“Luka”, l’adattamento cinematografico del romanzo di Dino Buzzati “Il deserto dei tartari”

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 01.02.2023 – Vik van Brantegem] – La prima mondiale del lungometraggio Luca della regista Jessica Woodworth (partecipante e premiato ai festival di Cannes, Venezia, Sundance e Toronto), inserito nel programma del concorso Big Screen del 52° Rotterdam International Film Festival, si è svolta il 29 gennaio 2023 al Cinema Pathé 5 a Yerevan. Il 30 gennaio 2023 Luca è stato proiettato anche al Festival Internazionale del Film di Oostende in Belgio.

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Il lungometraggio statale Luca è una coproduzione tra Belgio, Italia, Paesi Bassi, Bulgaria e Armenia. Angela Frangyan è la coproduttrice del film dalla parte armena. Uno dei due attori principali del film è l’attore Samvel Tadevosyan. I suoi co-protagonisti sono la famosa attrice di Hollywood Geraldine Chaplin e il pluripremiato attore Jonas Smulders. In occasione della prima mondiale il direttore dell’Armenian National Film Center Shushanik Mirzakhanyan, il commissario cinematografico Melik Karapetyan e la produttrice armena Angela Frangyan si sono recati a Rotterdam e Oostende. Alla proiezione erano presenti l’attrice protagonista Geraldine Chaplin, la regista Jessica Woodworth e il produttore esecutivo Peter Brosens.

Il lungometraggio Luca è un adattamento cinematografico del famoso romanzo di Dino Buzzati Il deserto dei tartari. Pubblicato nel 1940 da Rizzoli, segnò la consacrazione di Buzzati tra i grandi scrittori del Novecento italiano, inserito alla posizione 29 della classifica dei 100 libri del secolo di Le Monde.

Il tema centrale del romanzo è quello della “fuga del tempo”. Ai limiti del deserto, immersa in una sorta di stregata immobilità, sorge la Fortezza Bastiani, ultimo avamposto dell’Impero affacciato sulla frontiera con il grande Nord. È lì che il tenente Drogo consuma la propria esistenza nella vana attesa del nemico invasore. Che arriverà, ma troppo tardi per lui.

Il deserto dei Tartari è “il libro della vita” di Dino Buzzati: nell’esistenza sospesa di Giovanni Drogo, infatti, i riti di un’aristocrazia militare decadente si mischiano a gerarchia, obbedienza e alla cieca osservanza di regolamenti superati e anacronistici. La sua storia è una «sintesi della sorte dell’uomo sulla Terra», il racconto «del destino dell’uomo medio» in attesa di «un’ora di gloria che continua ad allontanarsi», finché, ormai vecchio, si accorgerà «che questa sua aspirazione è andata buca». «Probabilmente» ha rivelato l’autore «tutto è nato nella redazione del Corriere della Sera, dal 1933 al 1939 ci ho lavorato tutte le notti, ed era un lavoro pesante e monotono, e i mesi passavano, passavano gli anni e io mi chiedevo se sarebbe andata avanti sempre così, se la grande occasione sarebbe venuta o no. Molto spesso avevo l’idea che quel tran-tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita. La trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me quasi istintiva».

Un romanzo profondo che lascia l’amaro in bocca: la storia di una vita in cui il protagonista, Giovanni Drogo, sembra portato da una sorta di destino a compiere delle scelte obbligate, senza avere la forza o la possibilità di opporsi e di essere libero. Alla fine del romanzo l’unico vero desiderio che Drogo ha coltivato per tutta la vita, gli sfugge via. Ed è proprio alla fine che emerge in modo più evidente l’altra chiave di lettura del romanzo, quella filosofica esistenziale. Tutta la vita dell’uomo è preparazione all’unico e decisivo incontro, quello con la morte.

Dino Buzzati davanti al suo quadro più celebre, Piazza del Duomo di Milano (1952).

Dino Buzzati (San Pellegrino di Belluno, 16 ottobre 1906 – Milano, 28 gennaio 1972) è stato uno scrittore, giornalista, disegnatore, pittore, drammaturgo, librettista, scenografo, costumista e poeta, cronista, redattore e inviato del Corriere della sera, autore di una vasta produzione narrativa.
La famiglia, di origini bellunesi, apparteneva all’alta borghesia ed aveva una ricca tradizione culturale. Il padre, Giulio Cesare, era professore di diritto internazionale all’università di Pavia; la madre, Alba, era sorella dello scrittore Dino Mantovani, che si conquistò una certa fama nel secondo Ottocento.

