Il Castello di Caronia, complesso monumentale normanno della Sicilia

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 06.02.2023 – Vik van Brantegem] – Il Castello di Caronia è senza dubbio il monumento più importante ed emblematico di Caronia, città messinese sulla costa siciliana tra Capo d’Orlando e Cefalù. Il complesso normanno del XII secolo si erge sulla sommità di un dorso roccioso a circa 350 m.s.l.m. e scosceso su tre lati da dove dominano luoghi di incomparabile bellezza: ad ovest il fiume costeggiato da agrumeti ed attraversato da tre ponti uno dei quali di epoca romana, a nord la costa con lo scenario delle isole Eolie, a sud la visita dell’abitato e sullo sfondo le montagne dei Nebrodi e nel versante est sorge la cittadina di Caronia.

Il Castello di Caronia è un esempio di quelle costruzioni del tipo “palazzo-villa” voluta dai sovrani normanni e costruite impegnando maestranze arabe le quali, introducendo elementi architettonici propri, hanno dato una fisionomia araba a tutte le costruzioni di quel periodo. Il complesso è circondato da mura, poiché i sovrani normanni non dimenticavano mai la necessità di difendersi.

Nel pomeriggio di venerdì 3 febbraio 2023, presso l’Oratorio dei Santi Elena e Costantino a Palermo, sede della Fondazione Federico II, presieduta da Gaetano Galvagno. Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana e guidata dal Direttore Generale, Dott.ssa Patrizia Monterosso, si è tenuta la presentazione dell’opera letteraria di studio e ricerca Architetture Normanne in Sicilia: Il complesso architettonico “Castello di Caronia” del Nob. Prof. Salvatore Bordonali, Cavaliere di Gran Croce di Giustizia, Delegato della Sicilia Occidentale del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. Il volume fa parte di una nuova collana editoriale I focus della Fondazione Federico II, tenuta a battesimo proprio con questo volume di Bordonali.

Il complesso architettonico dedicato ai Santi Elena e Costantino a Palermo venne costruito nel 1587, ma già nel 1700 le fabbriche avevano subito notevoli trasformazioni con l’aggiunta dell’Oratorio del primo piano, famoso per il suo pavimento di maioliche che rappresentano nel riquadro centrale la Battaglia di Costantino (recentemente attribuita alla bottega dei Sarzana, 1760).

All’Oratorio si accede ancora oggi dallo scalone presso il cortile. Dopo il restauro, tutti gli ambienti del primo piano e in particolare il vano oratoriale hanno riacquistato l’antica distribuzione spaziale e ornamentale, la balconata della cantorìa e altri arredi lignei sono conservati musealmente tra i modernissimi arredi che connotano l’aula della ex-chiesa, oggi adibita a sala di eventi, dopo che tutto il complesso, restaurato, ha mutato la sua funzione d’uso divenendo sede della Fondazione Federico II.

A presentare e discutere l’opera di Bordonali i docenti Giovanni Travagliato, Emanuela Garofalo e Antonino Giuffrida e Marco Rosario Nobile (la cui relazione è stata letta, essendo assente perché influenzato). Ha concluso i lavori l’autore con un intervento di cui riportiamo di seguito la sintesi.

Prof. Salvatore Bordonali durante il suo intervento.

«Anzitutto un grazie alla Fondazione Federico II, al suo Presidente e in particolare a Patrizia Monterosso. Siamo stati entrambi di parola! Quando alcuni anni or sono le ho confidato che stavo scrivendo un libro a mio avviso meritevole d’essere pubblicato, Lei mi ha risposto che ne era certa e che sarebbe stata ben lieta di presentarlo nei locali della Fondazione.

Naturalmente un grazie ai relatori qui presenti: Ninni Giuffrida, che tanto tempo fa mi ha aiutato nell’apprendere la paleografia, Marco Rosario Nobile, che ha accolto con entusiasmo la pubblicazione del volume, Emanuela Garofalo per le puntuali affermazioni, e Giovanni Travagliato, che apprezzo da tanto tempo e che suggerisce una diversa dedicazione della Cappella Palatina, a mio avviso ancora non definitiva, tanto che prudentemente ho collocato nelle due absidiole, rispettivamente a destra e sinistra, la Madonna e San Pietro.

