Accademia per la Vita: la teconologia non può superare il limite umano

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Mercoledì 22 febbraio si è conclusa la  XXVIII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita sul tema ‘Converging on the person. Emerging Technologies for the Common Good’, i cui risultati sono stati presentati da mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che ha sottolineato il valore dell’impatto dell’intelligenza artificiale sulla vita:

“In questa Assemblea il tema si è allargato e riguarda l’interazione sistemica di queste tecnologie emergenti e convergenti che si stanno sviluppando in maniera velocissima e che mentre possono portare un contributo enorme al miglioramento dell’umanità, nello stesso tempo possono condurre ad una modificazione radicale dell’umano. Si parla di posto umanesimo, di uomo potenziato e così oltre.

Alcuni anni fa nell’Assemblea Generale in cui trattavamo della robotica, lo scienziato giapponese Ishiguro Hiroshi, parlo dell’umanità di oggi come dell’ultima generazione organica, la prossima sarebbe stata sintetica. Ci troveremmo di fronte alla radicale trasformazione dell’umano”.

Per questo motivo è stata affrontata questa dimensione che riguarda l’umano: “La Pontificia Accademia per la Vita ha sentito la responsabilità di affrontare questa nuova frontiera che coinvolge radicalmente l’umano consapevole che la dimensione etica è indispensabile per salvare, appunto, l’umano che è comune.

Ci troviamo dentro quel cambiamento d’epoca di cui parla spesso papa Francesco. Per la prima volta nella storia l’uomo può distruggere se stesso: prima con il nucleare, poi con la crisi ecologica ed infine con le nuove tecnologie. E’ una questione che coinvolge sia la creazione che la famiglia umana e l’intero pianeta”.

Mons. Renzo Pegoraro, cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita, ha illustrato i lavori svoltisi in tali giornate, proponendo una governance: “Ci siamo impegnati dunque, in una prospettiva interdisciplinare e transdiciplinare, grazie al contributo dei maggiori esperti mondiali in questi settori, per cogliere le prospettive positive che stanno emergendo nel campo della salute, della sanità, dell’ambiente, della lotta alla povertà.

Abbiamo pertanto riscontrato i contributi positivi per la vita umana e per il pianeta, che emergono dalle tecnologie convergenti. Registriamo tuttavia delle preoccupazioni. E ci siamo chiesti come affrontare le paure, i rischi e le incertezze che possono emergere da un uso della tecnica a scapito del benessere dell’umanità.

In questo senso è emersa la necessità di un discernimento, e l’esigenza di definire meglio i valori e i princìpi morali che hanno il compito di guidare il discernimento stesso e la valutazione. Mi riferisco al valore della persona, alla sua integrità, alla solidarietà, al valore della vita umana, alla giustizia, al criterio della ricerca del bene comune.

Dunque è necessaria una governance che si sviluppa attraverso una legislazione adeguata e aggiornata, ma anche attraverso un’opera di informazione e di educazione all’uso delle tecnologie stesse”.

Il prof. Roger Strand docente all’università di Bergen (Norvegia), ha parlato di ‘tecnologie convergenti’: “Il termine ‘tecnologie convergenti’ indica un insieme di domini tecno-scientifici e i loro risultati. Questo insieme comprende tipicamente le biotecnologie e le scienze della vita molecolari, tra cui la biologia dei sistemi e la biologia sintetica, ma anche le nanotecnologie, l’informatica e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le neurotecnologie e le scienze cognitive, e talvolta la robotica e la meccatronica.

L’idea di convergenza si riferisce alle applicazioni tecnologiche che attraversano questi domini, ma anche all’ambizione scientifica di collegare e integrare i corpi scientifici di conoscenza sottostanti. Le questioni etiche includono il rischio di uso improprio e di abuso di tali tecnologie. Inoltre vi sono questioni relative all’accesso, alla giustizia sociale e alla sostenibilità.

