Settantunesimo giorno del #ArtsakhBlockade. André Manoukian: immaginate l’indignazione mondiale per 120.000 cani isolati su un’isola, ma per gli Armeni niente

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 20.02.2023 – Vik van Brantegem] – «[La Security Conference 2023 di] München è passato e… non è successo niente per i 120.000 Armeni dell’Artsakh bloccati, rinchiusi nel proprio Paese ormai da 70 giorni dagli Azeri. Nessuna iniziativa umanitaria, poche dichiarazioni, niente di concreto. Il mondo tace, non gli importa. Vergogna» (Jean-Christophe Buisson, Vicedirettore Le Figaro Magazine).

Il Portavoce del Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Lusine Avanesyan, in risposta alla richiesta dell’Artsakhpress di commentare le dichiarazioni del Presidente dell’Azerbajgian in riferimento al Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, Ruben Vardanyan, ha dichiarato: «L’Artsakh è la patria di tutti gli Armeni, indipendentemente dal loro luogo di nascita. Pertanto, ogni Armeno è libero di venire in patria e svolgere qui attività legali. Il Presidente dell’Azerbajgian, ragionevolmente sospettato di aver commesso o guidato numerosi crimini di guerra, corruzione e altri crimini, che attualmente sta guidando direttamente l’operazione terroristica del blocco di 120mila Armeni, parlando ancora una volta a München della rimozione di Ruben Vardanyan dall’Artsakh, sta cercando di legittimare il crimine di isolamento dell’Artsakh dall’Armenia e dal mondo intero».

«La crisi umanitaria nell’Artsakh permane mentre le difficoltà all’interno dell’Artsakh continuano ad aumentare. Il governo dell’Artsakh ha deciso di espandere ulteriormente l’uso dei tagliandi alimentari per includere nuovi alimenti e prodotti essenziali. Secondo l’Artsakh Information Center, quattro bambini e nove adulti sono ricoverati in unità di terapia intensiva. Durante il blocco sono nati 267 bambini. Circa 670 persone sono state private delle cure mediche necessarie. 105 pazienti sono stati trasferiti dall’Artsakh in Armenia per ricevere adeguate cure mediche con l’aiuto del Comitato Internazionale della Croce Rossa. 755 imprese hanno sospeso la propria attività a causa delle condizioni operative estremamente difficili. Almeno 5.100 persone hanno perso lavoro e fonti di reddito. Se questa non è una crisi umanitaria, non so cosa lo sia» (Varak Ghazarian – Medium.com, 19 febbraio 2023Nostra traduzione italiana dall’inglese).

Սուգը հավերժ է, եթե չկա պայքար
Il lutto è eterno, se non c’è lotta
20 febbraio 1988-2023

Oggi, 20 febbraio è la Giornata della Rinascita dell’Artsakh. Esattamente 35 anni fa, il 20 febbraio 1988, la piazza di Stepanakert riecheggiava delle voci di decine di migliaia di manifestanti. Su richiesta della popolazione fu convocata una riunione di emergenza del Consiglio regionale del Nagorno-Karabakh. Nella tarda serata dello stesso giorno, i Deputati del Popolo hanno adottato la storica decisione sul ritiro della Regione Autonoma dalla Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbajgian. Gli Armeni dell’Artsakh, che si trovano da oltre due mesi sotto assedio, hanno celebrato l’anniversario del Movimento dell’Artsakh (conosciuto anche come Movimento del Karabakh).

«Anche se oggi è il 71° giorno del #ArtsakhBlockade, la nostra generazione più giovane celebra il 35° anniversario del Movimento dell’Artsakh, la nostra lotta per vivere liberamente e indipendentemente, con una danza nazionale tradizionale» (Siranush Sargsyan, giornalista freelance a Stepanakert).

Video di Marut Vanian, giornalista freelance a Stepanakert.

«La gente si è radunata oggi a Stepanakert per celebrare il Giorno della Rinascita, una celebrazione della decisione del 1988 delle autorità della regione di unificarsi con l’Armenia sovietica. L’unica strada che collega la regione all’Armenia è bloccata da oltre due mesi» (Open Caucasus Media).

ll Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno Karabakh Arayik Harutyunyan, il Ministro di Stato Ruben Vardanyan e il Presidente del Parlamento Artur Tovmasyan hanno visitato il Memoriale di Stepanakert per rendere omaggio alla memoria degli eroi caduti in occasione del 35° anniversario del Movimento dell’Artsakh, accompagnati da altri funzionari governativi.