Terminati gli studi liceali al Parini di Milano, Buzzati si laurea in giurisprudenza. D’estate e quando possibile, tra il Pelino e la Civetta, esplora ogni picco; le montagne dolomitiche fanno anche da sfondo al servizio di leva svolto come allievo ufficiale. Congedato, presenta domanda di assunzione come cronista al Corriere della Sera. Entra al giornale il 9 luglio 1928. Poco ambizioso, metodico e puntuale, si occupa scrupolosamente di cronaca nera e gira per la città sostando immancabilmente in questura. Solo i primi successi letterari gli varranno come carte di credito per salire di grado nel quotidiano milanese. E lo scrittore dirà, convintissimo: «L’optimum del giornalista coincide con l’optimum della letteratura».

Nel frattempo Buzzati inizia a scrivere racconti. Rifiutata dalla Domenica del Corriere una storia alla Poe, illustrata da disegnini, scrive Barnabo delle montagne. Il testo, per la mediazione di C. Poggiali, capocronista al Corriere, viene proposto a Treves, che lo pubblica nel 1933. Presso lo stesso editore, esce poi Il segreto del bosco vecchio nel 1935. Pubblica racconti su Omnibus e sulla Lettura e matura l’idea di un romanzo che sarà Il deserto dei Tartari. Termina l’opera nel 1939 e Leo Longanesi la inserisce nella collana da lui curata per Rizzoli. La storia fantastica di Giovanni Drogo vede la luce presso l’editore milanese nel 1940.

Corrispondente di guerra, iscritto al partito fascista, ma apolitico, dopo la guerra ottiene l’incarico di redattore capo della Domenica del Corriere. Nel 1945 pubblica La famosa invasione degli orsi in Sicilia e, in collaborazione con G. Ramazzotti Il libro delle pipe. Del 1949 Paura alla Scala, del 1950 In quel preciso momento, che ottiene nel 1951 il premio Gargano.

I suoi racconti sono talvolta tradotti anche per il teatro, come Un caso clinico nel 1953, che sarebbe stato più volte rappresentato e da cui sarebbe stato ricavato anche un film di e con Ugo Tognazzi, Il fischio al naso. Nel 1954 pubblica Il crollo della Baliverna con Mondadori (Premio Napoli) e nel 1958 Esperimento di magia. In questo stesso anno la raccolta antologica dei Sessanta racconti che si aggiudica il Premio Strega. Del 1963 Un amore “che esprime appieno i cedimenti dello scrittore ai miti e alle mode e insomma al mercato della letteratura”. Da ricordare anche: Il colombre (1966) e Le notti difficili (1971). Tra l’uno e l’altro libro: un’antologia di racconti, La boutique del mistero (1968) e soprattutto Poema a fumetti (1969), che ottiene il Premio di Paese Sera per il miglior fumetto e che mette in risalto le sue qualità di disegnatore e pittore, ancora recentemente sottolineate con una mostra antologica alla Rotonda della Besana di Milano. Ha scritto anche drammi, Un caso clinico (1953) e numerosi testi teatrali brevi. Ha pubblicato alcuni libri nati dall’incontro tra testo e illustrazioni come I miracoli di Val Morel (1971).

Dino Buzzati, Le anime perse.

Dino Buzzati: lo scrittore che preferiva dipingere
di Fabio Tallone
ArtsLife, 9 maggio 2020


Il celebre scrittore e giornalista non ha mai smesso di considerare la pittura la sua principale vocazione.
Dino Buzzati è stato anche pittore. Anzi, forse è stato soprattutto pittore. Sembra strano realizzarlo – soprattutto per i più giovani, che l’hanno conosciuto primariamente da dietro i banchi di scuola leggendo Il deserto dei Tartari – ma se qualche misterioso e insondabile momento della sua storia artistica fosse andato diversamente, forse tutti ci ricorderemmo di lui per i suoi quadri. O per i suoi disegni, le illustrazioni, o per i testi ibridi dove linguaggio pittorico e letterario si miscelano fino a completarsi senza ritorno (…).
Come ben sappiamo la vita gli ha però riservato una netta inversione dei fattori, consacrandolo ai posteri principalmente come scrittore. Una definizione più generica ma paradossalmente più calzante, per non assecondare l’innata spinta a comprimere e soffocare in etichette precise, che forse gli sarebbe stata più gradita è quella di narratore di storie. Come lui stesso ammette nella citazione riportata, il suo primario e principale interesse è sempre stato quello di dare vita, che fosse per parole o per immagini, alle storie che intendeva raccontare. Questa carica narrativa percorre infatti ogni volontà artistica di Buzzati ed emerge anche laddove altri, nello stesso periodo, ne facevano volentieri a meno: nei dipinti. (…)
Ma come mai è tardato tanto il suo riconoscimento come pittore? Forse, come detto in apertura di articolo, ha pesato molto la sua ingombrante figura di scrittore e giornalista di successo: sia dalla parte del pubblico, che innocentemente l’aveva ormai identificato pienamente con il suo ruolo di letterato, sia da parte della critica che era portata, ingenuamente o malignamente, a considerare il suo operato pittorico secondario e degno solo di sussidiaria attenzione.

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