I pirati del web sono stati scatenati

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 07.02.2023 – Renato Farina] – La Russia sta aggredendo con i suoi pirati cibernetici (i famosi hacker) il nemico dovunque si trovi. Tutto fa pensare che si sia solo all’inizio di una specie di disperata offensiva delle Ardenne. Speriamo che fallisca come quella della Germania nazista del 1944. Intanto tocca leccarci le ferite.

Il fatto è che il nemico stavolta siamo (anche) noi, e all’Italia tocca la parte del tenero fianco da trafiggere, bersaglio insieme con quegli Stati dell’Occidente che più si sono impegnati nel sostegno all’Ucraina con armi e bagagli umanitari. Insomma, sta accadendo quello che tutti prevedevano, ma nessuno pare si aspettasse. C’era stata l’avvisaglia dell’attacco informatico all’Acea (azienda energetica di Roma), in estate per 47 giorni Torino e il Piemonte hanno dovuto arrangiarsi negli ospedali e negli ambulatori con il sistema dei foglietti volanti e il caos delle prenotazioni (settore Sanità); in primavera era toccato alle Ferrovie, con biglietterie fuori uso (trasporti). Era stato un carotaggio per studiarci. Così è accaduto altrove, Usa, Canada e Francia. Un asse strategico per volta. Mancavano le telecomunicazioni? Ed ecco ieri l’arrembaggio piratesco contro Tim-Telecom. Per ora a non essere stato aggredito è stato il sistema finanziario.
Sono interdipendenti questi 5 settori. Colpire uno, significa azzoppare gli altri. Ma si sopravvive e si cammina, magari con la stampella. Ma quelli iniziati ieri sono stati uno sciame da Armageddon, una grandinata totalitaria dinanzi a cui la Nato non è stata in grado di aprire un ombrello decente per ripararci. L’alleanza ha colpevolmente latitato. E così ogni Paese ha fatto da sé, come con le forniture di gas: ciascuno si arrangi. Ci viene da dire con un certo nervoso sarcasmo: grazie America per il gas e anche per la sicurezza digitale; e dire che ci meriteremmo almeno in quest’ultimo ambito un po’ di riconoscenza: nel 2001 fu il generale della Guardia di Finanza Umberto Rapetto con la sua quadra di giovani smanettatori, che per giorni neppure si alzavano per andare in bagno, a sgominare la banda penetrata nelle viscere informatiche del Pentagono. Abbandonati dagli Usa. Così c’è chi ieri ha potuto proteggersi tanto, chi poco, chi niente.

Settore trascurato

In questa guerra elettronica l’Italia e la sua agenzia per la cybersicurezza (Acn), come i fanti che dovevano spezzare le reni alla Grecia, ha affrontato l’Invincibile Armata Putiniana di Pirati calzando scarpe di cartone, anzi di cartavelina. Per troppo tempo il settore è stato trascurato. E questo nuovo apparato di intelligence cui ha dato il via Mario Draghi è stato più reclamizzato che messo in condizione di essere efficace. L’Agenzia è stata più protesa al futuribile, a lanciare allarmi e poi a constatare i danni, invece che individuare e prevenire le tecniche dei sabotatori.

Una colpa è stata anche quella di considerare “reduci”, scartandoli come ferraglia arrugginita i pionieri e la loro scuola sbrindellata ma simmetrica allo stile dei filibustieri. Il governo, Giorgia Meloni con Alfredo Mantovano in prima linea, ci sta mettendo la faccia. Ma non si possono fare le nozze con i fichi secchi. Gli Usa nel settore della cyber-war hanno investito centinaia di miliardi di dollari, da noi poche centinaia di milioni d’euro. Forse un millesimo degli americani. Un’inezia bastevole per munirci di spada di latta, inutile o quasi contro Gozzilla, nonostante sforzi encomiabili in unità con la Polizia postale.

Elisabetta I fa cavaliere il corsaro Francis Drake.

Era nota alle intelligence bene attrezzate quel che stava preparando Putin. Nulla di nuovo. Ha copiato la Regina Elisabetta I, che a partire dagli anni ’60 del 500, rilasciò varie “lettere di corsa”, cioè autorizzazioni ad attaccare e depredare le navi di altri Paesi. Allo stesso modo, lo Zar Vladimir ha trasformato la Russia in una Tortuga del terzo millennio. Ha regalato alle bande dei bucanieri di internet l’immunità totale. Un patto: potete fare ciò che volete, nessuno vi toccherà. Ma al mio segnale scatenate l’offensiva apocalittica. Se non per la patria almeno per il bottino, i corsari dei sette mari digitali si sono scatenati in particolare da San Pietroburgo ma non solo. In Italia grazie all’antivirus ideato da un dirigente del Kgb, che ne è proprietario, adottato da tutta la pubblica amministrazione fino a pochi mesi fa, consentendo ai russi una sorta di Tac delle strutture informatiche di tutti e di ciascuno. Agenti russi hanno assoldato con facilità – in deficienza di un controspionaggio penetrante – gente di basso grado nella burocrazia per ottenere i tasselli mancanti.

Siti devastati

Il bollettino diramato dalle autorità in Italia, Francia, Finlandia, Nord-America è quello di una guerra del nuovo tipo, detta ibrida. Non si enumerano morti e feriti, ma sono in accertamento il numero degli snodi elettronici caduti, di incroci telematici dispersi, di archivi di aziende strategiche derubati come Napoleone faceva con i musei degli altri. Il bilancio? Indeterminato. I siti devastati sono centinaia in Italia, migliaia altrove. La domanda è: stiamo reggendo all’ondata cibernetica dei tartari. Per prudenza e ragion di Stato, e tenere aperto l’uscio alla trattativa di pace ormai inderogabile, non si dice chi sia il comandante in capo di questo esercito che a velocità iperbolica attraversa le grandi muraglie difensive dell’Occidente, anche perché ne è sprovvisto.

Speriamo come si diceva una volta nella resistenza, e come si dice adesso nella resilienza, e magari nella scarsa mira o nella corruttibilità degli aggressori. A un brigante, un brigante e mezzo. Constato che sto scrivendo, il computer resta acceso. Se mi state leggendo significa che ho potuto trasmettere l’articolo: è la prova che l’invasione non ha ancora strozzato i gangli vitali su cui ha diretto i suoi panzer quasi metafisici. Partiamo da qui.

Questo articolo è stato pubblicato ieri su Libero Quotidiano .

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