Beati i puri di cuore. 55° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Kenya. Chiavi spezzate che possono ancora aprire vite alla grazia e alla misericordia di Dio

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 23.03.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi presento – a conclusione del 55° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Kenya – il Report N. 8 – Una vecchia chiave spezzata di Don Gigi: «È così vicino al sangue di Santina che porto al collo, custodito in una croce reliquiario, ed è anche vicino al mio cuore per ricordarmi che tutte le persone che incontro possono sembrarmi chiavi spezzate ma, in verità, sono chiavi che possono ancora aprire la loro pesante vita alla grazia di Dio e alla sua misericordia, come è avvenuto a Challapalca».

Il 10 marzo 2023 ho presentato l’inizio del 55° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina, che ha portato Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami in Kenya fino al 15 marzo, con l’imprevista sosta ad Addis Abeba, che ci ha raccontato nel Report N. 1 – Etiopia. Il diavolo è nei dettagli e nel Report N. 2 – Etiopia e la Chiesa Ortodossa. Dio è nei dettagli [QUI].
Poi, l’11 marzo ho proseguito con lo straziante (e molto istruttivo) Report N. 3 – Carbone rovente in una piccola mano e il divertentissimo (e altrettanto istruttivo) Report N. 4 – Il pollaio [QUI]. Due racconti che ci fanno capire come nella nostra vita spesso consideriamo il superfluo come l’essenziale e come è necessario di ricreare le ragioni più profonde del vivere. In riferimento al Report N. 4 faccio seguire il link al video sul progetto Il pollaio.

Fondazione Santina – Inaugurazione pollaio in orfanotrofio del Kenya – Il video.

Il 12 marzo ho continuato con il Report N. 5 – Rolando [QUI] di Don Gigi, con la domanda che gli scava dentro e lo ricolloca nei motivi più profondi del suo vivere.

Fondazione Santina – Nuovi bagni per i bambini della scuola di Chakama in Kenya – Il video.

Il 13 marzo ho presentato il Report N. 6 – Nella pericolosa terra di Al-Shabaab il progetto di una nuova irrigazione dei campi del carcere di Garissa [QUI]. “Il progetto non è grande – dice Don Gigi -, ma nei tempi attuali è meglio dare qualche cosa di piccolo e significativo ma sicuro”.

Fondazione Santina – Progetto irrigazione campi al carcere di Mtangani in Kenya – Il video.

Il 15 marzo ho presentato (erroneamente come “conclusione del 55° viaggio di solidarietà e speranza in Kenya”, non sapendo che doveva ancora arrivare il Report N. 8 che presento oggi) il Report N. 7 – Acqua [QUI]. Scrive Don Gigi: «Davvero una grande emergenza nel mondo che qui per la prima volta ho sperimentato così radicale. Pensate, in tre distinte e lontane parti, al nord, al centro ed al sud, il Kenya è devastato da siccità. Anche in Italia si sente questo, ma qui la vita agricola e quella dei pastori vede nell’acqua un elemento prezioso ed indispensabile. Oggi tanto si parla di cambiamento climatico e qui in Kenya ho letteralmente toccato con mano quanto sia reale e grave». Poi, svela il #AnastasiaProgram2023, nato da una mia idea, come ho raccontato nell’introduzione dell’articolo dell’11 marzo [QUI].

Preannuncio, che il prossimo 13 aprile pubblicherò l’articolo #AnastasiaProgram2023. Il progetto di solidarietà e speranza per festeggiare i 20 anni della nascita di Korazym.org, con cui viene lanciato ufficialmente #AnastasiaProgram2023, in occasione dei 20 anni di informazione e testimonianza al servizio della Chiesa di Korazym.org. In questo articolo darò più dettagli e la possibilità ai lettori di Korazym.org di partecipare a questo piccolo ma significativo progetto.

Fondazione Santina – #AnastasiaProgram2023 – Il video.

