Assisi ha celebrato il decennale di papa Francesco

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Nel decimo anniversario dell’elezione di papa Francesco che ha voluto assumere il nome del Santo d’Assisi, sabato 4 marzo si è svolto alla Porziuncola di Assisi un incontro per comprendere questo tratto di strada della Chiesa di Cristo e la celebrazione eucaristica di preghiera per il Pontefice. Presiedendo tale appuntamento il francescano messicano p. Agustín Hernández Vidales, rettore della Pontificia Università Antonianum, ha evidenziato che l’ansia missionaria del primo papa latinoamericano ricorda quella dei primi dodici frati minori, noti anche come i dodici apostoli, che nei primi decenni del XVI secolo sbarcarono in Messico per annunciare il Vangelo.

I coniugi Gianni Valente e Stefania Falasca, avendo avuto modo di conoscere il vescovo e cardinale Jorge Mario Bergoglio ben prima della sua elezione pontificia, nei loro interventi hanno citato le interviste concesse a loro dall’allora card. Jose Mario Bergoglio rispettivamente a Stefania Falasca nel 2007 e a Gianni Valente nel 2009. Inoltre hanno commentato anche le parole del cardinale Jorge Bergoglio durante una delle congregazioni pre-Conclave che nel 2013 lo elesse papa.

Il card. Beniamino Stella, che dopo l’ordinazione sacerdotale nel 1966 venne destinato dal suo vescovo mons. Albino Luciani all’Accademia ecclesiastica, è stato una delle prime e significative nomine di papa Francesco che pochi mesi dopo la sua elezione gli ha affidato l’incarico di prefetto del dicastero per il clero e lo ha creato cardinale nel primo concistoro del 22 febbraio 2014.

Nell’intervento il card. Stella lo ha paragonato ad Abramo: “Me lo immagino Papa Francesco, al presente (proprio a cavallo del suo decimo anno di pontificato) come Abramo, padre della fede in preda a tanti interrogativi, erede delle promesse di Dio che gli aveva prospettato una progenie sterminata come le stelle del cielo e che si trova invece troppo vecchio per avere figli e con una sposa sterile, ma sempre con lo sguardo rivolto verso il Cielo, verso Dio.

Me lo immagino, poi, simile ad Abramo che sulla vetta del monte Moriah era in procinto di dover sacrificare il figlio unico, regalato dalla bontà del Signore alla sua veneranda età; lo penso, infine, come Abramo, con la chiamata di Dio nel cuore a essere in uscita, a lasciare la sua propria terra, per andare là dove Dio ha da mostrargli”.

Quindi, come Abramo, anche papa Francesco ha riposto la speranza in Dio: “Come Abramo dunque il credente, il pontefice (discepolo pure lui di Gesù e missionario del Vangelo) guarda in su, verso il Cielo, verso il volto del Maestro, e continua a guardare lontano, fino ai confini della terra, a cui è destinata per vocazione la Parola di Dio, confidando ‘contro ogni speranza’ in quel Dio delle promesse che Dio stesso gli ha posto nel cuore e che lo hanno sostenuto sempre nelle vicissitudini della vita.

Ammiro oggi nel Santo Padre questo sguardo alto e lungimirante, proprio dell’uomo di fede, che affida le proprie sorti al Dio provvidente e Signore della storia, che dentro i fili e i nodi inestricabili delle umane vicende, nelle quali si intrecciano interessi, calcoli e umane miserie, tesse la propria storia di salvezza e di redenzione”.

Ed ecco la seconda riflessione del card. Stella sul valore del sacrificio: “Il Santo Padre, nel suo Magistero di ‘segni’ e di ‘scelte’, ci sta insegnando (come un tempo fece san Giovanni Paolo II) che l’infermità è ‘cattedra di vita’.

Prima col bastone e ora spesso con la carrozzina, papa Francesco testimonia che la vita è importante, comunque ci sia donata; che la fragilità, il dolore, la malattia sono esperienza della vita che chiedono di essere accolte e vissute nell’orizzonte di ‘sorella speranza’.

La vita non è un film, dove tutto deve essere perfetto perché tutto è finzione, dove le scene vengono registrate e ripetute, finché non esce quella ideale”.

Tutto il magistero di papa Francesco è improntato a testimoniare che la vita è dono di Dio: “La vita profonda del cristiano va ben oltre e chiede di essere vissuta con tutto se stessi. E’ il modo attraverso il quale Egli sta accettando di abbracciare la croce che il Signore gli ha fatto incontrare.

Forse, oserei intuire!, all’inizio di questa tappa di vita per lui imprevista, il papa era restio a farlo, ma poi ha superato la fatica e l’ha abbracciata fino in fondo, con la libertà della fede e lo sguardo del credente. Ha abbracciato la croce della sofferenza e del limite animato da una certezza: Gesù l’ha presa e vissuta prima di lui”.

Nell’omelia il card. Stella ha percorso la strada del cristianesimo, nato da una promessa: “Abramo è partito in forza di una promessa: ‘Farò di te una grande nazione e ti benedirò’. Questa è stata la sola certezza di colui che giustamente chiamiamo nostro padre nella fede, certezza che ritroviamo in frate Francesco e in tanti santi della storia.

Tale abbandono fedele al cuore di Dio permette di lasciarci trasfigurare il volto e di far brillare del profumo del Vangelo la storia in cui viviamo e la Chiesa a cui apparteniamo. In fondo, i santi rivelano la bellezza somma di Dio e ricordano, con la loro stessa vita, una verità straordinaria e consolante: l’essere tutti creature e figli amati del Padre, e quindi ‘Fratelli tutti’.

E’ questa un’espressione che facilmente riporta la nostra mente all’enciclica che papa Francesco, proprio a partire dall’esperienza del Poverello di Assisi, ha scelto di scrivere e di offrire alla riflessione della Chiesa e del mondo. Il tema della fraternità era centrale per Frate Francesco, così come lo è per il Pontefice che da dieci anni ce lo sta richiamando costantemente”.

(Foto: Ofm)

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