Come finirà la stagione dei grandi processi penali vaticani?

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 20.03.2023 – Andrea Gagliarducci] –  La notizia dell’assoluzione “perché il fatto non sussiste” di Mons. Nunzio Scarano, ex funzionario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA) [QUI], è giunta alla vigilia della deposizione in aula del Tribunale vaticano dell’Arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto della Segreteria di Stato, nel processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Il Numero 3 della Santa Sede ha detto ai giudici, al Promotori di Giustizia e agli avvocati che sì, aveva deciso di prendere il controllo della proprietà londinese, ma che si è praticamente ritrovato a pagare, e che comunque Papa Francesco era stato informato di tutto.

Sebbene il caso Scarano e la questione dell’investimento della Segreteria di Stato nel palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra siano diversi, i due casi sono collegati.

Scarano è stato coinvolto in due procedimenti giudiziari [QUI]: usura ed esercizio abusivo del credito presso il Tribunale di Salerno, e corruzione e calunnia presso il Tribunale di Roma. Di conseguenza, Scarano è stato rimosso dall’APSA. Tuttavia, il caso portò anche alle dimissioni di Paolo Cipriani e Massimo Tulli, Direttore e Vicedirettore dell’Istituto delle Opere di Religione (la cosiddetta banca vaticana), che volevano permettere all’Istituto di difendersi meglio.

Quel caso rappresentò l’inizio della grande stagione dei processi in Vaticano. Le dimissioni di Cipriani e Tulli risalgono al luglio 2013. I due ex dirigenti dello IOR sono stati poi coinvolti in un procedimento in Italia, in cui sono finiti assolti [QUI], e in un procedimento vaticano, che ha portato a una condanna per cattivA gestione [QUI], poi confermata – con però alcuni aggiustamenti – nel ricorso di secondo grado, e ora in attesa del ricorso di terzo grado.

Una condanna da grattacapi, considerato che i due non potevano prendere decisioni su investimenti e operazioni bancarie senza il benestare della Presidenza del Consiglio di Sovrintendenza dello IOR. Ma fu un verdetto eseguito con ferocia.

Nel frattempo, lo IOR è passato da un utile di 86,6 milioni di euro a uno che oscillava tra i 17 e i 30 milioni, una perdita altissima per una piccola istituzione finanziaria e il vago sospetto che la cattiva gestione sia arrivata dopo, quando era iniziata la stagione dei grandi processi.

Dopo il caso Scarano, il Papa ha istituito le commissioni per le finanze vaticane e lo IOR – COSEA [1] e CRIOR [2] – per studiare, valutare, ed eventualmente riformare e abolire. L’ordine di marcia era di tagliare con il passato. Da qui sono venuti anche diversi errori di valutazione nella definizione delle riforme della Santa Sede, compreso il grande dibattito sull’autonomia gestionale della Segreteria di Stato. Del resto la Santa Sede è uno Stato, non un’azienda.

Dal peccato originale del caso Scarano si arriva al processo attualmente in corso in Vaticano, originato da una relazione dello IOR al Revisore Generale della Santa Sede. Il fatto è considerato, nella narrazione, un segno del funzionamento delle riforme di Papa Francesco: c’è un segnale interno, il che significa che ci sono strumenti per affrontare le criticità e ripulire la corruzione.

In realtà, il caso nasce da un cortocircuito: c’è un ente statale, lo IOR, che non solo si rifiuta di fare ciò che l’organo di governo, la Segreteria di Stato, chiede di fare, ma addirittura denuncia all’autorità interna l’operato della Segreteria di Stato, fino a spettacolari perquisizioni che toccano anche luoghi sacri come la Segreteria di Stato (dove la Gendarmeria vaticana non poteva entrare perché sotto la giurisdizione della Guardia Svizzera, come tutto il Palazzo Apostolico).

La testimonianza dell’Arcivescovo Peña Parra lo scorso 16 marzo [QUI e QUI] sembra poi chiudere un cerchio. Il Sostituto della Segreteria di Stato aveva già consegnato un corposo memorandum, completo di documentazione allegata di quasi duecento pagine, in cui spiegava dettagliatamente la situazione che si era trovato ad affrontare.

E, alla fine, questo emerge: il Papa non solo era a conoscenza della situazione del palazzo ma ne era stato personalmente informato attraverso vari canali, conoscendo e approvando come si era deciso di risolvere la questione; il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, non solo era stato informato, ma aveva anche dato garanzie su alcune situazioni, che invece avrebbero richiesto ulteriori approfondimenti; i ranghi dell’Autorità di Informazione Finanziaria, coinvolta da Peña Parra, si sono comportati lealmente, così come il funzionario della Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi; Mons. Alberto Perlasca, che avrebbe voluto querelare il mediatore a cui era stata affidata la gestione dell’immobile londinese, aveva invece agito alle spalle della Segreteria di Stato, prendendo decisioni che non poteva prendere.