Ricordo anche la presentazione, dopodomani sabato 25 marzo 2023 alle ore 17.00 presso il Monastero delle Benedettine di Santa Grata in via Arena in Città Alta a Bergamo, del nuovo libro di Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami, il numero 40 della collana #VoltiDiSperanza dal titolo Martín, Perdonare non cambia il passato, cambia il futuro. Messico. Interverranno Mons. Dario Edoardo Viganò, Davide Agazzi ed Emanuele Berbenni. Modera i lavori Maria Chiara Sertori. Si tratta di una iniziativa della Fondazione Santina per offrire un concreto aiuto alla Siria devastata dal terremoto recente. Il denaro raccolto dalla vendita del libro a 5 euro sarà inviato al Aleppo in Siria per beni di prima necessità a favore dei terremotati. In agosto è previsto un viaggio di solidarietà per assumere un piccolo progetto di solidarietà con queste persone che soffrono anche a motivo della guerra. Dopo la presentazione seguirà alle ore 19.00 la Santa Messa prefestiva e alle ore 20.00 la cena di festa al Caffè del Tasso in Piazza Vecchia Città Alta.

La Fondazione Santina presenta il #VoltoDiSperanza N. 40 “Martin” il 25 marzo a Bergamo – 20 marzo 2023

Fondazione Santina – Martin e i cartelli dei narcos in Messico Amazon Kindle direct publishing #VoltiDiSperanza 40 – Il video.

Report N. 8 – Una vecchia chiave spezzata

Dopo aver visitato con grande commozione le povere capanne di Munira, Iqra, Mariam, Hamina, Katra, Hamida, Bahati, Sakina, Fatuma e Sadia, le dieci bambine mutilate genitalmente seguite da Esha nel nostro programma di adozione a distanza, che qui a Garissa riguarda la piaga della mutilazione genitale femminile, a notte fonda facciamo ritorno alla missione.

Sono stanco morto, sfinito dai chilometri fatti a piedi per visitare le capanne, gli occhi rossi per la polvere, la maglietta ingiallita dalla sabbia di questa terra arrida, che il vento ti spara in faccia a forte velocità e che ti penetra i pori della pelle. Sul braccio ho uno stupendo tatuaggio fatto con l’hennè, regalo della mamma di Iqra che stava facendo tali tatuaggi ad alcune ragazze che dovevano partecipare alle nozze di parenti. Tatuaggi con l’hennè durano una settimana, con orgoglio lo guardo, sbatto gli scarponi sulla porta e poi mi sciacquo in una bacinella con acqua di color giallo il viso, metto una maglietta pulita e poi mi butto sul letto sfinito e cado in un pesante sogno.

Verso le tre del mattino, a svegliarmi sono i brontolii della mia pancia, che in modo prepotente comincia a reclamare per scariche di dissenteria. Scusate, la pipi si risolve facilmente, si esce fuori… e vicino ad un cespuglio si può orinare, ma… con la dissenteria non si scherza. Ho visto la latrina fuori, un piccolo sgabuzzino in cemento con la classica schifosa turca ed il bidone giallo per pulire.

Scatto in piedi o me la faccio sotto! Prendo il rotolo di carta igienica, corro alla porta e mi fiondo nella latrina. Domani devo bere due litri di acqua in più. Questa è la cura che mi impongo ogni volta che tali “fenomeni tellurici” – chiamiamoli così – si presentano.

La latrina è buia, vi è una piccola feritoia dalla quale entra la luce della luna. Prendo la tanica di acqua e pulisco per benino. Il luogo è buio, con una puzza nauseabonda provocata dalle feci surriscaldate dai 37 gradi in cui mi trovo, caldo incredibile. Insomma una situazione da incubo, che non avevo percepito subito a motivo della scarica di feci liquide e chiare…

Ma passato il brontolio, pulita la latrina, meccanicamente ed in modo scontato giro la maniglia della scassata porta… Nulla, la maniglia gira a vuoto. Ripeto la mossa: nulla! La maniglia difettosa non vuole cedere e il chiavistello non si muove… Passano alcuni minuti. La puzza mi devasta il cervello; il buio, il caldo fanno il resto.

Dopo 5 minuti interminabili scoppio a ridere: ed ora che faccio? Recluso a Garissa in una latrina nauseabonda alle tre del mattino… Grido aiuto nella notte a Jimmy? Chiamo i padri? Ma chi mi sente? La stanza è lontana e se mi sentissero è ancora peggio. Immagino le risate di Jimmy per tutto il resto del viaggio. In un impeto di orgoglio mi dico: porca miseria, non voglio passare come lo scemo musungu [1] chiuso nella latrina alle tre di notte! Riderebbero tutti. Immagino le suore ed i catechisti… “Guarda il padre italiano preso dalla dissenteria rimane chiuso nella latrina di notte e chiede aiuto”.

