Papa Francesco invita a fare rete per la cura del prossimo

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In occasione della Giornata mondiale del Malato, che si celebra oggi, nei giorni scorsi papa Francesco ha ricevuto in udienza una delegazione di esponenti dell’Area Medica dell’Ufficio di Pastorale Sanitaria della diocesi di Roma, richiamando la figura evangelica del ‘buon samaritano’, al centro del suo messaggio, che invita ad avere cura:

“Sono le parole che, nel Vangelo di Luca, il buon samaritano rivolge all’albergatore, al quale affida l’uomo ferito che lui stesso ha soccorso. Ripensiamo a questa scena: c’è un uomo che è stato aggredito dai briganti e giace sul bordo della strada; l’indifferenza e l’insensibilità dei passanti lo rendono un escluso, uno ignorato. A un certo punto uno si ferma e lo soccorre: è un samaritano.

A ben vedere, sia l’uomo aggredito sia il samaritano portano delle ferite: il primo ha quelle prodotte dalla violenza di chi lo ha derubato, il secondo ha quelle inferte dagli occhi sprezzanti di chi in lui vede solo uno straniero indesiderato. Eppure, grazie alla sensibilità di chi soffre per chi soffre, dal loro incontro nasce una storia di solidarietà e di speranza che abbatte i muri dell’isolamento e della paura”.

Parlando ai direttori dei 13 grandi ospedali romani ed ad alcuni medici, il papa ha proposto tre ‘atteggiamenti’ del cammino di cura: “La vostra opera, cari amici, è nata grazie a questa dinamica: dall’aver saputo trasformare l’esperienza della sofferenza in vicinanza al dolore degli altri, superando la tentazione della chiusura, rialzando il capo, piegando le ginocchia e tendendo le mani.

Con voi vorrei dunque sottolineare, alla luce della Parola di Dio, tre atteggiamenti importanti di questo cammino: primo, farsi vicini a chi soffre; secondo, dare voce alle sofferenze inascoltate; terzo, farsi fermento coinvolgente di carità”.

Inoltre ha ribadito l’importanza della prossimità: “Ricordiamo prima di tutto quanto è importante farsi vicini a chi soffre, offrendo ascolto, amore e accoglienza. Ma per far questo bisogna imparare a vedere, nel dolore del fratello, un ‘segnale di precedenza’, che in fondo al cuore ci impone di fermarci e non ci permette di andare oltre.

Questa è una sensibilità che aumenta quanto più ci lasciamo coinvolgere dall’incontro con chi soffre. E camminare insieme così aiuta tutti noi a cogliere il senso più vero della vita, che è l’amore”.

Il messaggio del papa è un invito a fare ‘rete’: “Semplicemente condividendo uno stile di gratuità e di reciprocità, perché tutti siamo bisognosi e tutti possiamo donare e ricevere qualcosa, anche solo un sorriso.

E questo fa crescere attorno a noi una ‘rete’ che non cattura ma libera, una rete fatta di mani che si stringono, di braccia che lavorano insieme, di cuori che si uniscono nella preghiera e nella compassione. Anche in mezzo alle onde più violente, questa rete si allarga ma non si spezza, e permette di trascinare a riva chi rischia di rimanere sommerso e di affogare”.

E ‘fare rete’ significa prendere l’iniziativa: “E non dimentichiamo che l’esempio di chi prende l’iniziativa aiuta anche altri a trovare il coraggio di lasciarsi coinvolgere, come dimostra la vostra presenza qui: malati, operatori sanitari e appartenenti al mondo dello sport, uniti in un impegno comune per il bene delle persone.

Fare rete è operare insieme come membra di un corpo. La sofferenza di uno diventa sofferenza di tutti, e il contributo di ciascuno è accolto da tutti come una benedizione”.

Infine ha rivolto una parola di incoraggiamento, fissando lo sguardo in un volto: “E se incontrate ostacoli o incomprensioni, guardate negli occhi il fratello, la sorella sofferente e ricordate le parole del buon samaritano: ‘Abbi cura di lui’.

In quel volto è Gesù stesso che vi guarda, Lui che ha voluto condividere la nostra debolezza, la nostra fragilità fino a morire per noi e che, risorto, non ci abbandona mai! E’ in Lui che noi troviamo la forza per non arrenderci, neanche nei momenti più difficili”.

Precedentemente papa Francesco aveva incontrato i membri dell’Associazione Sportiva Dilettantistica ‘Sport in Vaticano’, in occasione dei 50 anni della fondazione, suggerendo tre parole chiave (allenamento, disciplina e motivazione):

“Il pensiero va subito alla fatica (allenarsi è fatica), al sudore, al sacrificio. Alla base di questo c’è la passione per il proprio sport… E se c’è questo atteggiamento la competizione è sana; altrimenti, se prevalgono gli interessi di vario tipo, la competizione si guasta, a volte può addirittura corrompersi. L’amatorialità è decisiva nello sport!”

Per questo è necessaria la disciplina: “C’è poi la disciplina, che è un aspetto dell’educazione, della formazione. Un atleta disciplinato non è solo uno che osserva le regole. Certo, questo è importante, dev’esserci. Ma disciplina richiama ‘discepolo’, cioè uno che vuole imparare, che non si sente ‘arrivato’ e in grado di insegnare a tutti.

Il vero sportivo cerca sempre di imparare, di crescere, di migliorarsi. E questo richiede, appunto, disciplina, cioè la capacità di dominare sé stessi, correggere l’impulsività che tutti abbiamo, più o meno. La disciplina poi permette che ognuno possa giocare la sua parte, e che la squadra esprima il meglio dell’insieme”.

Infine, la motivazione, come scrive san Paolo al termine della sua missione: “E’ il suggello perfetto dell’adesione alla chiamata, anche per uno sportivo. In una gara, ciò che dà la spinta, che porta a un buon risultato, è la motivazione, cioè una forza interiore. La verifica non si fa sul risultato numerico, ma su come siamo stati fedeli e coerenti alla nostra chiamata”.

(Foto: Santa Sede)

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