Settantottesimo giorno del #ArtsakhBlockade. La dittatura armenofoba di Aliyev non demorde, ma il popolo armeno dell’Artsakh è resiliente

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 27.02.2023 – Vik van Brantegem] L’assedio terroristico di 120.000 Armeni in Artsakh/Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbajgian continua da 78 giorni, nonostante gli appelli, le dichiarazioni e le condanne della comunità internazionale, l’ordine legalmente vincolante della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite all’Azerbajgian per terminare il blocco.

«Durante il #ArtsakhBlockade sono stati registrati 30 casi di avvelenamento da gas a causa delle interruzioni periodiche della fornitura di gas causate dall’Azerbajgian e il ripristino incompleto. A causa del continuo stress causato da incertezze e minacce durante il #ArtsakhBlockade, il numero di malattie e complicazioni è aumentato nell’Artsakh. Tra queste ci sono la cardiopatia ischemica +58%, l’ictus +36%, le complicanze alla nascita +11,6% e una serie di altre malattie» (Siranush Sargsyan, giornalista freelance a Stepanakert).

«300 bambini sono nati negli ospedali di maternità #Artsakh durante il blocco imposto dall’Azerbaigian. A seguito della campagna di terrore dell’Azerbaigian contro la popolazione dell’Artsakh, i neonati affrontano ogni giorno serie preoccupazioni legate alla carenza di cibo per bambini e medicinali» (Horizon Armenian News).

«A causa dell’#ArtsakhBlockade e soprattutto dell’interruzione della fornitura di elettricità dal 9 gennaio, 96.000 ettari di terra azera non riceveranno acqua sufficiente per l’irrigazione dal bacino idrico di Sarsang durante la stagione. Dobbiamo utilizzare in gran parte quelle risorse idriche per la produzione locale di elettricità» (Artak Beglaryan, Consigliere del Ministro di Stato dell’Artsakh).

Non dimentichiamo che l’Azerbajgian è una dittatura armenofobica indottrinata a livello statale dal criminale di guerra Aliyev. L’Azerbajgian, che sta conducendo la pulizia etnica, parla senza vergogna di diritto internazionale e i suoi diplomatici continuano a ripetere la menzogna: “L’Armenia ha violato molteplici disposizioni della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati e principi fondamentali del diritto internazionale”. Ricordiamo che la macchina di menzogne azere funziona da sempre.

«Lo sapevi che l’Armenia ha abbattuto un aereo civile azero IL-76 inviato in missione di aiuto umanitario a Spitak per sopperire alle conseguenze del tragico terremoto avvenuto lì il 7 dicembre 1988? Tutti i 78 membri del personale azero a bordo sono stati uccisi».

«Ganjaliyev è una persona così spregevole. Diffonde bugie/odio anti-armeno tutto il tempo, ma non posso dimenticare questa. Ho visto la totale devastazione, il caos e la disperazione dopo il terremoto di Spitak del 1988 in Armenia. Che tipo di essere umano mente su questo? Una bugia disgustosa. È stato un incidente aereo. Era un aereo cargo sovietico che apparteneva al Ministero della Difesa sovietico. Tutti gli 11 membri dell’equipaggio erano russi, gli altri erano multinazionali: Azeri, Lezgini, Tartari, Russi, Armeni, Ebrei» (Nara Matini).

Ricordiamo la copertura mediatica massiccia sull’Ucraina e il silenzio sul blocco dell’Artsakh. L’Unione Europea ha adottato NESSUNA sanzione contro l’autocrazia dell’Azerbajgian dopo tre invasioni (2020, 2021 e 2022) del territorio armeno, il #ArtsakhBlockade da 78 giorni con 120.000 vite in pericolo. L’Unione Europea fa NULLA per fermare Aliyev e invece acquisto il suo gas. Mentre Putin reindirizza i flussi di gas russo attraverso l’Azerbajgian, l’Europa si congratula con se stesso. Prende due dittature al prezzo di una. Questa è l’ambizione Net Etico Zero 2030.