Un grazie ancora al pubblico per quantità e qualità intervenuto molto oltre alle mie aspettative: è per me motivo di compiacimento e di riflessione.

Ogni libro porta il nome dell’autore, ma tutti sappiamo quanto questo sia tributario di altri apporti, disseminati nel tempo e i cui nomi ora sfuggono. Ma riferendomi a quelli più vicine desidero esprimere un grazie a Elvira Lima Brodersen per avermi aiutato a rivedere il testo e a Roberto D’Angelo che mi ha permesso d’impostarlo nel modo che vediamo; ma soprattutto a Luisa, mia moglie, che mi ha consentito, quasi senza fiatare, d’inondarle la casa di libri.

Rispondo ora alla domanda che Nobile mi aveva anticipato, quando e come era sorta l’idea di scrivere questo volume. In realtà, non avevo intenzione di scriverlo (anche se Wolfgang Krönig mi disse un giorno che il prossimo sarei stato io a scriverlo, ma non l’ho preso sul serio). Tuttavia ho sempre raccolto il materiale relativo a quel XII secolo in cui la Sicilia era un centro della cultura. Così, in occasione della pandemia ho chiesto a me stesso cosa farne. Seguire l’esempio di Omar XIII (quello che bruciò la biblioteca di Alessandria)?

Mi sono messo a scrivere.

Nel percorso che si andava delineando, ho assunto come punto di partenza il complesso di Caronia già “restaurato”, cioè nello stato in cui lo ha restituito alla collettività Lelio Castro – senza del quale oggi non saremmo qui riuniti -, ripristinando tutto quanto si poteva dello stato originario. Assumendo questo dato come acquisito, mi sono avventurato in una riflessione più ampia, nella ricerca del percorso ideale sotteso nelle realizzazioni architettoniche dei Normanni in Italia e poi in Sicilia. Ho cercato di riguardare i manufatti come se fossero un tipo di scrittura, diciamo degli ideogrammi tridimensionali. Quindi, da considerare sullo stesso piano dei documenti scritti, seppure con i dovuti accorgimenti.

Devo dire, che nel corso dell’iter seguito ho rivalutato il ruolo svolto dalla committenza, ma anche quello delle popolazioni locali, che vi hanno lasciato un segno ben riconoscibile grazie a quella committenza propensa a valorizzarle. Non semplice spirito di conquista. E quando altri distruggevano e cercavano di cancellare i segni del passato, loro, senza alcun pregiudizio di tipo ideologico, studiavano quanto potesse riuscire funzionale all’assetto nuovo che andavano a instaurare e al programma edilizio di ricostruzione su vasta scala: dal piano strategico a quello dell’epifania del potere, che da un canto si legittimava da sé medesimo ma che cercava anche una sponda nelle istituzioni allora esistenti, con l’intuizione di rivolgersi al Papa, non ancora definito dominus mundi ma le cui deliberazioni non era nessuno in grado di riformare.

Una lezione per molti versi attuale, pur nella consapevolezza che gli antichi non ragionavano con la nostra testa e che si deve evitare l’errore di leggere il passato con le categorie del presente; cioè senza il difficile tentativo di contestualizzare soggetti e oggetti.

Tutto questo sta scritto (anche) nelle pietre del complesso di Caronia, nei vari aspetti in cui si articola in fortificazione, palazzo residenziale e cappella.