Rido di gusto e poi mi dico: bene o dormo qui, o trovo il modo intelligente per uscire. Mi calmo ed esamino con cura la scassata porta. Potrei buttarla giù con una spallata, ma si spaventerebbero tutti per il rumore nel silenzio della notte africana e riderebbero ancora di gusto. Questa non è la soluzione.

È buio, ma riesco ad intravvedere la fessura nella quale vi è il chiavistello bloccato e che la maniglia non riesce a spostare per aprire la porta. Mi dico: potrei provare ad introdurre qualche cosa nella fessura e tentare di muovere la barra. Mi guardo in giro e trovo per terra un curioso bastoncino di ghiacciolo di legno. È lurido, lo pulisco con acqua, lo asciugo, lo inserisco, ci passa… provo. La barra sembra muoversi, ma il legnetto fradicio e marcio si spezza. Riprovo una seconda volta. Nulla, si spezza ancora una seconda volta ed ormai il bastoncino è inutilizzabile. Cado nello sconforto ed inizio a pensare che dovrò sottopormi alla gogna delle risate dei missionari, delle suore, dei catechisti, di Esha e di Jimmy: tali fatti qui in Kenya vicino alla Somalia hanno la capacità di diffondersi in poche ore dato che non vi è televisione e notiziari. Nulla di più delizioso al mercato delle donne che parlano del bianco imprigionato nella latrina.

Il caldo è soffocante, la maglietta è zuppa del mio sudore e decido di levarla. La puzza è terribile ed il buio regna. Tolta la maglietta appare lei la chiave spezzata, che porto al collo dal 21 giugno 2016. È un regalo per i miei 30 anni di sacerdozio e viene da Challapalca, il terribile carcere di castigo peruviano a 5.100 metri di altezza. Quella chiave, pur spezzata, è in grado di aprire un pesante lucchetto della cella 313. Non avrei mai e poi mai immaginato che nella notte tra il 10 e l’11 marzo 2023 mi avrebbe liberato da una fetida latrina in Kenya.

Se ci pensate bene, tale considerazione ha una potenza di significato incredibile. Tolgo la chiave spezzata e disperato ci provo, più per provare che per credere che possa aprire… ed invece? Inserisco lentamente la chiave spezzata nella fessura, l’acciaio della chiave tocca la barra di metallo nella serratura, lentamente sposto da sinistra a destra la mia chiave spezzata, si muove. Ci riprovo una seconda volta, la sbarra questa volta scorre a sufficienza, la serratura si apre e la porta si spalanca… Per la prima cosa respiro a pieni polmoni l’aria pulita e non fetida, poi mi asciugo il sudore con la maglietta madida e poi esausto mi sdraio a pancia all’aria, la polvere si attacca sulla schiena. Apro gli occhi ed uno spettacolo incredibile mi ricrea: i milioni di stelle in cielo, la calda luna entrano nel cuore, regna un profondo silenzio e dalla situazione infernale di fetore, buio e caldo mi ritrovo, grazie ad una chiave spezzata di un lontano carcere in Perù, in un paradiso fatto di stelle, di aria pura e di brezza leggera.

Rimango in terra per 5 minuti. Stanche formicone passano sulla pancia, una entra nell’ombelico, un’altra sul naso, ancora una sul lembo dell’orecchio destro, un’altra sul pollice della mano sinistra. Non mi infastidiscono, anzi mi fanno compagnia: ringrazio Dio per il dono delle formiche, delle stelle, della brezza e mi sembra che l’universo intero questa notte mi stia coccolando. È vero, la natura è al servizio dell’uomo ed esige grande rispetto.

Mi addormento, sono le leccate di un cagnolino a svegliarmi e ancora una volta mi sento coccolato dalla natura. Sono lurido e sporco di sabbia non posso rientrare così. Vicino alla latrina vi è una rudimentale doccia. I bidoni gialli sono pieni. È un semplice recinto di makuti [2]. Non vi è nessuna serratura. Mi spoglio e mi scarico in testa 15 litri di acqua. Man mano la tanica si svuota e l’acqua scorre sul mio corpo e pulisce la sabbia. Mi sento bene, rinfrescato, coccolato anche dall’acqua gialla. Rimetto mutande e pantaloni. Arrivo in camera, mi asciugo e sprofondo in un sonno, stringendo forte nella mia mano la chiave spezzata.

