50ª Udienza del Processo 60SA in Vaticano. Il Sostituto della Segreteria di Stato Peña Parra: «È stata una Via Crucis doppia»

Condividi su...

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 17.03.2023 – Ivo Pincara] – Ieri 16 marzo 2023, nella 50ª Udienza nel processo al Tribunale vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, si è svolta la prima parte dell’escussione del Sostituto per gli Affari Generali, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, in qualità di testimone (oggi segue la seconda parte).

Questa è la prima volta che un Sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato (l’equivalente di un Ministro degli Interni, ma non solo), il collaboratore più stretto del Papa, viene chiamato a deporre in Tribunale, ha sottolineato Franca Giansoldati su Il Messaggero. Mons. Peña Parra è stato chiamato per chiarire come si è sviluppata la ingarbugliata e opaca compravendita del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra, da un partner finanziario all’altro, costato alle casse della Santa Sede un’autentica emorragia. «Il quadro che descrive non è dei più esaltanti: monsignori che firmavano atti che non avrebbero potuto firmare, alti funzionari vaticani che remavano contro in un clima di sospetti reciproci».

L’interrogazione del Sostituto per gli Affari Generali, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra (Foto di Vatican Media).

Nell’interrogatorio, Mons. Peña Parra non si è mai sottratto e non ha mai mancato di rispondere, con dovizia di particolari, rivendicando il lavoro svolto dalla fine del 2018 (con l’inizio dell’emergersi delle perplessità legate all’andamento dell’investimento londinese) all’inizio del 2019 (con la trattativa con il broker Gianluigi Torzi). Ovvero il periodo in cui la compravendita del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra iniziava a sfuggire di mano, per delinearsi in quello che nel suo memoriale del 2 giugno 2020, definisce “una truffa” a danno della Santa Sede. Mons. Peña Parra ha affermato, che sui fatti del palazzo di Londra ha mantenuto “contatti costanti” sia con il Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin, che con Papa Francesco, informandolo a più riprese.

Mons. Peña Parra ha ribadito più volta che cercò di evitare, oltre allo scandalo, anche la perdita di ingenti somme da parte della Santa Sede. Non solo il mutuo (“Mi faceva molto male questo pagamento”), ma anche i 4 milioni e mezzo di sterline che la Santa Sede doveva pagare a Torzi per la gestione di un palazzo che rendeva 3 milioni.

Mons. Peña Parra ha fatto emergere la buona fede della Segreteria di Stato, ombre sul broker Gianluigi Torzi (imputato) e Mons. Alberto Perlasca (non imputato, da indagato all’inizio assunto dall’accusa come il teste chiave del processo e il principale accusatore) e giudizio positivo su Mons. Mauro Carlino (imputato) che “fece il suo dovere con competenza e lealtà”, per i vertici dell’AIF (René Brülhart e Tommaso Di Ruzza, imputati) e per Fabrizio Tirabassi (imputato) per quanto riguarda la fase delle trattiva con Torzi per uscire dall’affare.

Due le questioni principali affrontate durante l’udienza.

1. Le mille azioni con diritto di voto attraverso le quali Torzi, proprietario del fondo Gutt che gestiva il palazzo di Londra, ne manteneva di fatto l’intera proprietà, tanto da minacciare talvolta – secondo quanto affermato dal teste – di vendere a terzi l’immobile, oppure usare le entrate per finanziare società di sua proprietà.

2. Il finanziamento di 150 milioni di euro richiesto da Mons. Peña Parra allo IOR (Istituto per le Opere di Religione) per rinegoziare l’oneroso mutuo di Cheyne Capital, che gravava sul palazzo di Londra e che faceva “perdere alla Santa Sede un milione al mese”. Mons. Peña Parra ha spiegato che alla Segreteria di Stato era sempre stata assicurata la disponibilità della somma richiesta, una disponibilità che però non si è mai concretizzata, tanto che la somma fu poi erogata dall’APSA (Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede), mentre lo IOR fece partire la denuncia al Promotore di Giustizia, da cui è partita l’indagine che ha portato al processo in corso.

Riassumiamo i fatti raccontati nell’Udienza di ieri.

