Papa Francesco: con il servizio annunciare la gioia di Dio

Condividi su...

L’incontro con i gesuiti e con i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate della Repubblica democratica del Congo nella festa della presentazione di Gesù al tempio ha chiuso la seconda giornata della visita pastorale di papa Francesco nella cattedrale ‘Notre Dame du Congo’, invitando tutti ad essere vigili come Simeone nell’attesa che si compia la promessa di Dio:

“Tutti, come Simeone, attendiamo la luce del Signore perché illumini le oscurità della nostra vita e, ancor più, tutti desideriamo vivere la stessa esperienza che ha fatto lui nel Tempio di Gerusalemme: tenere tra le braccia Gesù. Tenerlo tra le braccia, in modo da averlo davanti agli occhi e sul cuore. Così, mettendo Gesù al centro, cambia lo sguardo sulla vita e, pur dentro i travagli e le fatiche, ci sentiamo avvolti dalla sua luce, consolati dal suo Spirito, incoraggiati dalla sua Parola, sostenuti dal suo amore”.

Prendendo spunto dalle parole del profeta Isaia (‘Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa’) ha proposto alcune riflessioni, sottolineando l’azione di Dio nel prendere l’iniziativa: “Dio apre strade nei nostri deserti e noi, ministri ordinati e persone consacrate, siamo chiamati ad essere segno di questa promessa e a realizzarla nella storia del Popolo santo di Dio. Ma, concretamente, a che cosa siamo chiamati? A servire il popolo come testimoni dell’amore di Dio. Isaia ci aiuta a capire come”.

Il profeta si fa ‘portavoce’ di Dio nel momento in cui gli ebrei sono deportati, ricordando il patto di amore tra Dio ed il popolo: “Per bocca del profeta, il Signore raggiunge il suo popolo in un momento drammatico, mentre gli Israeliti sono stati deportati a Babilonia e ridotti in schiavitù. Mosso a compassione, Dio vuole consolarli.

Questa parte del libro di Isaia, infatti, è conosciuta come ‘Libro della consolazione’, perché il Signore rivolge al suo popolo parole di speranza e promesse di salvezza. E per prima cosa ricorda il legame d’amore che lo lega al suo popolo… Così il Signore si rivela come Dio della compassione e assicura di non lasciarci mai soli, di essere sempre al nostro fianco, rifugio e forza nelle difficoltà”.

Questo patto d’amore è instaurato attraverso i consacrati e le consacrate: “E voi siete chiamati a farvi eco di questa promessa di Dio, a ricordare che Egli ci ha plasmati e apparteniamo a Lui, a incoraggiare il cammino della comunità e accompagnarla nella fede incontro a Colui che già cammina accanto a noi.

Dio non permette alle acque di sommergerci, né al fuoco di bruciarci. Sentiamoci portatori di questo annuncio in mezzo alle sofferenze della gente. Ecco che cosa significa essere servitori del popolo: preti, suore, missionari che hanno sperimentato la gioia dell’incontro liberante con Gesù e la offrono agli altri”.

Se non si serve il popolo la vita consacrata viene meno: “Ricordiamocelo: il sacerdozio e la vita consacrata diventano aridi se li viviamo per ‘servirci’ del popolo invece che per ‘servirlo’.

Non si tratta di un mestiere per guadagnare o avere una posizione sociale, e nemmeno per sistemare la famiglia di origine, ma è la missione di essere segni della presenza di Cristo, del suo amore incondizionato, del perdono con cui vuole riconciliarci, della compassione con cui vuole prendersi cura dei poveri. Noi siamo stati chiamati a offrire la vita per i fratelli e le sorelle, portando loro Gesù, l’unico che risana le ferite del cuore”.

 E la vita consacrata pone alcune sfide: “Anzitutto vincere la mediocrità spirituale. Come? La Presentazione del Signore, che nell’Oriente cristiano è detta ‘festa dell’incontro’, ci ricorda la priorità della nostra vita: l’incontro con il Signore, specialmente nella preghiera personale, perché la relazione con Lui è il fondamento del nostro operare.