La mattina sigillo nel mio cuore quanto avvenuto nella notte e non ne parlo con nessuno. Forse ora, prima di procedere alla conclusione dei report, è importante che il mio lettore conosca meglio la mia chiave spezzata. Il testo che qui ripropongo è preso dal libro N.3 della collana #VoltiDiSperanza e riguarda un prigioniero di nome Kelvin in un carcere sulle Ande del Perù.

Ecco dunque la storia della chiave spezzata che porto al collo e da oggi con ancora più gratitudine a Dio.

La chiave spezzata
Challapalca, 21 giugno 2016


Mentre noi chiacchieriamo, il direttore chiama un agente dell’ Instituto Nacional Penitenciario (INPE) e con lui parlotta sottovoce. Dopo alcuni minuti il secondino ritorna con in mano un lucchetto e una chiave spezzata. Lo guardo con curiosità. René pone il pesante lucchetto al centro del tavolo e vicino pone la chiave spezzata. Tutti lo guardiamo con curiosità e smettiamo di parlare tra di noi.

“Padre, questo lucchetto è di una cella di Challapalca. Puoi vedere che su un lato c’è il numero 313 e sull’altro c’è scritto INPE. Oggi è per te una grande festa e noi vogliamo farti un regalo. Questo lucchetto è differente dagli altri. Quando i miei agenti di sorveglianza mi hanno detto che doveva essere sostituito perché la chiave si era spezzata ho detto subito di sì, ma quando l’ho avuto nelle mani mi ha affascinato. La chiave è spezzata e dunque inutile e così a tutti appare, perché una chiave spezzata significa che non può più aprire il lucchetto! Non è vero?”. Tutti rispondiamo di sì. René, in modo quasi didattico, chiede a tutti il proprio parere e il parere è unanime, una chiave spezzata non serve a nulla: semplice e vero.

“Chiave spezzata significa sogno infranto, significa chiusura, significa mancanza di orizzonti e di prospettive – continua Renè –. Padre, qui a 5.050 metri, dopo il servizio, sei solo, non ci sono diversivi e così finisci per riflettere di più sulla vita. Challapalca è una chiave spezzata soprattutto per gente come Kelvin che deve scontare ergastolo, Challapalca è sinonimo di paura e di castigo in tutte le carceri del Perù, dove i prigionieri indisciplinati e violenti al solo pensiero di finire qui, smettono di usare violenza. Challapalca è esclusione di tutto e da tutti. I prigionieri qui vivono in totale isolamento, in condizioni pessime e hai assaggiato i fagioli che ti sei ostinato a mangiare. Challapalca è una chiave spezzata. Sì, padre, tutti pensiamo così, ma tu oggi invece, in queste schifose cucine, ci hai insegnato una cosa molto diversa”.

René si alza e, con gesto solenne e misurato, quasi da attore, prende in mano il catenaccio e lo alza, poi prende la chiave spezzata, la introduce nella serratura, lentamente la gira e il grosso lucchetto fa clic e si apre. Tutti guardiamo stupiti e Olinda si lascia sfuggire un sonoro Oooh di stupore! Una delle più belle caratteristiche di Olinda è la sua capacità di stupore, ma vi devo confessare che ciascuno di noi interiormente si stupisce di questo fatto.