Ma il popolo armeno dell’Artsakh è resiliente, vuole continuare a vivere in pace sulla propria terra. Ogni giorno gli Armeni dell’Artsakh dimostrano che qualsiasi potere, specialmente un delinquente autoritario corrotto come Aliyev, non può convincerli ad abbandonare la loro patria ancestrale. I fascisti dell’Azerbajgian fallirono nel 1918, 1988, 2020 e stanno fallendo ora.

«Le persone continuano a vivere in Artsakh in queste condizioni. Il nonno semina patate» (Ani Balayan, fotografa in Artsakh [QUI] mailto:anivannlll@gmail.com).

«Artsakh oggi» (David Ghahramanyan, fotoreporter a Stepanakert [QUI] mailto:ghahramanyan91@internet.ru).

“La guerra contro gli Armeni è finita nel punto cieco della comunicazione”
“Alcuni conflitti suscitano emozione, reattività e commenti, sia tra i politici che sui media”, scrive lo storico Ebreo francese Marc Knobel sul settimanale francese Nouvel Obs. “Nei conflitti che oggi insanguinano il pianeta, c’è una guerra particolarmente dura condotta dall’Azerbajgian contro l’Armenia, a quattro ore di volo da Parigi. Certo, l’Armenia è lontana e il Nagorno-Karabakh – chiamato anche Artsakh dagli Armeni – sembra enigmatico, come se fosse ancora più misterioso. I nostri contemporanei troverebbero difficile localizzarli su una mappa geografica. Questa ignoranza generale è la sfortuna degli Armeni. Porta gioia anche ai loro nemici, le forze del pan-turchismo, responsabili del genocidio del 1915, che ne approfittano per portare a termine l’opera di nascosto. È così che l’ultimo atto dell’uccisione di questa gente superflua può avvenire proprio in questo momento. Un’entità cristiana, innamorata della democrazia, dei valori europei, la cui plurimillenaria esistenza in quest’area flagellata da ogni forma di totalitarismo costituisce un’eccezione culturale e politica. Non stupisce quindi che, secondo la regola del fanatismo in vigore sotto questi cieli, si tratti di farlo sparire. Da un lato, sulla base di ciò che è; dall’altro, per l’ostacolo geografico che rappresenta per la Turchia e l’Azerbajgian. La fase finale del piano di pulizia etnica è iniziata il 12 dicembre 2022, con i militanti nazionalisti azeri guidati a distanza da Baku che hanno bloccato il Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia. Risultato: i 120.000 Armeni dell’enclave vivono da allora in una prigione a cielo aperto, completamente tagliati fuori dal mondo.  Tuttavia, quasi nessuno parla del dramma che si sta svolgendo. È vero che la morte per asfissia è meno spettacolare, meno pubblicizzata, di quella provocata dai bombardamenti. Tuttavia, è chiaro che difficilmente avevamo parlato di più del destino degli Armeni durante l’autunno del 2020, quando subirono gli assalti congiunti dell’esercito azero e di quello turco, supportati da 2.000 mercenari jihadisti siriani. Questo massacro moderno, perpetrato con l’intera panoplia di armi autorizzate e proibite, uccise 4.500 coscritti Armeni in quarantaquattro giorni. Questo è un peso incredibile rispetto ai 3 milioni di armeni che ancora vivono nei loro territori storici. A titolo di paragone, la guerra iniziata da Putin ha ucciso alcune migliaia di soldati ucraini in un anno (tra i 10.000 e i 13.000), per una popolazione di 44 milioni di abitanti. Queste cifre danno un’idea dell’ondata di violenza che si è abbattuta sugli Armeni durante questo mese e mezzo. Testimoniano anche, senza sprofondare nella competizione delle vittime, l’ineguale copertura mediatica di queste due tragedie. Come ignorare il fatto che cento anni dopo il genocidio impunito di 1915, i pochi Armeni che restano sul poco che rimane del loro suolo ancestrale possono continuare a soffrire dagli stessi aggressori, o dai loro figli spirituali, un identico odio, una violenza della stessa natura?” (Il Foglio, 27 febbraio 2023 – Traduzione di Giulio Meotti).

