Mons, Erio Castellucci: mai indifferenti alle sopraffazioni

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In occasione della festa di san Giminiano, patrono principale della città e dell’arcidiocesi emiliana, celebratasi nei giorni scorsi, mons. Erio Castellucci, arcivescovo della diocesi di Modena-Nonantola, ha   pubblicato una lettera alla città dal titolo ‘Giustizia e Pace si baceranno’, ricordando la fine della prima guerra mondiale, il trattato di Versailles, le condizioni umilianti imposte alle Germania che favorirono poi l’ascesa di Hitler:

“Dal vagone di Compiègne uscì la pace, ma i tedeschi non ne uscirono rappacificati: ne furono anzi frustrati e si sentirono troppo ingiustamente puniti. Tanto che negli anni successivi, complice un’inflazione incontrollata con sacche di povertà e di fame mai provate dal popolo, crebbe in Germania il risentimento e l’odio verso i paesi che avevano vinto la guerra”.

Tale risentimento fu interpretato da Hitler: “Hitler se ne fece portatore: e se nel gennaio 1933 fu nominato Cancelliere del Reich, a seguito delle elezioni democratiche stravinte dal suo partito poche settimane prima, fu anche a motivo del riscatto nazionale da lui promesso nel suo delirante Mein Kampf (1925), nel quale programmava una vera e propria vendetta nei confronti di tutti coloro che, a suo giudizio, erano nemici del popolo tedesco, formato dalla razza superiore degli ‘ariani’.

Quando Hitler, all’inizio della Seconda guerra mondiale, invase la Francia, nel maggio del 1940, conquistando Parigi poche settimane dopo e ottenendo subito la resa del governo francese, impose la firma dell’armistizio nella stessa carrozza 2419 D, e nello stesso punto, la radura di Compiègne, nel quale ventidue anni prima si era consumata l’umiliazione dei tedeschi”.

Parte da questa storia la lettera che l’arcivescovo modenese scrive ai cittadini per spiegare che la pace e la giustizia non vanno disgiunti: “Pace e giustizia sono gemelle, come cercherò di dire in questa Lettera alla città, offrendo solo alcuni spunti.

Una giustizia senza pace è impossibile, perché il conflitto crea sempre violenza, iniquità, sopraffazione; una pace senza giustizia è degradante e umiliante, perché impone un ordine che produce risentimento, desiderio di riscatto e di vendetta”.

Anche papa Benedetto XV aveva implorato i capi di Stato a consolidare la pace attraverso una riconciliazione ‘fondata sulla vicendevole carità’:  “Purtroppo le sue parole furono profetiche. Nessuna pace si può costruire su parole e gesti di vendetta; la pace si può costruire solo su parole e gesti di giustizia, che rinunciano all’umiliazione dell’avversario.

Una pace costruita sulla vendetta non fa altro che spargere quei semi di odio e risentimento che prepara la rivincita, in una catena di sopraffazioni che non finisce più”.

Dopo più di 100 anni la situazione non è cambiata: “Il 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa, resterà nella memoria come una delle date più tragiche della storia contemporanea.

Quando scoppiò quest’ultima insensata guerra, ormai quasi un anno fa, non tutti sapevano che di conflitti nel mondo se ne stavano consumando molti altri: una decina particolarmente devastanti (in Etiopia, Yemen, Sahel, Nigeria, Afghanistan, Libano, Sudan, Haiti, Colombia, Myanmar) e molte altre guerre locali, come i conflitti tra gruppi contrapposti o i conflitti civili.

Chi conta tutti i focolai di guerra nel mondo, arriva addirittura al numero di 170. Per questo, da tempo, papa Francesco parla della ‘terza guerra mondiale a pezzi’: molti di questi conflitti sono dimenticati, perché non toccano direttamente gli interessi dell’Occidente e quindi non coinvolgono le grandi potenze”.

Ed offre la situazione del fiorente mercato delle armi: “Lo stesso mercato delle armi alimenta le guerre, in una sorta di tragico circolo vizioso: più si combatte, più si producono e commerciano armi, più si vendono e più si favoriscono i conflitti.