Non dimentichiamo che il segreto di tutto è la preghiera, perché il ministero e l’apostolato non sono prima di tutto opera nostra e non dipendono solo dai mezzi umani”.

Al centro dell’azione ministeriale è la preghiera: “Per questo vorrei condividere alcuni consigli: anzitutto, manteniamo fede a certi ritmi liturgici della preghiera che scandiscono la giornata, dalla Messa al breviario. La celebrazione eucaristica quotidiana è il cuore pulsante della vita sacerdotale e religiosa. La Liturgia delle Ore ci permette di pregare con la Chiesa e con regolarità: non trascuriamola mai!

E non tralasciamo neanche la Confessione: abbiamo sempre bisogno di essere perdonati per poter donare misericordia. Un altro consiglio: come sappiamo, non possiamo limitarci alla recita rituale delle preghiere, ma occorre riservare ogni giorno un tempo intenso di preghiera, per stare cuore a cuore con il nostro Signore: un momento prolungato di adorazione, di meditazione della Parola, il santo Rosario; un incontro intimo con Colui che amiamo sopra ogni cosa”.

La seconda sfida che il papa richiama è la mondanità: “Ma in questo modo si perde il cuore della missione, che è uscire dai territori dell’io per andare verso i fratelli e le sorelle esercitando, in nome di Dio, l’arte della vicinanza.

C’è un grande rischio legato alla mondanità, specialmente in un contesto di povertà e sofferenze: quello di approfittare del ruolo che abbiamo per soddisfare i nostri bisogni e le nostre comodità. E’ triste quando ci si ripiega su sé stessi diventando freddi burocrati dello spirito.

Allora, anziché di servire il Vangelo, ci preoccupiamo di gestire le finanze e di portare avanti qualche affare vantaggioso per noi. E’ scandaloso quando ciò avviene nella vita di un prete o di un religioso, che invece dovrebbero essere modelli di sobrietà e di libertà interiore”.

La terza sfida riguarda la superficialità: “Se il Popolo di Dio attende di essere raggiunto e consolato dalla Parola del Signore, c’è bisogno di preti e religiosi preparati, formati, appassionati al Vangelo. Ci è stato messo un dono tra le mani e, da parte nostra, sarebbe presuntuoso pensare di poter vivere la missione a cui Dio ci ha chiamati senza lavorare ogni giorno su noi stessi e senza formarci in modo adeguato, nella vita spirituale come nella preparazione teologica. La gente non ha bisogno di funzionari del sacro o di laureati distaccati dal popolo”.

Citando un proverbio (‘Il vento non spezza ciò che sa piegarsi’) papa Francesco sottolinea  la necessità della flessibilità, che è plasmata dalla misericordia: “Ma possiamo accogliere le parole del proverbio principalmente in senso positivo: c’è un piegarsi che non è sinonimo di debolezza ma di fortezza; allora significa essere flessibili, superando le rigidità; significa coltivare un’umanità docile, che non si chiude nell’astio e nel rancore; significa essere disponibili a lasciarsi cambiare, senza arroccarsi sulle proprie idee e posizioni.

Se ci pieghiamo davanti a Dio, con umiltà, Egli ci fa diventare come Lui, operatori di misericordia. Quando restiamo docili nelle mani di Dio, Egli ci plasma e fa di noi delle persone riconciliate, che sanno aprirsi e dialogare, accogliere e perdonare, immettere fiumi di pace nelle aride steppe della violenza.

E, così, quando soffiano impetuosi i venti dei conflitti e delle divisioni, queste persone non possono essere spezzate, perché sono ricolme dell’amore di Dio. Siate anche voi così: docili al Dio della misericordia, mai spezzati dai venti delle divisioni”.

(Foto: Santa Sede)

Free Webcam Girls
151.11.48.50