1. L’Arcivescovo Edgar Peña Parra ha confermato i contenuti del suo memoriale del 2 giugno 2020, depositato agli atti. Inoltre, ha aggiunto ulteriori particolari, rispondendo alle domande dei difensori degli imputati, del Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi e del Presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone. «È stata una Via Crucis – ha sintetizzato -, anzi, una Via Crucis doppia, perché il Signore è caduto tre volte, noi siamo caduti sei volte».
Ha ricordato: «Mi insediai nel mio incarico il 15 ottobre 2018, ma venni a conoscenza del problema delle mille azioni con diritto di voto, che consentivano a Torzi di controllare il palazzo di Londra il 22 novembre 2018, quando me ne parlò Mons. Perlasca, che era il capo dell’ufficio amministrativo. Due giorni dopo ho saputo che lo stesso Perlasca aveva firmato i contratti».

2. Quando l’Arcivescovo Edgar Peña Parra arrivò in Segreteria di Stato, Mons. Alberto Perlasca, Responsabile dell’Ufficio Amministrativo, lo informò solo in seguito della “situazione difficile” del palazzo di Londra. Mons. Perlasca firmò il Framework Agreement e lo Share Purchase Agreement con la società di Torzi senza avere potere di firma e senza alcuna autorizzazione dei superiori. Questi contratti davano a Gianluigi Torzi il controllo esclusivo del palazzo di Londra.
Preoccupato, nel novembre 2018, ha detto Mons. Peña Parra, «pur non essendo un esperto di finanza, volli vederci chiaro studiando i contratti e formulando una serie di domande con il buon senso e i criteri di un buon padre di famiglia. Chiesi perciò all’ufficio amministrativo di ottenere dei pareri qualificati. Tramite Perlasca, mi giunsero le rassicurazioni dell’Avvocato Nicola Squillace, che credevo fosse il nostro avvocato, e invece era un collaboratore di Torzi».
Di qui la consapevolezza dell’inganno al quale si tentò di reagire. «Perlasca – ha riferito Mons. Peña Parra – suggeriva di avviare una causa, non specificò se civile o penale, ma un processo a Londra era rischioso. Si cercò quindi di uscirne nel miglior modo possibile». Si optò per “trattare”, anche perché l’eventuale causa civile avrebbe avuto tempi lunghi e nessuna certezza dell’esito. Trattare significava liquidare il broker per estrometterlo dalla gestione dell’immobile così da riacquisirlo al 100%. Mons. Peña Parra convocò quindi una riunione del board Gutt: «Ero disperato… Dopo ho saputo che c’erano state riunioni, mai sono stato informato». Il 23 dicembre è avvenuto l’incontro «e la prima cosa che fa Torzi davanti a me, nel mio studio, è stato cacciare dal board Gutt Fabrizio Tirabassi», l’ex funzionario dell’Ufficio Amministrativo. Rimasto “senza interlocutori”, Mons. Peña Parra decise allora di coinvolgere prima il consulente Luca Dal Fabbro e poi il suo segretario particolare, Mons. Mauro Carlino, addentro entrambi nella trattativa londinese, per parlare con Torzi e “capire quanto voleva per uscire”.

3. Il 22 dicembre 2018 l’Arcivescovo Edgar Peña Parra fu convocato da Papa Franceso e insieme al Papa trovò al Domus Sanctae Marthae Giuseppe Milanese e Manuele Intendente, entrambi a conoscenza della vicenda Londra: «Mi spiegarono che quello che era stato fatto prima non era servito: avevamo acquisito scatole vuote». Perciò si iniziò a trattare con Torzi. «A Natale ci ritroviamo che tutto è stato un inganno assoluto», ha affermato Mons. Peña Parra. L’indicazione fu di «ricominciare di nuovo e perdere meno possibile il denaro».
In un successivo incontro con il Papa, il 26 dicembre 2018, a Torzi fu proposto un risarcimento di tre milioni. A gennaio «dovevamo reagire, non c’era nient’altro da fare che studiare delle possibilità» per uscirne.
Nelle trattative «si pensava all’inizio a un milione e mezzo di euro, massimo 3. A fine marzo Torzi chiedeva 25 milioni, poi è tornato a 20. Dopo si è arrivati a 15». Quindici milioni di euro, senza alcuna manleva, è stata la cifra in effetti pagata a Torzi in due tranche: 10 milioni («Era il famoso 3% che appariva nel documento di vendita del palazzo») e 5 milioni («Erano i sei mesi di lavoro e poi di mancato guadagno»). «Ci siamo visti costretti. Per me è stato un profondo dolore constatare che dovevamo dare ancora soldi per questa faccenda. Torzi aveva il potere e non potevamo fare in altro modo», ha affermato Mons. Peña Parra. Davvero, ha ribadito, «è stata una Via Crucis, anzi una doppia Via Crucis. Se il Signore è caduto tre volte, noi sei». Quest’ultima parte della trattativa fu condotta da Mons. Mauro Carlino, coadiuvato da un gruppo di lavoro.

