Condotte incompatibili con il sacerdozio in Calabria. Il caso della Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 12.03.2022 – Ivo Pincara] – Abbiamo seguito da tempo la vicenda di Don Salvatore Santaguida, presbitero della Diocesi di Mileto-Nicotero-Tropea. Dal 14 febbraio 2023, giorno della sentenza di condanna, abbiamo voluto dare tempo – il tempo dovuto – al vescovo diocesano per produrre in merito un equilibrato provvedimento disciplinare. Purtroppo, a quasi un mese dalla condanna in primo grado di Don Santaguida, il Vescovo Attilio Nostro tace. Questo è un fatto. Ed è un fatto grave.

Eccellenza, questi sono fatti gravi, a nostro avviso, visto che si tratta di concorso esterno in associazione mafiosa. Il non agire di fronte ad un crimine equivale all’agire commettendo il crimine stesso.

Eccellenza, provveda in merito a questa delicata questione con gli strumenti canonici di cui dispone.

Eccellenza, provveda quanto prima, o qualcuno sopra di lei provvederà al posto suo, come già accaduto per il suo predecessore, Mons. Luigi Renzo.

Quello che appare è chiaro. Nella Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea i vescovi cambiano ma la musica rimane sempre la stessa. “A pensar male del prossimo si fa peccato ma si indovina” (Papa Pio XI). Detto da un Papa, chi lo oserà metterà in dubbio? E se pure Mastro Jacopo (così San Filippo Neri chiamava il diavolo) sapesse fare anche i coperchi e non solo le pentole… “Rido perché non devo piangere, questo è tutto, questo è tutto” (Abraham Lincoln).

Il Tribunale collegiale di Vibo Valentia, presieduto dal giudice Gianfranco Grillone, ha condannato in primo grado il maresciallo dei Carabinieri, Sebastiano Cannizzaro e Don Salvatore Santaguida, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa per avere favorito il clan Patania di Stefanaconi. Sono stati inflitti 13 anni e 6 mesi di carcere all’ex Comandante della stazione dei carabinieri di Sant’Onofrio, comune alle porte di Vibo Valentia; all’ex Parroco a Stefanaconi e (dal 2013 fino al giorno dopo la condanna) Parroco della Parrocchia Resurrezione di Gesù a Pizzo Calabro, originario di Sant’Onofrio, 6 anni di reclusione, interdizione dai pubblici uffici e legale per tutta la durata della pena, oltre al pagamento delle spese processuali, a pena espiata, libertà vigilata per un anno. I due imputati sono stati condannati anche al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili: Provincia di Vibo, associazione Alilacco e Comune di Stefanaconi. Il processo rappresentava un filone del procedimento penale denominato “Romanzo Criminale”, che aveva portato all’arresto di diversi esponenti del clan di Stefanaconi a seguito della sanguinosa faida tra la consorteria e quella dei Piscopisani, che a cavallo tra il 2011 e il 2012 aveva provocato diverse vittime. Fra 90 giorni il deposito delle motivazioni della sentenza.

Nella precedente udienza, il pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, aveva chiesto la condanna alla pena di 6 anni e 9 mesi per Santaguida e a 15 anni per Cannizzaro, mentre la difesa (Avv. Enzo Galeota per Don Salvatore Santaguida; Avv. Aldo Ferraro e Avv. Pasquale Patanè per Sebastiano Cannizzaro) aveva chiesto un verdetto assolutorio.

Attraverso intercettazioni, dichiarazioni di collaboratori e una riuscita perquisizione, è stato accertato che prete e maresciallo erano a disposizione del terribile clan Patania di Stefanaconi (paese nel quale Don Santaguida ha prestato per anni servizio prima del trasferimento a Pizzo). Il maresciallo trafficava con gli atti, selezionava le intercettazioni e le passava al parroco, che poi informava i diretti interessati. Il prete avrebbe anche saputo di fatti di sangue non adoperandosi per impedirli.

Eppure Don Salvatore si era costruito un’immagine di prete antimafia nel 2003, quando il Sabato Santo di Pasqua ai fedeli di Stefanaconi fece sapere che i portantini della processione dell’Affruntata non sarebbero più stati messi all’asta di danaro preferendo la soluzione del sorteggio in modo da evitare che i clan egemoni esprimessero il loro potere simbolico. Parroco che negli anni di servizio a Stefanaconi ha subito attentati a colpi di pistola contro la sua automobile e l’abitazione con tanto di interrogazione parlamentare a suo sostegno.

Quindi, come in un “Romanzo Criminale” di tutto rispetto, ora abbiamo un ex “prete antimafia” che “sussurrava ai clan”, poi rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafioso e condannato in primo grado, che celebra ancora Messa, con la benedizione di una diocesi garantista da vescovo in vescovo.