In occasione del 35° anniversario del Movimento dell’Artsakh, il Ministro degli Esteri della Repubblica dei Artsakh, Sergey Ghazaryan, che è nella Repubblica d’Armenia a causa del blocco in corso, ha visitato il pantheon militare Yerablur e a nome del popolo e le autorità dell’Artsakh hanno deposto una corona in memoria di coloro che hanno dato la vita per l’indipendenza e la libertà della Patria durante la Lotta di Liberazione Nazionale dell’Artsakh. Dal 12 al 16 febbraio 2023 Ghazaryan è stato in visita di lavoro nella Federazione Russa, ha dichiarato il ministero degli Esteri dell’Artsakh in un comunicato stampa. Nel corso della visita, il Ministro degli Esteri dell’Artsakh ha avuto incontri con ambienti pubblici, politici ed esperti, nonché rappresentanti della comunità armena. Ghazaryan si trovava in Armenia quando è iniziato il blocco del Corridoio il Lachin il 12 dicembre 2022.

Il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, in occasione del 35° anniversario del Movimento dell’Artsakh, ha rilasciato una dichiarazione che riportiamo di seguito nella nostra traduzione italiana:
«35 anni fa in questi giorni nasceva il Movimento del Karabakh. Le proteste spontanee e di massa iniziate dal 20 febbraio 1988 rimarranno nella storia armena come il simbolo del risveglio nazionale, dell’unità e della lotta di liberazione.
Il Movimento è diventato il primo passo nella restaurazione della nostra statualità, attraverso la quale abbiamo riacquistato la determinazione a vivere liberamente e in modo indipendente, a costruire il nostro destino ed essere responsabili del nostro futuro.
Il Movimento del Karabakh per gli Artsakhiani è iniziato per proteggere i loro diritti ed esprimere il loro diritto e volontà di vivere una vita dignitosa sulla propria terra.
A distanza di 35 anni, gli Armeni del Nagorno-Karabakh affrontano ancora le sfide più serie. Sotto il blocco, i nostri compatrioti oggi sono nuovamente costretti a esprimere la loro volontà di proteggere i loro diritti e la loro sicurezza. Come ho detto più volte, queste azioni dell’Azerbajgian hanno un obiettivo: spezzare la volontà della popolazione del Nagorno-Karabakh di vivere nella propria patria, che, tuttavia, sono convinto sia indistruttibile e incrollabile.
Cari compatrioti.
Continuiamo a moltiplicare i nostri sforzi per focalizzare l’attenzione internazionale sulla crisi umanitaria in Nagorno-Karabakh, perché solo l’incrollabile attività della comunità internazionale è l’opzione per sopprimere l’aggressività e la condotta provocatoria dell’Azerbajgian, per la completa attuazione dei suo obblighi previsti dalla Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 e lo sblocco del Corridoio di Lachin.
Allo stesso tempo, continueremo i nostri passi coerenti diretti a risolvere i problemi socio-economici degli Armeni dell’Artsakh, superare le sfide alla sicurezza e lo sviluppo di meccanismi per la protezione dei diritti e la sicurezza degli Armeni dell’Artsakh. L’attuazione di questi obiettivi richiede un lavoro disinteressato e dobbiamo essere risoluti in questo lavoro.
Cari Artsakhiani.
Siate forti e indistruttibili per il bene di una vita pacifica e sicura nella vostra patria. Di fronte alle nuove sfide globali e regionali, dobbiamo concentrare i nostri sforzi sulla realizzazione dell’agenda di pace, tanto quanto ci rendiamo conto delle difficoltà e dei problemi che ci attendono su questa strada. In generale, l’obiettivo sostanziale del Movimento del Karabakh era la vita pacifica, dignitosa e sicura, e dobbiamo dirigerci verso questo obiettivo».

