e si permette di percepirla quando c’è amore. Ma l’amore non può esser confondente. Papa Bergoglio ci ama? Ama il suo gregge? Lo abbiamo percepito? Su questo punto abbiamo il diritto di esser critici, o no. O mi sbaglio?

Mons. Ics

Fino a che punto si può criticare il Papa?
Il biografo di Francesco attacca l’Arcivescovo di Sydney. La colpa? Aver dato spazio al critico George Weigel. Ma il problema è più profondo
di Matteo Matzuzzi
Il Foglio, 21 marzo 2023


Qual è la differenza tra l’Arcivescovo di Sydney che autorizza la pubblicazione del testo “incriminato” e il Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca Mons. Georg Bätzing che rende manifesti i suoi dubbi sul fatto che la Chiesa venga governata a colpi di interviste?

“Sconvolto che Anthony Fisher abbia permesso questa diatriba male informata sulla prima pagina del giornale dell’Arcidiocesi di Sydney. Fisher vuole chiaramente continuare la campagna Weigel/Pell contro Francesco e il Sinodo. La comunione con Roma è ora facoltativa per i vescovi?”, ha twittato domenica Austen Ivereigh.

I protagonisti, innanzitutto: Anthony Fisher è l’Arcivescovo di Sydney, George Weigel è un intellettuale americano conservatore (tendenza neocon) e già biografo di Giovanni Paolo II. Austen Ivereigh è un prestigioso scrittore giornalista inglese, già portavoce del Cardinale Cormac Murphy O’Connor e autore di una delle più significative, curate e approfondite biografie di Papa Francesco (in italiano è Tempo di Misericordia: Vita di Jorge Mario Bergoglio, Mondadori, ma il titolo originale The Great Reformer pare più centrato).

L’articolo in questione, quello ripreso dal giornale diocesano australiano, è un bilancio del decennio bergogliano. Un bilancio fortemente critico, con Weigel che passa in rassegna le ambiguità del pontificato e descrive un clima plumbeo dominato da “malinconia” in cui ci sarebbero moltitudini di preti vescovi e cardinali terrorizzati dal rischio di finire sotto la scure papale. L’autore americano mette insieme tutto, dall’affaire Rupnik ai rapporti con Pechino, fino “allo sforzo sistematico per decostruire l’eredità di San Giovanni Paolo II”.

George Weigel si può discutere, naturalmente, le sue sono opinioni di uno studioso di destra, nostalgico della stagione segnata dalle culture war e che non di rado è stato bersaglio di critiche alimentate da circoli liberal gravitanti dentro e attorno alla Chiesa Cattolica. Il punto è un altro: si può essere sconvolti perché un vescovo ha ripreso il parere di Weigel sul pontificato? L’autore dell’articolo non è un parvenu né è inseribile nella folkloristica compagnia degli antibergogliani a prescindere, quelli cioè che vorrebbero la detronizzazione del Pontefice perché non indossa il camice con mezzo metro di pizzo o perché non benedice gli agnellini il giorno di Sant’Agnese. Tantomeno è paragonabile a quegli osservatori che cambiano idea a seconda di dove tira il vento, coloro che prima negavano la liceità dell’elezione di Francesco e ora si presentano oranti alla reception di Casa Santa Marta.

No, Weigel è un conservatore dichiarato, rimpiange i tempi di Giovanni Paolo II e vede con orrore la realpolitik dell’attuale pontificato che gli ricorda la tanto da lui criticata Ostpolitik di Paolo VI. Opinioni, comunque lecite e rispettose, benché discutibili. Tanto è bastato però perché s’alzasse il polverone e che un osservatore equilibrato come Ivereigh arrivasse ad accusare sui social network l’Arcivescovo di Sydney di essere il prosecutore di una guerra anti Francesco iniziata da Weigel stesso e dal defunto Cardinale George Pell.

Si può criticare il Papa e il suo pontificato? Se lo chiedeva, giorni fa, anche Ross Douthat nella sua newsletter per il New York Times. Douthat prendeva spunto da un saggio del filosofo tradizionalista Thomas Pink apparso sulla rivista cattolica The Lamp, in cui si domandava fino a che punto sia accettabile per i cattolici discutere con il Papa o — se necessario — resistergli.

Si torna al Vaticano I, all’infallibilità, ai commenti dei Cardinali John Newman e Henry Manning. Pink insomma si domanda se non sia lecito per un cattolico opporsi in qualche modo al Pontefice se, nella sua coscienza, ritiene che il Pontefice stia sbagliando. Il tweet di Ivereigh chiarisce bene il livello di polarizzazione raggiunto dalla e nella Chiesa Cattolica. I Papi sono sempre stati criticati — senza tornare all’epoca di Pio IX, quando parecchi vescovi lasciarono Roma pur di non votare sull’infallibilità, è sufficiente citare gli assalti a Paolo VI e Benedetto XVI, seppure per ragioni diverse — ma non si è mai gridato al delitto di lesa maestà. Né si vedevano e denunciavano, un giorno sì e l’altro pure, complotti od operazioni mediatiche volte a danneggiare il pontificato. Con Francesco, però, il clima è mutato. La polarizzazione ha fatto sì che a livello comunicativo (e gerarchico) vi siano due squadre contrapposte, la prima che si potrebbe definire degli entusiasti a prescindere, adoranti e pronti a difendere il Pontefice se necessario fino all’estremo sacrificio (benché non sembri che l’attuale Vescovo di Roma ne abbia bisogno), l’altra formata da quanti in sostanza negano la stessa legittimità di Bergoglio a sedere sulla cattedra di Pietro. Punti di incontro, pochi. Terreno di scontro, ampio.

Weigel critica, ma lo fanno anche i vescovi. E la comunione è minata da tempo. Non solo da quanti (e sono la grande maggioranza) negli Stati Uniti — dove scrive Weigel e dove è innanzitutto presente il pubblico cui si rivolge — hanno manifestato in ogni modo una scarsa capacità di sintonizzarsi lungo le coordinate impostate da Francesco, ma anche nell’Europa così vicina alle mura vaticane. Qual è la differenza tra l’Arcivescovo di Sydney che autorizza la pubblicazione del testo “incriminato” e il Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca mons. Georg Bätzing che rende manifesti i suoi dubbi sul fatto che la Chiesa venga governata a colpi di interviste? O ancora, è peggio un articolo critico sulla rivista diocesana di Sydney o la dichiarazione dei vescovi fiamminghi che definiscono lecita la benedizione delle coppie formate da persone dello stesso sesso quando la Congregazione per la Dottrina della Fede (ora dicastero), con il placet papale, l’ha definita illecita? Qui la comunione dov’è? Se la parresia episcopale belga-tedesca non viene considerata un problema, allora non può esserlo neppure un commento di George Weigel sul domenicale australiano. Altrimenti significa che, da una parte e dall’altra, è soltanto questione di far valere la propria visione ideologica.

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