51ª Udienza del Processo 60SA in Vaticano. L’ex Sostituto Becciu: “Mai manipolato nessuno, tantomeno il Papa”. Il Sostituto Peña Parra conferma l’assurdità delle accuse

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 18.03.2023 – Ivo Pincara] – Ieri 17 marzo 2023, è stato il giorno di due Sostituti per gli Affari Generali della Segreteria di Stato: il Cardinale Angelo Becciu, Sostituto dal 10 maggio 2011 al 29 giugno 2018, e l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto in carica dal 15 ottobre 2018. All’inizio dell’Udienza, il Cardinal Becciu ha rilasciato due dichiarazioni spontanei, una breve e una più corposa. Poi, è stata completata l’interrogazione del suo successore in Segreteria di Stato.

Quanto ha aggiunto l’Arcivescovo Edgar Peña Parra alla prima parte della sua deposizione, vale come dimostrazione dell’assurdità del comportamento di chi ha denunciato presunta corruzione in Segreteria di Stato – finora non provate – e chi ha indagato in questa direzione ipotetica – nella realtà non trovando nulla – creando grande discredito alla Santa Sede e alla Chiesa, con scandalo tra i fedeli e non. In particolare, conferma che fu il Papa ad ordinare di pagare per il riscatto della suora colombiana.

Le prossime udienze si terranno il 29, 30 e 31 marzo.

Nella sua dichiarazione spontanea breve, il Cardinal Becciu ha fatto riferimento alle parole di Mons. Peña Parra nella 50ª Udienza del giorno precedente [QUI], chiarendo che il mancato «passaggio di consegne» per evidenziare eventuali criticità, rilevato dall’attuale Sostituto, era dato dal fatto che in Segreteria di Stato «non esiste questa prassi».

Nella sua dichiarazione spontanea più corposo, il Cardinal Becciu si difende ed attacca, facendo emergere una ulteriore macchinazione ai suoi danni. Il riferimento è al deposito effettuata «in maniera parziale» dal Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, durante la 49ª Udienza del 9 marzo [QUI], di un carteggio privato intercorso tra Papa Francesco e lo stesso Cardinal Becciu, cioè, mancava una prima lettera al Papa, che faceva seguito ad una telefonata del giorno prima. Da questa lettera datata 20 luglio 2021, non depositata agli atti dal Promotore di Giustizia, presentato dal Cardinal Becciu e ora agli atti, emerge che è stato il Papa a proporgli di stendere delle dichiarazioni da sottoporgli in vista del processo, per eventualmente firmarle – cosa che poi non è accaduta – e non invece il contrario.

Nella lettera si legge: «Come mi ha chiesto le invio le due dichiarazioni da firmare quanto prima perché dovrò depositarle in Tribunale. La supplico di voler ben accogliere la presente richiesta che oltre ad onorare la verità dei fatti andrebbe a beneficio della Santa Sede». Il Cardinal Becciu ha sottolineato «con fermezza e a testa alta»: «Io non sono un manipolatore. Io, nella mia vita, non ho mai manipolato nessuno, e tanto meno il Santo Padre».

Dichiarazione spontanea resa in aula da Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu, 17 marzo 2023