Il primo quesito che mi sono posto è quello sulla possibilità stessa che un complesso di questo tipo potesse sorgere, con le caratteristiche concettualmente elaborate che presenta, in un luogo tanto decentrato rispetto alla Capitale dell’Isola. Occorreva ricercare un periodo storico e un personaggio adatto a colmare la lacuna. E ho trovato una spiegazione plausibile nell’ipotesi che il committente fosse proprio Ruggero II, attento alle ragioni pratiche e nello stesso tempo predisposto al sincretismo, come dimostra la sua attenzione a preservare l’esistenza di una vasta rete di commerci che faceva capo alla Sicilia islamica e non solo, e al contempo a sperimentare in modo consapevole combinazioni inedite di elementi eterogenei: ma Ruggero è anche quello che aveva vissuto dall’infanzia in quei luoghi, dimora abituale della madre Adelaide del Vasto: esattamente in quel tratto di terra del Valdemone (si tramanda che Ruggero parlasse il greco) che si vede guardando da San Marco d’Alunzio verso il mare: da Capo d’Orlando a Cefalù, e in posizione più arretrata a Caronia, giungendo alla conclusione che la vicinanza non era tanto quella dei luoghi quanto quella sul piano psicologico e personale.

Forse coglie nel vero l’idea che mi sono fatto e che propongo al lettore di un Ruggero, non ancora re, che dall’alto della collina guarda il cantiere della chiesa fortezza di Cefalù in costruzione, dove a un certo punto, avendo acquisito la Corona, trasforma l’edificio in Mausoleo dinastico; e nello stesso tempo, avendo concepito una sua idea di Stato Cristiano, accentrato e in tal senso moderno, decide di trasporre in una cappella appositamente concepita l’ideologia del Regno di Sicilia, della combinazione del Sacrum Palatium di derivazione bizantina inscindibilmente legato a una luogo di culto cristiano, che però è sintesi dei due principali riti allora presenti nel territorio, il greco e il latino. Con l’ulteriore affascinate ipotesi (e qui lo dico solo sottovoce), che a Caronia non si tratta di una replica di un modello già definito ma di un prototipo o, piuttosto d’un esperimento riuscito».

Il complesso architettonico del Castello di Caronia nel Messinese è una della costruzione più importanti dell’architettura normanna della Sicilia, come asserisce autorevolmente Wolfgang Krönig, nel suo volume Il Castello di Caronia in Sicilia. Un complesso normanno del XII secolo” (Edizioni dell’Elefante 1977).

A differenza di tanti altri centri, oggi Caronia possiede un castello integro nelle parti essenziali, la cui mole ancora domina l’abitato sottostante. Questa ricchezza fino al 1965 risultava però deturpata e nascosta, dopo aver seguito le sorti del territorio di Caronia, passando da un proprietario all’altro. Fu interamente restaurato dall’Avvocato Lelio Castro, che lo acquistò nel 1939 dai Principi Pignatelli, gli ultimi feudatari.

La felice intuizione, che sotto le anonime strutture esterne dell’edificio, coperto dagli spessi intonaci che ne rivestivano l’interno, si celasse un nucleo molto più antico, ha guidato la mano di Lelio Castro con grande sensibilità attese alla salvaguardia di questo importante complesso monumentale.

Il Castello di Caronia fu riportato alla luce durante i lavori di restauro, ripristinando le forme originarie del complesso architettonico, che furono iniziato nell’autunno del 1965 e quasi ultimato nel 1970, quando egli è venuto a mancare improvvisamente.

Questo restauro, impresa quasi miracolosa, fa bene intendere la personalità e la sensibilità di Lelio Castro. La sua prematura scomparsa, lo ha privato della possibilità di godere del frutto del suo intenso lavoro e forse ha privato noi di quant’altro avrebbe potuto realizzare.

Con i propri mezzi e senza sostegno economico d’enti pubblici ma con la collaborazione affettuosa di maestranze locali, Lelio Castro ha realizzato la delicata opera di rimozione delle sovrastrutture, affrontando non pochi pericoli dal momento che non era possibile conoscere preventivamente le condizioni di stabilità del manufatto, che si rivelò precario in non pochi punti. Ne è scaturito il risultato che oggi tutti ammiriamo. Dopo una visita al castello, il Prof. Giuseppe Caronia della Facoltà di Architettura dell’Ateneo palermitano così si è espresso: “lavoro condotto con scrupolo scientifico, con passione di storico e con gusto raffinato che onora il Dott. Castro che lo ha voluto e realizzato”.