Se non fosse stato per il Movimento, avremmo perso non solo l’Artsakh, ma anche l’Armenia, ha detto il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, Ruben Vardanyan, in occasione del 35° anniversario del Movimento dell’Artsakh.
«La conservazione dell’Artsakh e la sensazione di vittoria nella prima guerra dell’Artsakh ci hanno dato grande forza e fiducia, perché siamo riusciti a rendere possibile quella vittoria, che a molti sembrava impossibile. Grazie al movimento, ci siamo resi conto che possiamo prevenire la catastrofe di perdere la nostra patria attraverso la lotta», ha detto Vardanyan.
«Il popolo dell’Artsakh continua a lottare per il diritto a vivere una vita libera, indipendente e dignitosa, in modo che la minaccia della pulizia etnica e della deportazione dalla patria non incomba sulle nostre teste. In risposta a ciò, abbiamo subito guerre, perdite di vite umane e prove difficili dal vicino Azerbajgian, che continuano sotto forma del blocco di oggi e delle difficoltà che ci vengono imposte», ha affermato il Ministro di Stato dell’Artsakh.
«Nonostante tutte le prove, la nostra volontà di mantenere l’Artsakh armeno rimane irremovibile. Tutti coloro che discutono e cercano di decidere il destino dell’Artsakh senza di noi, non capiscono che abbiamo preso in mano il nostro destino in questo giorno 35 anni fa. Abbiamo pagato un prezzo molto alto per quella decisione. Molti dei nostri eroi hanno dato la vita per mantenere questa terra armena, perché hanno compreso l’eccezionale importanza dell’Artsakh per la conservazione dello stato armeno e del mondo armeno», ha continuato.
«Durante questi 100 giorni del mio mandato come Ministro di Stato e in una situazione di pesante assedio, ho visto di persona la forza straordinariamente potente del popolo dell’Artsakh e mi sono reso conto che otteniamo quella forza dalla terra in cui viviamo, dove ci sono le radici della nostra identità nazionale. Ho sentito la profondità delle nostre radici e quel potere unico che ne deriva», ha detto Vardanyan.
«E ora dico con sicurezza, che anche se ci vorranno altri 35 anni per raggiungere il nostro obiettivo, niente dovrebbe fermarci, deluderci o allontanarci dal nostro obiettivo. Abbiamo abbastanza volontà e tenacia per raggiungere il nostro obiettivo e nessuno può togliercela», ha concluso il Ministro di Stato dell’Artsakh.

Un filmato postato sul canale Telegram della Comunità Russa nel Nagorno-Karabakh [QUI] mostra i membri delle famiglie delle forze di mantenimento della pace russe nel Nagorno-Karabakh che si recano alla Divina Liturgia domenicale nella chiesa ortodossa costruita nel quartier generale del contingente russo. Apparentemente non tutti i cittadini russi sono stati evacuati dal territorio bloccato. Nel post si legge: «BUONA DOMENICA MATTINA ORTODOSSI! CRISTO IN MEZZO A NOI! Parrocchiani della Chiesa della Natività di Cristo in Nagorno-Karabakh». Secondo il canale Telegram della Comunità Russa nel Nagorno-Karabakh, «i membri della comunità russa sono: cittadini della Federazione Russa, slavi e parrocchiani della Chiesa ortodossa russa che vivono nell’Nagorno-Karabakh. Numero – più di 4.000 persone. Nel 2021, per la prima volta in cento anni, è stata eretta una chiesa ortodossa nella terra del Karabakh».

«E cosa fanno gli “eco-attivisti” dell’Azerbajgian nel loro tempo “libero” dalla partecipazione alla pulizia etnica? Lavorano come neonazisti filo-turchi al soldo del governo di Ilham Aliyev» (David Galstyan). Seguono una serie di foto e commenti di Karabakh Records:
«Sono passati 71 giorni da quando i cosiddetti “eco-attivisti” dell’Azerbaigian hanno chiuso la strada della vita Stepanakert-Goris. In questa occasione condividiamo alcune immagini di “eco-attivisti” sostenuti dal governo che mostrano il segno dei neonazisti Lupi Grigi.

Cominciamo dai giovani. Questo è il “Ambasciatore di pace globale” dell’Azerbajgian. Ovunque e in qualsiasi momento è pronto a dimostrare di essere l’orgoglioso neonazista dell’Azerbaigian della Generazione Z.

Ecco uno dei più stretti collaboratori del “Ambasciatore di pace globale” dell’Azerbajgian. Prende esempio anche dal suo amico più “esperto”.