«Signor Presidente,
alla luce dell’ultimo deposito documentale del Promotore, illustrato in aula con particolare enfasi, mi vedo costretto a contestualizzare una vicenda, quella dell’interlocuzione di un Cardinale con il Santo Padre.
Vicenda che nei miei più fermi intenti era destinata a rimanere strettamente privata, anche perché in essa sono contenuti dei dettagli relativi all’operazione umanitaria che ritenevo dovessero restare riservati a tutela della Santa Sede e delle relazioni internazionali.
Signor Presidente,
per prima cosa, con fermezza e a testa alta, affermo: io non sono un manipolatore. Io, nella mia vita, non ho mai manipolato nessuno e tanto meno il Santo Padre.
Ed ora per evitare che una ricostruzione incompleta e priva della necessaria contestualizzazione possa dar forma a strumentalizzazioni, vengo subito al carteggio in questione.
Si era nei giorni, per me sconvolgenti, appena successivi alla formalizzazione delle accuse nei miei confronti, accuse che oggi come ieri respingo con forza, perché infondate, consapevole della mia assoluta innocenza.
Ero, ancor più intensamente di oggi, prostrato da questa dolorosa prova e dal contatto con un mondo — quello giudiziario — a me del tutto ignoto nei suoi freddi tecnicismi.
Fermo, in me, l’assoluto proposito di non coinvolgere il Papa nella vicenda processuale, vi era, tuttavia, la necessità di provare due fatti effettivamente accaduti, che vedevo ricostruiti in modo completamente errato nell’atto di citazione a giudizio.
Per questi fatti, segreti o comunque riservati, nessun altro — oltre il Papa — ne era dettagliatamente a conoscenza.
Eccoli:
1) Primo fatto: l’autorizzazione all’operazione umanitaria, connaturata da esigenze di segretezza tali da aver fatto apporre, all’origine, il segreto pontificio (dal quale il Santo Padre mi ha dispensato soltanto il 22 marzo 2022);
2) Secondo fatto: l’autorizzazione a sottoporre la proposta di acquisto del Palazzo di Sloane Avenue, avanzatami dall’On. Innocenzi Botti, al vaglio di P. Guerrero, allora Prefetto della SpE, e del Cardinal Parolin, Segretario di Stato.
Erano i giorni in cui il Santo Padre era stato dimesso dall’Ospedale e Gli avevo chiesto udienza per confrontarmi in ordine all’esposizione delle due vicende che Lo coinvolgevano direttamente.
Non potendomi ricevere, Egli stesso, nella giornata del 19 luglio 2021, mi chiamò al telefono.
Gli rappresentai la mia necessità di provare il vero. Non di avere giustificazioni di comodo, ma solo la Verità.
Egli mi chiese di mettere per iscritto quanto ritenevo dovesse essere dichiarato per ricostruire la Verità.  Si badi bene, non fui io a proporlo, ma fu Lui a richiedere di formalizzare tali informazioni per iscritto. Tanto feci, il giorno seguente, con la lettera del 20 luglio 2021.
Basta leggere tale prima lettera, che il Papa mi riscontra, per avere piena conferma di ciò. Lettera, signor Presidente, che il Promotore non ha depositato! E che pertanto sono costretto a depositare io, a beneficio della Verità.
In essa si legge: «Come mi ha chiesto (e sottolineo, come mi ha chiesto), Le invio le due dichiarazioni da firmare quanto prima perché dovrò depositarle in tribunale».
Devo confessare, Signor Presidente, che trovo incomprensibile, per non dire ingiustificato il comportamento processuale del Promotore, il quale, nello scegliere di divulgare corrispondenza privata fra me e il Santo Padre, ha ritenuto di farlo in maniera parziale, omettendo di disvelare al Tribunale la mia prima missiva, quella del 20 luglio 2021, di cui ho appena parlato e dalla quale si evince chiaramente che io, con lo scrivere al Santo Padre, mi accingevo ad esaudire una Sua richiesta. Mi sembra logico che se si decide di coinvolgere direttamente il Santo Padre, allora credo sia doveroso ricostruire i fatti in maniera completa.
Ed ecco perché, quindi, deposito la prima lettera.
Noterà, Signor Presidente, come tale missiva contenga un omissis.
Voglio chiarirne le ragioni: si tratta di indicazioni sensibili, concernenti l’operazione umanitaria, non strettamente necessarie ai fini processuali. Pertanto, ritengo opportuno, per sensibilità istituzionale e a tutela della Santa Sede, non diffonderle.
È anche in ragione di quei contenuti omissati che avevo ritenuto di non rendere pubblica tale corrispondenza.
Ne ho comunque una copia priva degli omissis, qualora il tribunale ritenesse di doverla quantomeno visionare o acquisire.
Fu grande il mio stupore nel ricevere la risposta del 21 luglio 2021, esattamente il giorno seguente. In essa, notai uno stile e una terminologia non consuete per il Santo Padre, i cui toni ben conosco per i 5 anni di diuturna collaborazione come Sostituto. Inoltre, pur venendo riaffermati i punti centrali della ricostruzione (cioè, l’Udienza nella quale illustrai al Papa la proposta dell’On. Innocenzi Botti, da una parte; e l’esistenza della nota operazione umanitaria, dall’altra), si forniva una descrizione degli eventi, e soprattutto delle forme, in totale contrasto con il colloquio del 19 luglio, nel quale Egli stesso mi invitò a far pervenire tali dichiarazioni aventi proprio quel contenuto.
Così quando lessi nella risposta del 21: “riscontro la Sua lettera del 20 luglio u.s. che mi ha sorpreso”, rimasi disorientato. Mi aveva espressamente invitato a scriverGli e poi leggo che l’avevo sorpreso.
Non riuscivo davvero a comprendere cosa stesse accadendo.
Nel leggere poi anche il secondo scritto, quello del 26 luglio 2021, rimasi ancor più disorientato, perché non riconoscevo il Santo Padre in quelle poche righe. Il contenuto era ben lontano da quanto ricordato insieme a voce.
Non posso fare a meno di notare, da ultimo, come in esso venga affermata la «insuscettibil[ità]» dell’apposizione del segreto pontificio sull’operazione umanitaria, quando invece, come già evidenziato, nella comunicazione sollecitata da questo Tribunale, il Santo Padre mi ha dispensato dal segreto pontificio, da quel segreto che fino al 22 marzo 2022 era evidentemente sussistente e vincolante.
Questi, e non altri, Signor Presidente, i reali accadimenti che determinarono il carteggio in parola, da me mai prodotto nel processo, nonostante le insistenze del Promotore, per la scrupolosa tutela del Santo Padre e della Sede Apostolica, che ho sempre cercato e cerco di proteggere con ogni mia residua energia.
Spero che questi chiarimenti possano aiutare il Tribunale nella più equa ricostruzione della verità.
La ringrazio, Signor Presidente!»