Risulta che è stato Don Salvatore Santaguida a consegnare, il giorno dopo la condanna, al vescovo le dimissioni da Parroco della Parrocchia Resurrezione di Gesù di Pizzo. Quindi, non è stato il vescovo a prendere l’auspicata iniziativa canonica. L’annuncio ufficiale dell’accettazione delle dimissioni è tuttavia arrivato solo domenica 19 febbraio, nel corso della Santa Messa delle ore 11.00, quando il Vicario Generale della Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, Don Nunzio Maccarone, si è rivolto ai fedeli incoraggiandoli nella preghiera, presentando loro Mons. Fiorillo e Don Sorbilli, i due presbiteri che provvisoriamente li avrebbero accompagnato nella cura pastorale, in attesa che il vescovo avrebbe valutato il da farsi. Invece, i parrocchiani non hanno accolto bene la notizia, tanto che alcuni di loro hanno pensato di rivolgersi al vescovo, affinché invitasse Don Santaguida a ritirare le dimissioni. Il Vicario Generale ha affermato, riferendosi alle dimissioni presentati da Don Santaguida, che era stato un «gesto compiuto per non ledere la Chiesa». Invece, la diocesi sempre è stata garantista nella decisione dei suoi successivi vescovi. Fu questo l’agire di Mons. Luigi Renzo, che ha avuto non pochi problemi con le vicende del suo segretario particolare, il quale a sentire le intercettazioni trattava denari e debiti che riguardavano il terribile clan Mancuso [QUI]. E anche il suo successore, Mons. Attilio Nostro, che è stato compagno di seminario di Don Salvatore Santaguida, non solo è stato super garantista, ma ha anche affidato al presbitero incarichi di alta e prestigiosa responsabilità.

La chiesa dedicata alla Risurrezione di Gesù a Pizzo Calabro è stata consacrata il 22 luglio 2022 dal Vescovo Attilio Nostro e affidata al nuovo parroco, Don Salvatore Santaguida, nonostante era già sotto processo. Aveva accompagnato anche in un triduo di preparazione spirituale i fedeli, “pietre vive” per essere costruttori e ricostruttori del Regno di Dio, “per rinsaldare il patto con Dio anche nella nuova chiesa, fermo restando che Chiesa- ha rimarcato Don Santaguida – non è la struttura bensì la comunità che la vive e l’edificazione della nuova chiesa deve essere espressione di unità e comunione”.

Il 12 dicembre 2012 fu reso noto [QUI e QUI], che le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro avevano costretto il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e il sostituto Simona Rossi a sbirciare all’interno della Parrocchia e nell’abitazione del Comandante della stazione dei Carabinieri a Stefanaconi. Insospettabili e, allo stesso tempo, troppo vicini alla criminalità organizzata, si apprendeva che Don Salvatore Santaguida e il maresciallo Sebastiano Cannizzaro erano accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso. All’alba i militari del Comando provinciale dell’Arma hanno eseguito un decreto di perquisizione emesso dalla Dda dopo che tre collaboratori di giustizia hanno raccontato come la cosca Patania, che estende la sua influenza su Stefanaconi, Sant’Onofrio e Vibo Valentia, veniva informata delle indagini a suo carico. In sostanza, il maresciallo sarebbe stato solito confidare al prete le risultanze investigative delle indagini contro la famiglia mafiosa. Gli uomini del clan, a loro volta, apprendevano dal prete i luoghi in cui “erano in corso intercettazioni” e le imminenti attività di perquisizione che i carabinieri si apprestavano ad eseguire. Era come se i Patania sapessero in anticipo le mosse di chi stava indagando. Che Don Santaguida fosse il uomo di fiducia della cosca emerge dai verbali dei pentiti Loredana Patania, Daniele Bono e Vasvi Beluli, secondo i quali il parroco sarebbe stato a conoscenza anche di “omicidi in corso di programmazione”.

“Ha colto tutti di sorpresa” la notizia della perquisizione domiciliare e personale nei confronti di Don Salvatore Santaguida, Parroco di Stefanaconi, coinvolto “suo malgrado in faccende criminose che hanno avuto per protagonisti alcuni clan malavitosi locali”. È quanto si leggeva in una nota della Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, diffusa a commento delle perquisizioni che avevano coinvolto il maresciallo dei Carabinieri e il Parroco. L’allora Vescovo Mileto-Nicotera-Tropea, Mons. Luigi Renzo, aveva sospeso il sacerdote dopo aver espresso “vicinanza” e “fiducia che in breve la Magistratura seguendo il suo corso farà piena chiarezza sull’intera vicenda e sui fatti contestati al sacerdote”. “Nel frattempo – si legge nella nota della diocesi – per facilitare ogni cosa, ha consentito precauzionalmente al sacerdote un congruo periodo di riposo lontano dalla parrocchia, affidata provvisoriamente alla cura della Curia diocesana”.