E soprattutto, le tecnologie convergenti sollevano questioni sul futuro della specie umana, se dovesse prevalere l’idea che il corpo e la mente umani sono solo un insieme arbitrario di geni, cellule e tessuti in cui tutto può essere modificato secondo i nostri desideri”.

E ciò deve essere collegato all’etica: “Il mio messaggio principale è che le tecnologie convergenti e le questioni etiche che esse sollevano, sono legate alle caratteristiche strutturali delle società moderne e devono essere affrontate come tali. Né la scienza né la tecnologia emergono nel vuoto, ma sono co-prodotte con la società in cui hanno luogo. La scienza e la tecnologia plasmano e sono plasmate da altre istituzioni e pratiche, come la politica e l’economia.

Le questioni etiche delle tecnologie convergenti si intrecciano con l’economia politica della tecnoscienza, con le agende politiche dell’innovazione e della crescita economica, con le forze del mercato, le ideologie e le culture del materialismo e del consumismo. Sono invischiate in quello che l’Enciclica ‘Laudato Sì’’ ha giustamente definito il paradigma tecnocratico”.

Questo è un lavoro complesso: “Per orientare le nostre traiettorie tecnologiche verso il bene comune, dobbiamo quindi andare più a fondo. E’ necessario integrare le visioni e le possibilità del futuro tecnologico positivo con più voci, provenienti dalle periferie delle attuali élite scientifiche ed economiche. È necessario sfidare il paradigma tecnocratico ed integrarlo con le preoccupazioni per l’identità, la dignità e la prosperità umana.

Credo che non dovremmo chiedere soluzioni rapide; in effetti, il desiderio di controllo e di soluzioni rapide appartiene al paradigma tecnocratico. E’ parte del problema. Potrebbero essere necessarie generazioni, perché le società acquisiscano la saggezza necessaria a governare la tecnoscienza per il bene comune.

Nel mondo accademico, possiamo migliorare i nostri modi di descrivere ciò che finora sfugge al paradigma tecnocratico. La medicina e la scienza della salute possono sensibilizzarsi a una gamma più ampia di significati, compresa la dimensione spirituale. Potremmo costruire una scienza per il benessere umano”.

Infine la prof.ssa Laura Palazzani, docente all’Università Lumsa di Roma, ha illustrato le novità che stanno avvenendo: “Si stanno aprendo innovazioni ‘dirompenti’, che possono da un lato aprire straordinarie opportunità per la cura di malattie fino a pochi anni fa inimmaginabili o miglioramento delle interazioni sociali, ma dall’altro lato possono portare (e in parte già lo stanno facendo) ad una modificazione radicale dell’uomo, della società, dell’umanità in senso ‘potenziativo’. Si pensi, ad esempio, alla interfaccia cervello-computer che può consentire a pazienti paralizzati di comunicare o azionare un comando, ma anche solo a potenziare artificialmente capacità mentali di individui sani”.

Per questo è necessaria una riflessione etica: “Il dibattito teorico, agli inizi, ha delineato la divaricazione tra i bio-ottimisti tecnofili che esaltano le tecnologie emergenti e i bio-pessimisti tecnofobi che demonizzano le tecnologie. Non si tratta di scegliere tra i due estremi, ma di riflettere, caso per caso, su ogni tecnologia ed applicazione, al fine di evidenziare entro quali limiti può essere consentito e regolato il progresso in una prospettiva umano-centrica (contro la tecno-crazia e il tecno-centrismo), che metta al centro la dignità umana e il bene comune della società intesa in senso globale”.

La perfezione non può superare il limite della costituzione umana: “L’etica è chiamata a riflettere in modo dinamico e integrato alla progettazione tecnologica, nei diversi contesti, con uno sguardo ‘prudente’. L’obiettivo è quello di giustificare i limiti dello sviluppo tecno-scientifico, in modo particolare nelle forme radicali invasive ed irreversibili. Il rischio è che l’anelito alla perfezione possa fare dimenticare il limite costitutivo dell’uomo che, giocando ad essere Dio (‘playing God’) dimentica se stesso”.

(Foto: Santa Sede)

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