Card. Zuppi: educare alla pace è un investimento necessario

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L’educazione alla pace è “l’investimento necessario per una pace preventiva, individuale e collettiva”: lo ha sottolineato alcuni giorni fa il presidente della Cei, card. Matteo Maria Zuppi, inaugurando con una lectio magistralis sul tema della pace l’anno accademico dell’Università ‘Roma Tre’, nel trentennale della sua fondazione; mentre nella prolusione il rettore, prof. Massimiliano Fiorucci, ha ricordato l’impegno formativo della scuola in una società frammentata:

“Si tratta in altri termini di una società ancora fortemente divisa, per usare una terminologia introdotta da Paulo Freire, in oppressori e oppressi. Ciò determina una situazione assai pericolosa in cui vi sono alcune persone (poche) in grado di operare scelte libere e consapevoli esercitando il pensiero critico e tante altre (troppe) che non dispongono degli strumenti minimi per decostruire le false rappresentazioni, le narrazioni tossiche e le facili semplificazioni delle demagogie e dei populismi.

Nel 2023 si celebra il centenario della nascita di don Lorenzo Milani, straordinaria figura di sacerdote e insegnante. Parafrasando il priore di Barbiana possiamo dire oggi che ‘se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati…

La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde’. In altri termini dobbiamo mettere in atto azioni di discriminazione positiva (offrendo di più a chi ha di meno) perché ‘non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali’. Non perdere nessuno, offrire molto a tutti”.

Nella ‘lectio magistralis’ il presidente della Cei ha richiamato alla ‘mentalità di pace’ di Maria Montessori: “Per realizzare la pace c’è bisogno di formare e diffondere una cultura di pace, una ‘mentalità di pace’, come la definiva Maria Montessori nel suo libro ‘Educazione e pace’, che raccoglie i testi di una serie di conferenze che la grande pedagogista tenne in Europa e nel mondo negli anni Trenta, in un periodo che portava le ferite della guerra e diventava terreno di coltura di altra violenza, caratterizzato dalla dittatura del fascismo.

Disse a Bruxelles nel 1936 al Congresso europeo per la pace: ‘La pace è una meta che si può raggiungere soltanto attraverso l’accordo, e due sono i mezzi che conducono a questa unione pacificatrice: uno è lo sforzo immediato di risolvere senza violenza i conflitti, vale a dire di eludere le guerre; l’altro è lo sforzo prolungato di costruire stabilmente la pace tra gli uomini.

Ora evitare i conflitti è opera della politica: costruire la pace è opera dell’educazione’. E questo è l’investimento necessario per una pace preventiva, individuale e collettiva”.

Ed ha raccontato la sua sfida di educazione alla pace quando con la Comunità di Sant’Egidio è stato in Africa per cercare una risoluzione ai conflitti in Mozambico ed in Burundi: “Per raggiungere la pace occorre far evolvere le parti in lotta, uscendo progressivamente da una mentalità militare per abbracciare una mentalità politica, con un linguaggio proprio, credibile, convincente.

Occorre accompagnare la trasformazione della visione dell’altro, da nemico ad avversario con cui discutere e anche contrapporsi, imparando a conviverci, ad ammetterne l’esistenza, fino a costruire una convivenza civile costruita per far convivere le differenze, non per annullarle.

Questo lavoro per così dire pedagogico è stato per me una sfida che mi sono trovato a vivere sia in Mozambico che in Burundi, 16 anni di guerra civile e un milione di vittime nel primo paese e un genocidio nel secondo, anche se più piccolo: e in quest’ultimo Paese ho potuto fare questo lavoro di educazione e costruzione della pace al fianco di quel grande uomo di pace che l’aveva vista e coltivata nell’inferno del carcere che è stato Nelson Mandela”.

Occorre alimentare un linguaggio di pace, perché la guerra si nutre di pregiudizi: “Serviva passare dal linguaggio della violenza, della propaganda, della criminalizzazione, della giustizia di parte, della deformazione dell’altro, al linguaggio del dialogo, della politica. Perché in sostanza l’alternativa alla guerra è la politica, non la soppressione dei contrasti schiacciando l’altro.

E’ la loro composizione attraverso il dialogo. Non c’è pace senza politica. Solo la politica crea un quadro comune, allontana ciò che divide e trova ciò che unisce, rende più umani. E la politica sa e può usare la diplomazia e anche i tanti modi per preparare il terreno, creare l’ambiente favorevole, maturare le convergenze che permettono la pace”.

L’appello del presidente della Cei è un invito a schierarsi per la pace: “Non neutrali, ma schierati per la pace! Abbiamo bisogno di profeti e di politici di pace, capaci di tradurre l’aspirazione in architettura e prassi di pace. È una sfida attuale: affermare e praticare i diritti delle persone e dei popoli, dei più deboli, di chi è scartato, e del creato, nostra casa comune.

In simili discorsi si formava la coscienza democratica italiana. Guai quando questi diventano solo enunciazioni vuote, traditi, da chi dovrebbe difenderli sempre e per tutti perché li piega all’interesse contingente o li sospende quando impediscono scelte e decisioni che li contraddicono. La guerra veniva compresa come un male in sé stesso. Un male per i vinti ma anche per i vincitori. Nessuno vince con la guerra”.

Riprendendo alcune sollecitazioni di papa Francesco durante la visita compiuta a Bologna nel 2017 il card. Zuppi ha sottolineato la necessità di un diritto alla speranza: “Il diritto alla speranza presuppone una coscienza, una morale, una capacità critica, una fede, tutti elementi così diversi dall’appiattimento sulle cattive notizie, sulle fake news, sul gossip, su populismi irresponsabili.

La speranza perché sia vera deve essere coltivata dall’educazione, dalla conoscenza e si deve misurare con le prove della vita. Viene prodotta, sostiene san Paolo nella Lettera ai Romani, dalla pazienza nella tribolazione e, aggiungerei più modestamente, dal senso di responsabilità per la casa comune”.

Ed ha concluso fornendo una precisa indicazione per una cultura della pace: “Questa, infatti, deve radicarsi in una cultura dell’alterità, che faccia della comprensione umana dell’altro, dei tanti altri a contatto dei quali, non sempre in modo immediatamente pacifico, le donne e gli uomini del nostro tempo sono costantemente proiettati…

Per questo ci vuole empatia, ma ci vuole anche cultura, cioè conoscenza dell’altro, ci vuole un recupero della missione nobile e allo stesso tempo vitale che l’educazione svolge nella società dalla scuola all’università. Educare alla pace è quindi aprire le menti e i cuori all’incontro con l’altro, al dialogo, alla relazione che è fatta di comprensione”.

(Foto: RomaTre)

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