Il secondo interrogatorio dell’Arcivescovo Edgar Peña Parra

«Ero molto sorpreso dall’atteggiamento dello IOR, che ci ha fatto aspettare tutti quei mesi facendoci spendere un milione di euro al mese per poi negarci il prestito per il mutuo sul Palazzo di Londra. Perciò chiesi alla Gendarmeria di fare un rapporto sullo IOR: aveva un atteggiamento anomalo. L’ho fatto e lo rifarei. Temevo che Torzi rientrasse dalla finestra dopo essere uscito dalla porta”, ha dichiarato l’Arcivescovo Edgar Peña Parra.

Nel dettaglio, Mons. Peña Parra ha spiegato che dopo il “no” dello IOR al re-finanziamento – giunto dopo diversi mesi di rassicurazioni («I soldi sono nel cassetto»), si era mosso per cercare altre banche. Due istituti di credito di alto livello diedero la loro disponibilità: il primo immediata, il secondo dopo qualche mese. La mens era però di voler favorire una «soluzione interna» alla Santa Sede; si decise perciò di rivolgersi all’APSA, che aprì una linea di credito. «Così siamo passati da pagare un milione al mese, a 800 mila euro l’anno», ha affermato Mons. Peña Parra. Tutto si è concluso nel settembre del 2020 e l’APSA stessa ha poi estinto il precedente mutuo sul palazzo 60SA, una volta entratane in possesso a seguito del Motu proprio di Papa Francesco, con cui il patrimonio della Segreteria di Stato fu trasferito all’APSA. A causa tuttavia dei vari rimandi, da maggio 2019 a settembre 2020 la Santa Sede ha perso altri 24 milioni: 18 mensilità, più le varie spese di gestione pari a circa 4 milioni. Fino alla vendita del palazzo, avvenuta nel luglio 2022, era stato dunque acceso un nuovo mutuo, ma molto meno esoso.