Qui le ragazze sono con İsmayıl Balcanov che rappresenta una delle agenzie di stampa del regime del Presidente azero. Rappresentano anche la parte neonazista e razzista dell’Azerbajgian.

Un altro esempio di un “giornalista” e un “eco-attivista”. Entrambi lavorano per la dittatura del Presidente azero. Nella descrizione Selcuq Elcin ha affermato che “per ora sta prendendo il posto del suo collega”.

L’esperto giornalista Hafiz Heydarov ha partecipato all’#ArtsakhBlockade. Ama il segno dei Lupi Grigi.

Sembra che Hafiz sia venuto a Shushi prima che iniziasse il vero e proprio blocco. Questa foto l’ha postata il 7 dicembre 2022 sul suo account Instagram».

Non viene imposto nessun limite al comportamento improprio del dittatore Ilham Aliyev dell’Azerbajgian, altamente corrotto, incolpa gli altri per la propria bassezza. “Ho iniziato una guerra di aggressione e i miei soldati hanno giustiziato i prigionieri di guerra armeni davanti alle telecamere e hanno mutilato donne soldato armene. E mi inviti ancora a parlare di sicurezza nel Caucaso meridionale?! Carino!”

Sui passi di Anouch

«Metti 120.000 cani su un’isola e tagliali fuori da tutto, guarda che tipo di indignazione mondiale creerebbero varie organizzazioni per i diritti, ma per gli Armeni niente!”: parole tragicamente vere del musicista franco-armeno André Manoukian, sabato scorso nella trasmissione Quelle Époque! su France 2. “Tutto il mondo ha partecipato al genocidio armeno”, ha detto ed evoca un’altra terribile notizia che sta vivendo l’Armenia: il suo conflitto con l’Azerbajgian.

André Manoukian ha ricordato anche il ruolo di complice che la Germania ha svolto nel genocidio armeno e come la tedesca Ursula von der Leyen sia attualmente complice del #ArtsakhBlockade a causa dei suoi accordi sul gas con l’Azerbajgian.

È con un album molto personale che André Manoukian si rivela per la prima volta e in musica sulle sue origini, la sua storia; mescolando le sue radici e la loro memoria con ciò che lo spinge oggi, creando così un album maestoso, solare e accessibile, intessuto di melodie malinconiche, in omaggio a sua nonna.

“Anouch ha ispirato la canzone che dà il titolo all’album. È una passeggiata. E va bene, Anouch era un’escursionista. Anouch era mia nonna. Nel 1915 percorse a piedi 1000 km da Amasya a Deir es-Zor. Se è sopravvissuta è perché aveva la bocca larga e sapeva come commuovere il comandante turco del convoglio che l’ha deportata. Anouch, in armeno, significa dolce, zuccherato. Bene, la musica è sacra e… zuccherata” (André Manoukian).

Nel 1915 vide morire i suoi genitori, uccisi dai soldati ottomani, poi i suoi figli, e attraversò il deserto siriano in una marcia forzata per mille chilometri con le sue sorelle. Anouch era la nonna armena di André Manoukian, che con questo album le rende un commovente omaggio. Il brano Anouch è una ballata malinconica, perché, cinque anni dopo Apatride, un album di riconnessione con l’Oriente dei suoi antenati, questa nuova avventura suona meno come un invito a viaggiare verso il paradiso perduto e a lungo nascosto, e più come il ripercorrere tutto ciò che compone l’identità del musicista, dal jazz alla musica classica, dal flamenco al folklore armeno. Tra motivi sufi, rondò barocco “turco”, ritornello di Schubert con accenti andalusi e un cenno alla Marcia turca di Mozart nello struggente pezzo finale (The Walk), Manoukian è il narratore di una transumanza familiare (i campi di Deir ez-Zor, Bulgaria, Smirne, Lione) intessuta di inebrianti melodie e soffici arabeschi, che parlano del dolore del lutto e della gioia della rinascita. Un duduk armeno, tablas indiane e un coro di voci femminili (Les Balkanes, La Chica) lo accompagnano in questa partitura onirica.