Oggi ricorre il 35° dei massacri di Armeni di Sumgait. Ricordiamo tutte le vittime innocenti di questa azione disumana dell’Azerbajgian per la pulizia etnica. Fu un punto di non ritorno, la madre di tutte le pulizie etniche azere

Sumgait 1988-Artsakh 2023.

Il pogrom di Sumgait è stata la prima campagna di pulizia etnica che gli Azeri hanno commesso come risposta brutale alle legittime richieste del popolo dell’Artsakh di esercitare il loro diritto fondamentale all’auto-determinazione.

I massacri pianificati dalle autorità azere nel 1988 lontano dall’Artsakh, sono stati compiuti per sopprimere brutalmente la lotta civile del popolo dell’Artsakh per vivere con dignità e pacificamente nella loro patria storica.

Ancora oggi l’Azerbajgian pianifica qui la pulizia etnica.

L’orrore di Sumgait che gli Azeri cercano di nascondere con le menzogne

Da alcuni anni la diplomazia azera è particolarmente attiva nella sua propaganda su Kojali. Come abbiamo già evidenziato nei giorni precedenti [QUI e QUI] le menzogne e le calunnie della narrazione diplomatica (anche qualche giorni fa ripetuta dal nuovo Ambasciatore azero presso la Santa Sede) e mediatica azera (alla quale si prestano anche servi sciocchi o marchettari di basso lignaggio nostrani) è servita e serve solo a coprire l’orrore del pogrom anti-armeno di Sumgait, di cui abbiamo parlato ieri [QUI].

Il primo Presidente dell’Azerbajgian, Ayas Mutalibov, annunciò che gli eventi di Kojali erano stati organizzati dall’opposizione azera per rimuoverlo dall’incarico. Gli Armeni non c’entravano per niente.

I massacri di Armeni a Sumgait nel febbraio del 1988 hanno il dubbio onore di essere stati la prima pulizia etnica attuata in quello che era ancora territorio sovietico.

A una serie di dimostrazioni pacifiche di Armeni nel Nagorno-Karabakh, che desideravano decidere le loro proprie vite, il proprio futuro, non nell’ambito della giurisdizione dell’Azerbajgian, il governo azero rispose con la violenza e la repressione.

L’esempio più violento e più manifestatamente politico di questa risposta sono proprio i massacri che ebbero luogo per tre giorni nel febbraio del 1988 nella città di Sumgait, a molti chilometri di distanza dal territorio del Nagorno Karabakh.

La violenza contro gli Armeni a Sumgait ha invero cambiato la natura del conflitto del Karabakh militarizzandolo.

Non c’era alcun rifugiato ed alcuna questione territoriale quando il popolo del Nagorno-Karabakh sovietico intraprese tutte le necessarie azioni legali al fine di optare per l’auto-determinazione in conformità con la legislazione del tempo dell’USSR. La risposta fu un’aggressione militare. È molto significativo che un governo sovrano abbia risposto ad azioni democratiche dei propri cittadini con l’uso delle armi. Inoltre, la violenta risposta militare non fu nemmeno diretta contro la popolazione del Nagorno Karabakh, (almeno in un primo momento), ma contro gli Armeni di Sumgait e Baku, chilometri lontano dal territorio e dalla popolazione del Nagorno Karabakh.

I massacri di Armeni a Sumgait (una città situata a mezz’ora di auto dalla capitale dell’Azerbaigian, Baku) si svolsero in pieno giorno, testimoniati da numerosi attoniti passanti. Il picco delle atrocità commesse da azeri fu raggiunto il 27-29 febbraio 1988. Gli eventi furono preceduti da una ondata di dichiarazioni anti-armene e manifestazioni che attraversarono l’intero Azerbajgian nel febbraio del 1988.

Il quotidiano Izvestia Daily del 20 agosto 1988 cita il vice procuratore sovietico Katusev che ha detto che quasi tutta l’area di Sumgait, una città con popolazione di 250.000 abitanti, era diventato un luogo di libero pogrom di massa. Gli autori materiali che fecero irruzione nelle case degli armeni erano stati aiutati da liste preparate con i nomi dei residenti. Erano armati con sbarre di ferro, pietre, asce, coltelli, bottiglie e taniche piene di benzina. Secondo testimoni, alcuni appartamenti sono stati perquisiti da gruppi da 50 a 80 persone. Simili folle (fino a 100 persone) hanno preso d’assalto le strade.