Non contento, René da bravo maestro ripete il solenne gesto una seconda volta e una terza volta, quasi una liturgia. Poi, nel silenzio, ripone il lucchetto aperto sul tavolo con vicino la chiave spezzata. Mi guarda calmo negli occhi. “Don Gigi, oggi mi hai insegnato che Kelvin e tutti i 140 internati sono questa chiave spezzata. Ti confesso la mia confusione e poi commozione al tuo urlo, davanti alla tua bocca sporca dello scolo dei lavandini e del pianto di Kelvin! Challapalca in tutto il Peru è conosciuto come un inferno, oggi tu hai portato un giorno di paradiso. A Challapalca arrivano tutti uomini dalla vita con una chiave spezzata. Le loro vite sono per noi tutti una chiave spezzata, vite depravate, violente, assatanate, degne solo di castigo. Vite inutili, un peso per la società, uno scarto schifoso. Così pensa comunemente la gente e la gente qui in Perù ha paura di incontrare questi demoni, queste persone. Anche i parenti giungono qui rare volte e con difficoltà. Oggi tu hai aperto uno squarcio di luce. Kelvin è quella chiave rotta. La sua vita e la vita dei carcerati in questo inferno non è inutile o addirittura pericolosa, ma è una chiave rotta che può aprire ancora il lucchetto della propria vita e le lacrime e gli occhi di Kelvin oggi me lo hanno dimostrato. Grazie Padre Gigi. Anch’io compio oggi più volentieri il mio lavoro. Voglio farti un regalo in occasione del tuo trentesimo di sacerdozio: prendi questo lucchetto e soprattutto questa chiave e ricordati che molte volte la vita delle persone che incontri sembra una chiave spezzata, ma in verità anche una chiave spezzata apre una serratura. Torna nella lontana Europa, scendi da questa altezza che fa girare la testa e porta con te questo lucchetto e questa chiave spezzata. Ti guidi nel tuo ministero e non scoraggiarti mai perché la vita è una meravigliosa avventura in cui una chiave spezzata apre la porta di un carcere di massima sicurezza e di castigo come quello nel quale oggi hai festeggiato i tuoi trenta anni di messa!”.

Il gigante si alza e, con molta devozione, prima mi consegna il lucchetto e poi con commozione la chiave spezzata. Sono sorpreso, tutti sono sorpresi. Se oggi Papa Francesco mi avesse fatto una predica, di quelle belle come quelle che sa fare lui, e mi avesse fatto un qualsiasi regalo, sono sicuro che non avrebbe avuto parole così belle e un regalo così prezioso come il lucchetto numero 313 e una chiave spezzata, come quella regalatami da René il gigante buono direttore del carcere.

Mentre scrivo qui a Juliaca al collo sento il peso nuovo della chiave spezzata sulla quale ho fatto incidere le seguenti parole. Da un lato: Challapalca 21-6-2016 L.G. e dall’altra: 30° aniversario de missa. È così vicino al sangue di Santina che porto al collo, custodito in una croce reliquiario, ed è anche vicino al mio cuore per ricordarmi che tutte le persone che incontro possono sembrarmi chiavi spezzate ma, in verità, sono chiavi che possono ancora aprire la loro pesante vita alla grazia di Dio e alla sua misericordia, come è avvenuto a Challapalca… e Kelvin me lo insegna!

Sulle mie gambe tengo anche il pesante lucchetto numero 313 dell’infernale carcere di castigo voluto dal dittatore Fujimori. Su di esso ho fatto scrivere, da un lato: Penal de Maxima Seguridad, Challapalca Perù. Anno de la misericordia. 21 junio 2016 e dall’altro lato Trigesimo Aniversario Sacerdocio. Mons. Luigi Ginami.

Luigi Ginami
Kelvin #VoltiDiSperanza N. 3
(Velar Marna dicembre 2016, pp. 35-39 e pp.42-43)

Fondazione Santina – Challapalca la chiave spezzata – Il video.

Ora che avete letto la incredibile storia della mia chiave spezzata, possiamo forse azzardare alcune riflessioni più composte.

Spesso nella vita ci troviamo al buio, senza orientamento, al fetore, in un caldo insopportabile. Cerchiamo di uscire da tali situazioni in cui la vita ci butta all’improvviso, da un momento all’altro. Pensiamo a chi perde in modo ingiusto il lavoro, la malattia di una persona cara, oppure una malattia personale, una calunnia che in modo diabolico ti distrugge la vita, perdi tutto: buio, fetore, caldo soffocante è la situazione che ciascuno di noi può vivere nella vita.

Tale situazione è ben rappresentata plasticamente dall’essere prigionieri di una latrina. Una latrina come abbiamo detto può avere diversi nomi: calunnia, malattia, ingiustizia, ecc. Da questa situazione molto spesso noi tentiamo di uscire con “bastoncini di ghiacciolo marci”. Questi legnetti sono tutti i nostri progetti elaborati per fuggire dalla latrina. Ma tali progetti sono fragili, sono marci, anche se noi crediamo potenti. Chi ci libera dalla latrina non è una chiave appropriata alla serratura di cui siamo prigionieri, ma una chiave spezzata, una chiave inutile, scartata, e che viene da un posto squallido: il peggior carcere del Perù sulle montagne a 5.100 m.s.l.m.