Con “Anouch”, André Manoukian si riconnette con le sue radici armene
Con la sua ultima produzione discografica, il musicista André Manoukian, che tanto ama trasmettere e far scoprire, si riconcilia con la sua storia raccontando quella di Haïganouch, sua nonna, di cui ha scoperto il destino, legata alla tragedia armena dell’inizio del secolo scorso
di Anne Berthod
La Vie, 1° dicembre 2022

(Nostra traduzione dal francese)

Conoscevamo il pianista e compositore di jazz, pronto a suonare i teneri accompagnamenti per le voci femminili più soavi. Ma anche il cronista radiofonico illuminato (Sur les route de la musique, France Inter), il benevolo giurato di talent show, il presentatore tele-pedagogico (The Secret Life of Songs, France 3) o anche il patron del festival, co-creatore di Cosmojazz a Chamonix (Alta Savoia).

Conosciamo ora André Manoukian l’Armeno, un figlio della diaspora che si è ricollegato alle sue radici in tarda età e ha iniziato a rivelare le sfaccettature di una storia familiare disseminata di drammi ed esodi. Cinque anni dopo Apatride, il musicista 65enne dedica così Anouch, l’album più intimo della sua discografia, alla sua nonna armena, Haïganouch, che è stata l’eroina di un’epopea di cui ha a lungo ignorato tutto.

“Uno sguardo un po’ triste”

“Nelle feste di famiglia, mio padre raccontava soprattutto la storia degli uomini, e in particolare quella di mio nonno: fu arruolato dall’esercito ottomano per combattere i Russi nel 1914, fatto prigioniero, deportato in Siberia, poi fuggì in Cina, fu ripreso, è fuggito di nuovo, prima di ricongiungersi alla moglie in Bulgaria”. Di questo patriarca dall’aura travolgente, assente da casa per anni – fu nuovamente mobilitato durante il conflitto greco-turco – André Manoukian conosce a memoria l’odissea.

Suo padre, Arthur Manoukian, nato a Smirne nel 1920, gli diede addirittura il nome di battesimo, Antranig (André in armeno). Mentre di sua nonna, la discreta Haïganouch, che parlava solo armeno, ricorda soprattutto “lo sguardo un po’ triste, che a volte si perdeva lontano…”

“Ci ha cresciuti, mia sorella e me, senza mai evocare la sua vita del passato”, spiega il musicista. Va detto che a Lione, dove la famiglia Manoukian è finita dopo la Seconda Guerra Mondiale al termine di una lunga transumanza, non si vive nella nostalgia del passato.

Nel grande bagno del classico

“È stato solo negli anni ’80 che è diventato di moda fissare le sue origini come gioiello esotico. Mio padre voleva integrarsi e smettere di ascoltare le storie di massacri e orrori che lo avevano traumatizzato in gioventù. Voleva educarci in un’altra forma di umanesimo, rifiutando ogni forma di comunitarismo e donandoci il gusto della musica, della filosofia e delle montagne”.

Alla scuola armena, il piccolo André ha imparato a suonare il pianoforte e si è immerso con gioia nel grande bagno della musica classica. La sua infanzia è stata scandita dalle Invenzioni di Bach che suo padre, sarto di professione e pianista dilettante, suonava ogni sera al suo ritorno dal negozio. Da adolescente frequenta il negozio di dischi del quartiere, scopre, affascinato, il ragtime di Fats Waller, il jazz in fusione di Chick Corea, il rock progressivo di Neil Young.

I suoi studi di medicina sono un modo per procrastinare. “Ho resistito sei mesi, per compiacere mio padre. Quando gli ho detto che avrei smesso per fare il musicista, ha urlato per un’ora, alla maniera di un’imprecazione greca. ‘Finirai per giocare per un panino!’, mi ha predetto”.

Le dita piene di jazz

Il maledetto esce di casa e guadagna per un tempo la pagnotta, vendendo sintetizzatori nei supermercati. A 20 anni si trasferisce negli Stati Uniti, dove entra a far parte del prestigioso Berklee College of Music. Torna, con le dita piene di jazz e la testa piena di composizioni. In uno studio di Grenoble, dove è venuto a registrare il suo primo album, ha anche sperimentato la sua prima cotta vocale: Elisabeth Kontomanou, una jazzista greco-guineana, ha inaugurato una lunga serie di collaborazioni con delle cantanti di ogni estrazione sociale.

