San Benedetto da Norcia: accogliere la vita e l’ospite nel cammino insieme

Condividi su...

Nella festa liturgica di san Benedetto, che a 17 anni, insieme con la sua nutrice Cirilla, si ritirò nella valle dell’Aniene presso Eufide (l’attuale Affile), dove avrebbe compiuto il primo miracolo, riparando un vaglio rotto dalla stessa nutrice. La lasciò e si avviò verso la valle di Subiaco, presso gli antichi resti di una villa neroniana, nella quale le acque del fiume Aniene alimentavano tre laghi.

A Montecassino, intorno al 540, Benedetto compose la Regola, prendendo spunto da regole precedenti, in particolare quelle di san Giovanni Cassiano e san Basilio, ma anche san Pacomio, san Cesario, e l’Anonimo della Regula Magistri con il quale ebbe stretti rapporti proprio nel periodo della stesura della regola benedettina, egli combinò l’insistenza sulla buona disciplina con il rispetto per la personalità umana e le capacità individuali,

Ed a Norcia, dove nacque san Benedetto, mons. Renato Boccardo, arcivescovo dell’arcidiocesi di Spoleto-Norcia, ha celebrato il pontificale, declinando il messaggio del santo su tre aspetti fondamentali della società attuale (cercare la vita, accogliere l’ospite, camminare insieme):

“San Benedetto ci spinge a riscoprire quello che abita in profondità il nostro cuore, a non mettere da parte i desideri più autentici che a volte siamo portati a credere irrealizzabili e lontani, soprattutto in momenti difficili come questo, con la guerra che è ritornata a ferire l’Europa.

Guardandoci attorno, spesso constatiamo che quello che rende l’umanità così delusa e a volte così violenta è la consapevolezza di un mondo e di una vita insignificanti. C’è una ‘crisi di senso’. Una vita consegnata alla noia o al consumismo ha in sé i germi della gelosia, dell’invidia e della rivolta”.

Invece san Benedetto invita a trovare il significato della vita: “San Benedetto ci sprona a ritrovare il vero significato di ogni costruzione umana: esiste una ragione ultima per vivere e questa ragione si chiama Dio che è amore.

E proprio per fedeltà alla persona umana creata da Dio, al suo superiore destino, ai suoi diritti e ai suoi doveri, ci sentiamo di chiedere a coloro che hanno assunto la responsabilità della cosa pubblica di rendersi attenti e sensibili a quanto fa bella e buona la vita di tutti, iniziando col promuovere e difendere l’istituzione familiare costituita dall’unione stabile di un uomo e di una donna, aperti ad assumersi la responsabilità genitoriale e ad assicurare ai bambini l’indispensabile presenza di un papà e di una mamma”.

E la vita per san Benedetto è legata all’ospitalità, come è scritto nella Regola: “Sappiamo bene che non basta una visione cruenta per decidere di prendersi cura dell’altro: se prima non si è accesa umanità nel cuore, l’occhio non vede. Come gli occhi di chi guarda i morti per naufragio sui barconi e parla di quelle vite come fossero bestiame.

Non è possibile non pensare alla radicale insensibilità, all’assenza di umanità mostrati quando, di fronte alla morte in mare di oltre 90 migranti, di cui molti bambini, si ribadisce che la colpa è la loro: ‘Non dovevano partire’.

Quella che papa Francesco ha da tempo chiamato la ‘cultura dell’indifferenza’ sta producendo veri e propri mostri: persone che di fronte al dolore altrui non solo si voltano dall’altra parte, ma incolpano i sofferenti dei loro stessi mali, senza neppure tentare di comprendere l’immane tragedia che sta dietro e dentro le loro vite”.

Vita ed ospitalità per mons. Boccardo sono un invito a camminare insieme: “Infine l’ultimo aspetto che potremmo imparare dal patrono d’Europa per i nostri giorni è il senso di comunità. C’è nella Regola una espressione che è importante recuperare: ‘tutti insieme’.

Occorre camminare insieme senza lasciare indietro nessuno; occorre individuare il ‘passo giusto’ perché nessuno vada troppo avanti e qualcuno rimanga indietro. La comunità delineata da Benedetto non è una gara nella quale si vince se qualcuno arriva per primo, ma dove la vittoria c’è se si arriva ‘tutti insieme’ alla meta.