4. Sulla questione IOR, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra ha spiegato di aver coinvolto l’Istituto per le Opere di Religione per ottenere un rifinanziamento a condizioni vantaggiose. “Il mutuo ci costava un milione al mese. Era un crimine usare in questo modo i soldi della Santa Sede. Non ci voleva Einstein per capire l’importanza di estinguere quel mutuo… Si è pensato con i superiori della Segreteria di Stato di fare una cosa interna per evitare anche di pagare interessi fuori”. A febbraio ci furono “trattative verbali” con i Direttivi IOR, poi il 4 marzo la richiesta ufficiale. I vertici dello IOR avevano garantito il finanziamento: “I soldi sono disponibili”. Poi, nel corso di una riunione tenutasi il 25 luglio, lo IOR ritorna sui suoi passi. Lo fa 23 giorni dopo che lo stesso Istituto, insieme al Revisore Generale, avevano presentato la denuncia che ha fatto partire le indagini. Il Presidente Jean-Baptiste De Franssu nel suo interrogatorio del 16 febbraio scorso ha affermato che lo IOR decise di non procedere sulla base delle informazioni raccolte dall’Ufficio Compliance che evidenziava rischi di riciclaggio e soprattutto a causa del fatto che la Segreteria di Stato non aveva mai presentato la documentazione richiesta: «Fummo costretti a denunciare». Mons. Peña Parra ha chiarito comunque di aver mantenuto buoni rapporti con lo IOR e i suoi vertici: «Quando mi hanno detto di no, non c’è stata nessuna crisi. Non ho avuto nessun problema con lo IOR e le persone dello IOR», ma «avrebbero potuto dire subito che non potevano», così «non avremmo buttato tanti soldi».
Scrive Franca Giansoldati su Il Messaggero: «Dopo l’interrogazione di Peña Parra rimane ancora (anche a lui) un grande mistero da sciogliere. “Misterium fidei”, lo definisce proprio così, sintetizzabile in questo quesito che è all’origine di tutto questo strampalato processo: per quale motivo il Direttore dello IOR, Gianfranco Mammì, nel 2019, dopo avere dato parere positivo alla concessione del mutuo di 150 milioni richiesto dalla Segreteria di Stato che sarebbe servito per estinguere un precedente mutuo onerossissimo acceso anni prima in una banca esterna che costava alle finanze del Papa 1 milione di euro al mese di interessi passivi. I soldi dello IOR sarebbero serviti a rientrare nel controllo finanziario del disgraziato palazzo di Londra. Lo IOR, invece, nell’arco di qualche settimana, senza alcuna motivazione, decise di negare il prestito interno. In quello stesso tempo Mammì andava però dai magistrati vaticani a denunciare la presunta truffa e senza nemmeno comunicare in Segreteria di Stato dell’avvenuta denuncia».

5. Tra le altre conferme dell’Arcivescovo Edgar Peña Parra rispetto al suo memoriale, quella che negli uffici c’erano «clientelismi e favoritismi, soprattutto verso i fornitori». «C’era un solo fornitore per i rosari, un solo fornitore per altre cose, sempre un solo fornitore. Possibile che non ce ne fossero altri? Ho visitato una fiera di oggetti religiosi e ho conosciuto altri fornitori di rosari, ad esempio, e abbiamo cambiato perché erano più economici». Carenze anche nel rispetto delle norme contabili. «Quando ero in Nunziatura si procedeva secondo un certo metodo e certe regole: questo in Segreteria di Stato non l’ho trovato».

Indice – Caso 60SA [QUI]

Foto di copertina: la 50ª Udienza del processo 60SA in Vaticano (Foto di Vatican Media).

Free Webcam Girls
151.11.48.50