Sempre in merito alla questione del negato finanziamento dello IOR, è stato chiesto a Mons. Peña Parra se fosse vero che si era rivolto a Gianni Ferruccio Oriente, legato, sembra, ai Servizi Segreti italiani, per «mettere sotto controllo» il Direttore dello IOR, Gian Franco Mammì. La circostanza risultava da una chat sul cellulare del suo ex Segretario, Mons. Mauro Carlino. Mons. Peña Parra ha spiegato che, essendo stato «molto sorpreso dell’atteggiamento dello IOR», la sua preoccupazione più grande era, che ci potessero essere dei “contatti” tra lo IOR e il broker Gianluigi Torzi, che manteneva il controllo totale del palazzo 60SA attraverso le mille azioni con diritto di voto. «Ero stato informato che Torzi aveva detto in riunione a Londra che usciva da porta ma rientrava dalla finestra. Ho avuto il dubbio che questo atteggiamento anomalo fosse dovuto a qualche unione con il gruppo contrario a noi. Per questo ho chiesto al Signor Oriente e al Comandante della Gendarmeria [allora Dott. Domenico Giani] di fare un rapporto. Non sono interessato alla vita del direttore, ma era dovere mio come Sostituto vedere se lo IOR fosse stato in qualche modo dentro a questa faccenda. L’ho fatto e, se fosse il caso, lo rifarei. Mi sembrava un dovere». Dal report che aveva ricevuto dai servizi segreti italiani emergeva che in passato vi fossero stati stretti legami tra Mincione e Torzi; «Per la vicenda di Carige e di altre banche, si diceva che avessero fatto cose assieme». In questo intreccio di fili, emergeva anche che Torzi aveva avuto rapporti finanziari con Capaldo e che l’Avv. Intendente era socio di Torzi. «Ma io non lo sapevo», ha detto Mons. Peña Parra.

In risposta ad una domanda dell’Avv. Paola Severino, legale della Segreteria di Stato, costituitasi parte civile, Mons. Peña Parra ha anche chiarito di non aver mai chiesto allo IOR il rifinanziamento del mutuo perché “ricattato” da qualcuno: “Il contrario lo dice la storia. Il mutuo è stato pagato alla società a cui si doveva pagare. Non sono mai stato ricattato da nessuno”.

Quel periodo viene descritto da Mons. Peña Parra in modo drammatico. Quando il 15 ottobre 2018 iniziò come Sostituto – in successione al Cardinal Becciu dopo un vuoto di tre mesi e mezzo – si trovò a gestire una situazione ingarbugliata. Si era appena consumato il cambio di proprietà del palazzo 60SA e la Segreteria di Stato nel 2019 si trovò in possesso di una scatola vuota, con azioni che non avevano diritto di voto, a seguito del contratto che il finanziere Torzi era riuscito a far firmare a Mons. Perlasca a nome della Segreteria di Stato, senza averne informato i superiori e senza averne l’autorizzazione.

In merito di una serie di versamenti pari a 575mila euro da parte della Segreteria di Stato sul conto della Logsinc, società intestata a Cecilia Marogna, rispondendo al Presidente del Tribunale Vaticano, Giuseppe Pignatone, Mons. Peña Parra ha spiegato di averne avuto una prima informazione da Mons. Perlasca: «Era venuto con un ordine di trasferimento bancario. Non c’era nome, solo quello di una ditta. Mi disse che era una cosa che Becciu stava portando avanti da tempo», al che Mons. Peña Parra ha replicato: «Non posso firmare questo foglio se prima non ne parlo al Papa». Ha spiegato: «Sono andato dal Papa e lui mi ha confermato di autorizzare i versamenti. Quindi dissi a Perlasca di aver bisogno di parlare con Becciu, il quale mi ha spiegato che si era adoperato per la liberazione della suora colombiana rapita in Mali». Mons. Peña Parra ha aggiunto che durante il colloquio, il Cardinal Becciu non gli parlò mai della Marogna. «Il suo nome lo ho letto dai giornali». La reticenza a fornire particolari sull’operazione in corso per la liberazione della suora in Mali era vincolata dal segreto pontificio. «Un obbligo dal quale Papa Francesco mi ha dispensato solo il 22 marzo 2022», come ha precisato il Cardinal Becciu nella sua dichiarazione spontanea.

Indice – Caso 60SA [QUI]

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