Ci furono dozzine di incidenti e 53 assassinati – la maggior parte di quelli bruciati vivi dopo essere stato aggrediti e torturati. Centinaia di persone innocenti furono ferite e rese invalide. Molte donne, tra le ragazze adolescenti, furono violentate. Più di duecento appartamenti furono perquisiti, decine di auto bruciate, numerosi negozi e botteghe saccheggiate. I manifestanti scagliarono mobili, frigoriferi, televisori, letti dai balconi e poi li bruciarono. Il risultato diretto e indiretto di questi orrori furono decine di migliaia di profughi.

Queste furono le perdite umane. Politicamente, è stato più orribile e significativo che né la polizia né gli addetti alla pubblica emergenza interferirono. Il testimone S. Guliev descrisse gli eventi: “La polizia ha lasciato la città in balia della folla. Non era in nessun posto. Non ho visto alcun poliziotto in giro”.

In tribunale, il testimone Arsen Arakelian raccontò la malizia dei medici dell’ambulanza che non vennero per aiutare la madre sofferente di una commozione cerebrale, con le ossa rotte, emorragie e bruciature, né lasciarono che venisse portata in ospedale.

L’esercito arrivò a Sumgait il 29 febbraio. Tuttavia, si è limitò a fare scudo contro i manifestanti che devastavano e lanciavano pietre contro i soldati e fece poco per proteggere gli Armeni. ”Noi non abbiamo istruzioni per andare dentro”, fu ‘risposta dei soldati alle richieste di aiuto delle vittime, secondo la testimonianza di S. Guliev.

Quanto accaduto a Sumgait (e poi a Baku e Kirovabad) fa parte della storia e non può essere negato. Il regime azero cerca però di nascondere questo crimine e, negli anni, ma in particolare negli ultimi, ha montato controstorie che, grazie a generose prebende, riescono ad avere anche una qualche risonanza mediatica.

Ma l’orrore del febbraio 1988 non potrà certamente essere dimenticato o essere cancellato dalle menzogne e calunnie dell’Azerbajgian.

Per saperne di più

– La tragedia di Sumgait. 1988. Un pogrom di armeni nell’Unione Sovietica di Shahmuradian Samuel. Introduzione di Rouben Karapetian. Presentazione di Bernard Kouchner. Prefazione di Elena Bonner. Edizione italiana a cura di Pietro Kuciukian (Guerini e Associati 2013, 198 pagine) [QUI].
– Sito in lingua italiana sui massacri di Sumgait [QUI].

1988, Sumgait, Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian: tre giorni di caccia all’armeno e il primo dei conflitti interetnici dell’Unione Sovietica. Chi avrebbe potuto intuire e prevenire ciò che è accaduto tra azeri e armeni, uniti fino a quel momento dagli ideali del comunismo? Come cogliere i segni del male in eventi apparentemente trascurabili che poi sfociano in uno sterminio? Una folla fanatizzata attraverso un’opera di disinformazione, distribuzione di alcool e armi bianche, e persone inermi massacrate dai propri vicini con i quali, fino al giorno prima, avevano convissuto in modo pacifico. Le testimonianze tragiche dei sopravvissuti, per la prima volta in traduzione italiana, sono un drammatico appello alla responsabilità individuale e pubblica e restituiscono una traccia delle motivazioni e dei meccanismi con cui un uomo può essere spinto contro un altro uomo nella maniera più brutale. E tuttavia i giusti al tempo del male ci sono stati anche a Sumgait, ed è in nome della verità dei fatti che sorge l’imperativo di valorizzare quegli episodi nei quali azeri vicini di casa, compagni di scuola, colleghi di lavoro, hanno saputo dire “no”. Di fronte alla violenza devastante che si abbatteva sugli innocenti, hanno reagito, si sono opposti, non hanno voltato le spalle.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

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