Poi, all’inizio del 2014 Don Santaguida dalla parrocchia di Stefanaconi è passato ad incarico più prestigioso nella chiesa di San Sebastiano a Pizzo Calabro. Lo spostamento fu percepito dagli inquirenti come una sorta di “promozione” di un prete notoriamente inquisito dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. «Per motivi di cautela era stato sollevato dall’incarico», osservava allora Mons. Renzo, aggiungendo «ma non dimentichiamo che è solo indagato, non è stato condannato. E dopo un anno e mezzo ho ritenuto fosse corretto dare un po’ di spazio a questo giovane prete, senza per questo condizionare l’attività della magistratura».

A quasi dieci anni dal 21 giugno 2014 – il giorno in cui Papa Francesco in Calabria, in una durissima omelia contro la ‘ndrangheta, durante la Santa Messa a Sibari davanti a 200.000 mila fedeli, scomunicò coloro che fanno parte della n’drangheta, che “è adorazione del male” – ripetiamo la domanda che abbiamo posto il 27 gennaio 2020 (e sono di nuovo passati più di tre anni, in cui è tutto rimasto come prima, pare): «Cosa è cambiato nella Chiesa?» [QUI]. Papa Francesco fa i suoi preti combattere il male della ‘ndrangheta in terra calabrese. Al riguardo, tenere Don Santaguida a governare una parrocchia, dopo che fu inquisito almeno dal 2012 e rinviato a giudizio il 4 maggio 2015, non è compatibile con la linea chiara tracciata dal Papa per la Chiesa in Calabria. Questo “garantismo” da parte di Mons. Renzo e di Mons. Nostro non solo contraddice questa linea, ma oltre a impedire il corretto discernimento dei fedeli (come testimonia l’appello al vescovo a favore del Parroco condannato), crea pure scandalo nelle comunità parrocchiali.

Per la loro natura, gli scandali che continuano a colpire la Chiesa – per esempio gli abusi sessuali da parte di sacerdoti o la gestione finanziaria “opaca” dei beni ecclesiastici, ma anche la loro (mala)gestione da parte della suprema autorità della Chiesa, e la mancata presa di provvedimenti in casi come quello che stiamo trattando qui – toccano il cuore dei cristiani e dei non cristiani allo stesso modo. In ogni scandalo si ritrovano tre elementi: un elemento attivo (l’azione o l’omissione di una persona), un elemento passivo (una persona che osserva l’azione scandalosa) e un elemento interno (un valore che nel soggetto passivo riceve un impulso).

Il Catechismo della Chiesa Cattolica tratta dello scandalo all’interno del quinto comandamento, nella sezione dedicata al rispetto della dignità delle persone; lo scandalo ha a che fare precisamente con il rispetto dell’anima altrui (nn. 2284-2287). «Lo scandalo è l’atteggiamento o il comportamento che induce altri a compiere il male. Chi scandalizza si fa tentatore del suo prossimo. Attenta alla virtù e alla rettitudine; può trascinare il proprio fratello alla morte spirituale. Lo scandalo costituisce una colpa grave se chi lo provoca con azione o omissione induce deliberatamente altri in una grave mancanza» (n. 2284).

Insomma, il celebrato “passo indietro” di Don Santaguida non è un bene per la Chiesa, ma lede la Chiesa, contrariamente a quanto ha affermato il Vicario Generale. Perché, se i pastori successivi della Diocesi di Mileto-Nicotero-Tropea avessero avuto a cuore il bene della Chiesa diocesano affidata al loro governo, e soprattutto il salus animarum (proprio e quello dei fedeli loro affidati), il sacerdote sarebbe stato sospeso in via cautelare dal momento dell’iscrizione nel registro degli indagati. E dopo la condanno sarebbero stati avviati i provvedimenti canoniche adeguati al caso.

A Mons. Attilio Nostro, Vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea

Eccellenza Reverendissima,
in forza al codice di diritto canonico, sarebbe gradito un provvedimento disciplinare – formale e ufficiale – nei confronti del sacerdote in questione, che – come emerso – ha assunto condotte incompatibili con il sacerdozio. Se non le dovesse essere ancora giunto all’orecchio, il predetto risulta essere stato condannato dal tribunale penale di Vibo Valentia, il 14 febbraio 2023. Altresì, il suo magistero è tuttora annoverato nel sito web della Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea [*], territorio ecclesiastico sotto il suo governo come ordinario.
Le idee migliori le facciamo presenti.
Firmato
Il Popolo di Dio

[*] Don Salvatore Santaguida, ad oggi, risulta ancora inserito nel sito web della Diocesi Mileto-Nicotera-Tropea, anche se con l’incarico di Vicario parrocchiale della Parrocchia Risurrezione di Gesù [QUI e QUI]

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Foto di copertina: è fatta di perle rare la Calabria che ci piace. Monte Sant’Elia Palmi.

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