I suoi primi successi creati per Liane Foly (sua compagna per 11 anni), come Au fur et à mesure, aprono le porte al jazz francese (Michel Petrucciani, Richard Galliano,…) e alla canzone francese (Mireille Darc, Charles Aznavour, Gilbert Becaud, Diane Dufresne,…).

Negli anni 2000 è diventato una figura nel paesaggio audiovisivo francese (Paf): giurato di Nouvelle Star, cronista in un programma di Marc-Olivier Fogiel, ha persino presentato suo programma, Dédé les doigts de fée, su Paris Première. E poi, un giorno, nel 2007, il regista di un documentario sull’Armenia gli ha commissionato un pezzo tradizionale. “Mi sono reso conto che non conoscevo una sola melodia. Fino ad allora vedevo nella musica armena solo folklore, simile alla cucina di mia nonna: rinvigorente, regressiva, un po’ pesante e troppo dolce, come tutto ciò che veniva dall’oriente”.

Riconciliato dalla musica

Fa delle ricerche su Internet, dove il suo orecchio è attratto dal canto a cappella di una certa Lena Chamamyan. Di origine armena, è nata in Siria e canta melismi orientali, cosa diventata rara da quando gli Armeni, traumatizzati dalla pulizia etnica turca, hanno rimosso ogni influenza ottomana dalla loro musica. “In Grecia, quando suonavamo i quarti di tono, ci andava pure in prigione a metà del XX secolo!”

L’incontro con Léna Chamamyan, che sarà la voce del documentario, gli rivela un patrimonio di cui non sospettava l’esistenza, come il celebre repertorio del monaco musicista Komitas (1869-1935): “Una specie di Erik Satie armeno, i cui modi orientali, in sintonia con il jazz, mi hanno offerto un nuovo terreno di manovra”.

Haïganouch e suo marito, Antranig. Da lui, André Manoukian ha ereditato il nome.

Vittima di raid genocidi

Colui che aveva celato l’eredità del paradiso perduto si riconcilierà anche, attraverso la musica, con la sua storia. Quella di Haïganouch, sua nonna silenziosa, tiene su un foglio di carta, “due pagine annerite di mia zia che riassumono il suo calvario, che mio padre mi fece leggere un giorno”. Perché Haïganouch, il cui marito languiva in Siberia nel 1915, non sfuggì alle incursioni del genocidio.

Suoi genitori, dei Cristiani che si erano rifiutati di convertirsi all’Islam come consigliato dai loro vicini, furono uccisi davanti ai suoi occhi dai soldati ottomani nella loro città di Amasya, nell’attuale Turchia settentrionale. Senza aver potuto seppellirli, la giovane ventenne è stata imbarcata, con le sue sette sorelle minori, per una marcia forzata di 1000 km attraverso il deserto fino al campo di Deir ez-Zor, in Siria. I suoi due figli piccoli morirono di fame, ma lei salvò le sue sorelle.

Un’eroina discreta

“Aveva delle risorse, spiega André Manoukian. Per allontanarli dai Curdi che praticavano lo stupro, ad esempio, ha avuto l’idea di cospargerli di fango in faccia. Un’altra volta ha simulato la pazzia. Alla fine della guerra, Haiganouch trovò rifugio in Bulgaria. Alcuni anni dopo, Antranig e lei si stabilirono a Smirne. Sono nati due bambini, poi il marito ha ripreso le armi. Durante il grande incendio della città nel 1922, lei sola, ancora una volta, sgomberò la sua famiglia, andando a convincere un soldato del porto a farli salire su una barca.

“In realtà, era lei, l’eroina del clan!“, si realizza oggi André Manoukian. Intessuto di melodie malinconiche e morbidi arabeschi, il suo album è l’omaggio più commovente. Les Balkanes, cantanti bulgari che lo accompagnano regolarmente in tournée, lo accompagnano in questa partitura onirica, ossessionata dagli struggenti turbinii del duduk.

Tra folklore e jazz, palmas andaluse e un cenno alla Marcia turca di Mozart nell’allegorico brano conclusivo (The Walk), il loquace e romantico pianista ricompone anche ciò che costituisce la sua identità: un modo di stare al mondo, l’Armenia nel cuore e l’ispirazione in partenza, che parla del dolore del lutto e della felicità della rinascita.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

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