Anche questo oggi dobbiamo imparare nella nostra società europea: non si vince se c’è qualcuno che arriva prima, ma solamente se si cammina tutti insieme e insieme si raggiunge la meta, che è una convivenza civile veramente degna dell’uomo”.

Mentre nell’Abbazia primaziale di Sant’Anselmo all’Aventino di Roma mons. Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, nella celebrazione eucaristica ha ricordato l’attualità della Regola benedettina: “Ebbene, carissimi, questo partire nell’attesa della promessa compiuta e questo vivere quotidiano nell’ascesi, dolce e drammatica, dell’essere in comunità, non è forse la base dell’orizzonte monastico che la ‘Regula Benedicti’ sintetizza e usa fin nei dettagli?

Fu questo monachesimo, questa comunità dell’utopia fondata sulla santità possibile, non sproporzionata o crudele o stravagante o vagabonda, che ci transitò indenni alla caduta di Roma nel balzo verso un futuro altrimenti forse di annichilamento o di baratro, ma che di fatto, proprio per la sua sapiente pedagogia, ci fece giungere fino all’oggi laddove tutto sembrava anticipare l’apocalisse”.

E diede vita ad una ‘nuova’ società: “Lo fece fondando comunità interamente centrate su Cristo è proprio per questo modelli di vita sociale, di una società ricreata all’estinguersi della ‘civitas romana’, dove il lavoro trasformò la natura minacciosa, come la preghiera diede profumo alla vita e rese possibili le virtù che Paolo descrisse, pur sapendo che solo l’amore ricevuto col perdono avrebbe dato la forza di creare una cintura (syndrsmos) coerente, di non farne covi di violenza e di sopruso, come spesso avviene con le umane convivenze”.

E’ questo l’invito di san Benedetto che rivolge ai monaci contemporanei: “Oggi però la Chiesa si rivolge a voi e vi supplica: tornate a dare forma credibile e fascino irresistibile alla semplicità della vostra regola, non parlandone, ma vivendola.

A voi, sotto la guida dello Spirito, che invocherete e che continuerà a suscitare i vostri canti, il mandato di ascoltare e conoscere i trasalimenti del cuore umano come oggi si esprime e di farlo incontrare con il volto eterno di Dio: l’amore smisurato”.

Mentre nell’abbazia di Montecassino il card. Leonardo Sandri, vice-decano del Collegio Cardinalizio, ha sottolineato che san Benedetto ha evidenziato i ‘rischi’ della vita religiosa: “Più in generale, almeno da come si può desumere dalla Regola, Benedetto è consapevole di come in tante dinamiche anche della vita religiosa sia nascosta l’insidia di cercare più se stessi che Dio: per questo egli facendo tesoro del monito paolino ad indossare l’armatura di Dio, indica ben dodici gradini della scala dell’umiltà…

Partendo dalle dimensioni più concrete, giunge a riflettere sull’obbedienza e sul non appartenersi più: la meta però non una ascesi senza Cristo, bensì una piena conformazione a Lui, che non può essere data soltanto per uno sforzo personale di volontà, ma da un dono di grazia a chi confida in Lui”.

San Benedetto ha percorso un itinerario ‘terreno’ che lo ha condotto a Dio: “La sua testimonianza ridesta noi tutti a sentirci pellegrini su questa terra: non nomadi che vagano senza sapere da dove provengono e dove vanno, ma cercatori di assoluto, che sanno di provenire dal grembo dell’amore di Dio e in cammino verso l’abbraccio del Padre celeste…

I benedettini di Montecassino furono amici ed interlocutori del monaco san Nilo da Rossano Calabro, che poi fondò il monastero di Grottaferrata alle porte di Roma, di cui si avvicina il millenario: la comune testimonianza del monachesimo orientale ed occidentale sia rafforzata nei nostri giorni, perché seppur con lingue e tradizioni differenti, comune salga la lode di Dio e il grido ‘dona la pace Signore, la tua pace’. Così sia”.

(Foto: Arcidiocesi Spoleto-Norcia)

Free Webcam Girls
151.11.48.50