Dopo tale testimonianza viene da chiedersi, perché Perlasca sia tra i testimoni, e tra gli imputati ci siano i vertici dell’AIF e Tirabassi. Ma, soprattutto, ci si chiede perché ci sia un processo se il Papa è stato informato di tutto e ha approvato tutto. Esiste un rischio sostanziale, che questo processo si concluda con l’assoluzione della maggior parte, se non di tutti, gli imputati e possibilmente condanne per reati minori solo per altri imputati.

Da Scarano al processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, viene da chiedersi a cosa sia servita la stagione dei processi vaticani. Era necessario per superare la corruzione in Vaticano, o era il risultato di un spoils system [cambiamento dei vertici con l’entrata in carica di un nuovo governo], un nuovo sistema che voleva sostituire quello vecchio?

Si può dire che un processo è sempre un esercizio di verità. Tuttavia, è anche vero che quando un processo sembra doversi svolgere ad ogni costo e alla luce del pregiudizio che il Vaticano è corrotto diffuso dai media, il processo diventa più uno strumento di potere che un esercizio di verità.

Dalla gestione delle finanze ad argomenti meno prosaici, la questione dell’azione di condanna del supremo legislatore diventa così uno dei temi attraverso i quali verrà giudicato il pontificato.

La stagione dei grandi processi penali sembra aver dato pochi risultati concreti. Che dire della gestione di casi come quello del Cardinale McCarrick, laicizzato e oggetto di una denuncia che sembrava più un’autogiustificazione che un’assunzione di responsabilità? McCarrick era tornato sotto i riflettori con il Pontificato di Papa Francesco. La riduzione allo stato laicale dà l’impressione che, in fondo, si volesse punirlo senza punirlo realmente.

E poi ci sono altri casi controversi: dal caso Rupnik, l’artista gesuita sloveno che ha continuato a predicare e tenere eventi pubblici anche quando era già incorso in una scomunica latae sententiae, e che forse farà la fine di McCarrick, senza andare al fondo di esso ma invece rimanendo sulle accuse; la gestione degli abusi in Cile, dove tutti i vescovi hanno finito per dimettersi; fino alla gestione di casi come quelli di Zanchetta e Wesolowski.

Tutto ha avuto il suo processo, ma non tutti i processi hanno portato a risultati equi. È umano ed è comprensibile, ovviamente. La domanda, tuttavia, è se questi casi mediatici non siano stati più un danno che un vantaggio. E se il Papa, in fondo, non ha aperto questa stagione più per dare spettacolo di un taglio netto con il passato, che per affrontare le situazioni che si sono presentate.

Ci sono così tanti casi diversi e così tante sfumature, e c’è una sorta di filo conduttore. Ciò che non è chiaro è se questa stagione di processi abbia fatto del bene alla Chiesa e abbia contribuito a portare alla luce la verità. E se lo ha fatto, se è stato a un prezzo inutilmente alto.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato oggi in inglese dall’autore sul suo blog Monday Vatican [QUI].

[1] La Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa (acronimo: COSEA) venne istituita a Papa Francesco con chirografo del 18 luglio 2013, al fine di raccogliere informazioni, in cooperazione con il Consiglio dei cardinali [3], per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, con lo scopo di preparare le riforme delle istituzioni curiali, finalizzate “ad una semplificazione e razionalizzazione degli Organismi esistenti e ad una più attenta programmazione delle attività economiche di tutte le amministrazioni vaticane”. La COSEA venne sciolta da Papa Francesco il 22 maggio 2014.

[2] La Pontificia Commissione Referente sull’Istituto per le opere di religione (acronimo: CRIOR) venne stabilita da Papa Francesco il 24 giugno 2013, con il compito di approfondire la posizione giuridica e le attività dell’Istituto e di permettere una sua migliore “armonizzazione” con “la missione universale della Sede Apostolica. Il 17 febbraio 2014 la CRIOR presenta al Consiglio dei cardinali i risultati del suo lavoro, portando così a termine la sua funzione.

[3] Il Consiglio dei cardinali è un gruppo di lavoro istituito da Papa Francesco il 28 settembre 2013 mediante un atto chirografo, con la finalità di coadiuvare e consigliare lo stesso pontefice romano nel governo della Chiesa Cattolica e nello studio di una revisione della Costituzione apostolica Pastor bonus, in merito all’assetto della Curia romana.

Foto di copertina: il Comando del Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano e il Tribunale vaticano in Piazza Santa Marta.

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