Durante quegli anni del restauro è stata riportata allo stato originario anche la cappella a tre navate, divise da arcate ogivali su pilastri rettangolari e terminate con absidi semicircolari allineate. La navata centrale è quasi il doppio di quelle laterali. La cappella del Castello di Caronia insieme alla cappella Palatina di Palermo sono le uniche cappelle normanne in Sicilia che presentano tre navate.

Il Castello di Caronia è tuttora abitato dagli eredi di Elio Castro. Essendo proprietà privata, non è aperto al pubblico. Ho avuto il previlegio di poter visitare il complesso e incontrare i proprietari nel 2006, grazie al mio amico vaticanista Nicolò Marinaro, originario e residente a Marina di Caronia, durante uno dei sempre piacevoli soggiorni a casa sua.

Di seguito riporto delle informazioni sul Castello di Caronia, a cura del sito Icastelli.it [QUI].

Il complesso castrale fonda le ragioni della sua collocazione sull’eccezionale valore paesaggistico e strategico di un colle che, scosceso su tre lati, si eleva appena 350 m s.l.m., dista dal litorale poco più di un chilometro, vanta buone potenzialità visive e gode di condizioni climatiche permanentemente miti; solo nel versante orientale, questa cresta digrada più dolcemente prestando la situazione più favorevole al nucleo medievale, ancora fortemente connotato dalla fitta trama del tessuto edilizio e dai tracciati viari che lo innervano adattandosi alle curve di livello e culminando alla fortezza; da quest’ultima si diramavano le mura che circondavano l’insediamento, cortina di cui permane una significativa porta urbica con arcata a sesto acuto. La mole del castello ancora prevarica l’abitato sottostante, malgrado alcune deprecabili soprelevazioni di edifici che si trovano nell’immediato intorno; essa domina sulla vicina fiumara, naturale via di comunicazione verso l’entroterra boschivo, sul probabile sito di Kale Akte, insediamento greco-romano, e su un vasto territorio costiero frequentato da secolari attività marinare; rapporti visivi sicuri potevano intrattenersi con la Croce di Santo Stefano, con i castelli di Motta d’Afferm, Marina di Tusa, Serravalle e San Marco d’Alunzio.

La disposizione d’insieme del complesso segue la sommità triangolare del colle che si rastrema in modo più pronunciato verso ovest. Questa giacitura è stata perimetrata da mura e torri; sul fronte orientale, raggiungibile da via Castello, si apre l’unico accesso con un portale neoclassico sovrapposto all’originaria arcata ogivale e mentre nella parte più meridionale del medesimo fronte svetta la cosiddetta “torre dell’orologio”, all’angolo nord gli alti muraglioni celano una cappella a tre navate, plausibilmente subentrata alle strutture di una seconda torre aggettante rispetto al filo delle mura; tale aggetto odiernamente è stato assorbito dall’avanzamento (5 m ca.) di altri corpi di fabbrica addossati all’originaria cortina.

Di contro, la torre situata al centro del lato settentrionale è la meglio conservata poiché reca tracce di ammorsature murarie, di varchi tompagnati aperti sugli originari camminamenti di ronda e, soprattutto, di tre finestrelle a tutto sesto contornate con mattoni di laterizio, composte in un elegante motivo piramidale che si ritrova solo nella facciata occidentale del palazzo normanno; tratti murari di un’ultima torre rimaneggiata a seguito di consistenti crolli si trovano alla cuspide occidentale; il recinto murario appare sporadicamente rifatto o riparato in età posteriore al XII secolo e nel tratto subito ad ovest della torre settentrionale; fino alla torre occidentale, essendo crollato, è stato riproposto a mo’ di parapetto.