Mi interrogo profondamente alla luce di questi viaggi: ma Gesù sulla croce cosa è? Gesù sulla croce non è altro che una Chiave Spezzata. L’orrenda morte in croce non è il trionfo umano di Sanremo o del tappeto rosso delle star di Hollywood. È un luogo fetido, la latrina del Calvario dove tre prigionieri più di duemila anni fa furono uccisi in modo orrendo. Penso al Calvario e mi commuovo e non penso proprio di essere blasfemo a paragonare il Calvario alla mia latrina. Sul Calvario, mentre Gesù e i due malfattori morivano tra enormi dolori con le mani ed i piedi traforati da chiodi, si fece buio su tutta la terra, la puzza della calunnia veniva gridata dai farisei e dai soldati e il caldo era forte a tal punto che Gesù bruciato dalla sete grida: ho sete!

Lui è la nostra Chiave Spezzata, lui l’uomo della latrina, non l’uomo profumato, ben vestito, ricco e conosciuto. Lui è l’uomo diffamato che muore nel buio, nel fetore ed in un’ardente sete. Ma ecco, la commozione di quella latrina chiamata Calvario. Vicino a Gesù vi era il buon ladrone. Anche lui, come Gesù avvolto nelle tenebre, dal fetore e dalla sete infuocata. Lui, il Buon Ladrone riconosce che non può uscire dalla latrina in cui si trova con i suoi bastoncini di ghiacciolo fradici. Con questi ci tenta l’altro malfattore, imprecando contro Dio e chiedendo a Lui di fare il miracolo e di farlo uscire di lì.

Il Buon Ladrone usa la Chiave Spezzata, che la Provvidenza ha regalato a lui nelle ultime ore della sua vita. La Chiave Spezzata è Gesù al quale il Buon Ladrone si rivolge: “Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno!” E questa meravigliosa frase apre la porta della latrina: “Io ti dico: oggi stesso sarai con me in Paradiso!” Il Buon Ladrone si trova in Paradiso, tra le stelle, all’aria pura ed avvolto in una brezza leggera, per seguire il paragone di quanto capitato a me, uscendo dalla latrina.

Qui mi commuovo e scoppio a piangere, perché se la Chiesa mi dice che in Paradiso vi è la Madonna, San Giuseppe, gli Apostoli, è la voce di Gesù che mi assicura che in Paradiso vi è una persona ed è il Buon Ladrone. Gesù non ha assicurato a nessuno in vita il Paradiso e la Chiesa proclama santi solo dopo la morte. Il Buon Ladrone è l’unico esempio di Santo canonizzato in Vita e non dal Papa, ma da Gesù stesso. Se è andato in Paradiso lui, spero che potrò andarci anche io, e anche tu, che hai avuto la forza di seguirmi fino qui.

Ti lascio un’ultima domanda: tu porti al collo una chiave spezzata? Forse no! Ma ti chiedo di metterti al collo un Crocifisso. Con questa Chiave Spezzata potrai uscire dalla latrina buia fetida e di calore soffocante che la vita a tutti regala.

[1] Musungu è una parola bantu, derivato dal kiswahili “mzungu”, dove zungu o zunguka è la parola per girare nello stesso punto che tradotto letteralmente, quindi significa “qualcuno che va in giro” o “vagabondo”, originariamente appartenente agli spiriti. Il termine fu usato per la prima volta in Africa per descrivere commercianti ed esploratori arabi, indiani ed europei nel XVIII secolo, apparentemente perché si muovevano senza meta. Il termine è ora usato per riferirsi a “qualcuno con la pelle bianca” o ” pelle bianca “, ma può essere usato per riferirsi a tutti gli stranieri più in generale. La parola mzungu in swahili può anche significare qualcuno che parla inglese. Il possessivo kizungu si traduce come “comportarsi da ricchi”. Tradizionalmente, gli europei erano visti come persone benestanti e ricche e quindi la terminologia è stata estesa per indicare person.e benestanti indipendentemente dalla razza.

[2] Makuti è un tetto o una parete di paglia ricavato dalle foglie essiccate al sole della palma da cocco Cocos nucifera. È ampiamente utilizzato in tutta l’Africa orientale.

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