In posizione baricentrica rispetto alla cinta, è situato un edificio normanno a due livelli, avente pianta rettangolare con asse maggiore nord-sud (m 21,80 x 9,35); ai suoi lati sono stati addossati in epoche diverse alcuni avancorpi che rivestono completamente il pianterreno e una piccola parte del piano superiore; essi, con gli ultimi restauri (1965 – 1970) hanno subito una rimodulazione mirata ad evidenziare le fabbriche normanne; l’avancorpo addossato alla facciata orientale è diviso in due piani; quello terreno è attraversato da un andito con volta a botte ogivale, in asse con il portale del nucleo originario; quello superiore è composto da un solo vano, giustapposto all’estremità settentrionale, con un’elegante bifora angolare che alla base del piantone reca l’arme Pignatelli, Signori di Caronia dopo il 1544.

Al pianterreno del medesimo fronte si apre l’accesso principale del palazzo, dato da un grande portale ad ogiva con doppio archivolto scandito dalla bicromia di conci calcarei e di mattoni in laterizio; analogo trattamento è reperibile superiormente in due archivolti quadripartiti da fasce a tutto sesto, progressivamente incassate fino al vano delle rispettive monofore appena ogivali; allo stesso livello si apre una porta finestra, plausibile accesso sublime del piano nobile, sormontata da una ghiera di conci addentellati congiunti a seggiola.

Lo schema distributivo del palazzo si organizza in entrambi i piani attorno a due sale centrali, aperte verso ovest in ampie nicchie ed affiancate simmetricamente verso nord e sud, da altri ambienti; le coperture dei locali al pianterreno sono costituite da volte a botte; negli spessori murari sono stati individuati pozzi di comunicazione con i livelli superiori e canalizzazioni per cisterne. Il piano nobile presenta una più marcata caratterizzazione degli spazi attraverso peculiari soluzioni adoperate nella tecnica muraria, nelle volte e nelle aperture; al centro della sala principale (m 7,70 x 5,54) si apre una grande nicchia (sala cum miniano), dove si staglia il profilo curvilineo dei piedritti e di un’arcata trasversa, posta esattamente al contatto fra l’avancorpo occidentale e il parallelepipedo del palazzo; le sale minori collegate a quella centrale sono sostanzialmente diverse poiché quella a sud è un semplice vano rettangolare (m 4,70 x 7,10) mentre quella a nord si assimila ad un “iwan” sovrastato da una rociera e desinente in una nicchia centrale con catino a muqarnas ed in due laterali con calotte scanalate da fasce ombrelliformi.

Nell’angolo nordorientale del complesso si trova una cappella orientata, divisa in tre navate da pilastri rettangolari che sorreggono archi a sesto acuto; l’edificio, in senso trasversale, si sviluppa in tre campate, con quella più orientale introdotta da arcate e conclusa da absidi in asse con le navate; le due campate occidentali della navata centrale sono coperte da volta a crociera su base quadrata, sistema ribadito e sdoppiato nelle rispettive campate dell’adiacente navatella destra; il santuario è coperto da un rustico tetto ligneo che, spiovendo verso il muro delle absidi, attualmente intercetta l’archivolto del catino centrale, soluzione scaturita dal crollo dell’originaria copertura; sotto la campata orientale, con dimensioni che si approssimano ad essa, si trova una cisterna sormontata da una volta a botte; la datazione della cappella è tutt’oggi materia controversa (Kronig 1977, XII secolo; Bellafiore 1990, Ciotta 1993, post XII secolo).

Tra gli oggetti mobili si segnalano rilievi, statuette e frammenti marmorei di incerta provenienza, opere comunque databili dal XIII al XV secolo. Tutte le murature consistono di pietrame e di blocchi in arenaria e calcare ma, soprattutto, le pristine strutture e le membrane di maggiore impegno costruttivo sono connotate dalla diffusa utilizzazione di grossi mattoni in laterizio, accorgimento tecnologico e figurativo adoperato anche nelle fabbriche dei monasteri bizantini del Val Demone.

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