Nel 2021 le spese per gli armamenti sono state il 2,2% delle spese mondiali, per oltre $ 2.000.000.000.000: una parte di queste risorse, se tutti gli Stati si accordassero per ridurre gli armamenti (e dunque la possibilità di difendersi fosse comunque assicurata) si potrebbero destinare agli investimenti per il lavoro, le cure mediche, la lotta alla fame, lo sviluppo.

Sarebbe sufficiente il 10% delle spese impiegate negli armamenti per affrontare efficacemente il problema della fame nel mondo, che attanaglia ancora più di 820.000.0000 persone.

Le guerre poi, oltre al carico immediato di devastazione e di morte, aumentano le ingiustizie, l’inquinamento, le migrazioni forzate, il terrorismo, l’insicurezza, le malattie, il divario tra ricchi e poveri”.

L’arcivescovo mette in guardia dall’uso di un linguaggio che produce guerra: “Il pericolo di stravolgere il linguaggio, facendo violenza alle parole e costringendole a significare il contrario di ciò che vorrebbero dire, è tutt’altro che superato.

La guardia non va mai abbassata, anzi va alzata: oggi i social permettono di divulgare tutto e il contrario di tutto, dando voce all’arroganza e alla violenza verbale, alle minacce e alle fake news infondate e infamanti, senza la reale possibilità di smentire e ricostruire la verità: sia nei macrosistemi internazionali come nei microsistemi locali. E purtroppo la guerra (anche la guerra delle parole) continua ad attrarre di più rispetto alla pace”.

Richiamando il monito di Primo Levi l’arcivescovo ha sottolineato che anche le parole uccidono: “Miliardi e miliardi di parole, rimbalzate sui giornali e sui siti, travestite da slogans e luoghi comuni devastanti. Se ‘le parole sono pietre’, come ha scritto Carlo Levi, la bocca (o la tastiera) rischia di diventare una catapulta.

Le pietre infatti possono servire per edificare o per lapidare. Oggi spesso volano nell’aria parole che rischiano di uccidere: sono le ‘parole ostili’ che fanno di ogni erba un fascio, mirando a suscitare la rabbia repressa, ad ossigenare le paure ataviche, ad ingigantire i pericoli e ad identificare «l’altro» con il nemico.

Quando non ci sono argomenti con cui portare avanti le proprie idee, le parole escono come urla: sfogarsi contro qualcuno, in fondo, fa sentire migliori. All’inizio di ogni conflitto c’è sempre una guerra di parole”.

Ma Gesù insegna un’altra via alla pace: “Questa è la pace che Gesù non ha portato sulla terra, è quella falsa pace che lui ha sempre combattuto: l’indifferenza, l’atteggiamento di chi vuole essere lasciato ‘in pace’ e guarda solo ai propri interessi. Come la falsa pace dell’oppressione è imposta dai dittatori ai popoli, così la falsa pace dell’indifferenza è imposta dall’egoismo ai cuori.

La pace che Gesù invece è venuto a portare è una spada, che recide dalla nostra coscienza la tentazione di girare lo sguardo da un’altra parte, di far finta di niente davanti alle ingiustizie, di restare comodamente al calduccio nel nostro nido, accada quel che accada. La pace vera si conquista a prezzo di una lotta contro l’egoismo in se stessi e l’ingiustizia nel mondo”.

La pace di Gesù è un beatitudine: “Un solo combattimento dunque è lecito, anzi doveroso: la guerra contro l’egoismo personale e collettivo, la lotta cioè contro l’ingiustizia. In questo senso san Paolo, riconvertendo le armi dell’epoca in strumenti di pace, scrive:

‘La nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove’”.

Con tale ragionamento l’arcivescovo narra un episodio particolare di san Geminiano: “Uno degli episodi più noti della vita di san Geminiano, scolpito nel Duomo di Modena in una delle sei scene dell’architrave della Porta dei Principi o del Battesimo, raffigura il santo vescovo in viaggio verso Costantinopoli, chiamato dall’imperatore ad esorcizzare la figlia posseduta dal demonio.

Durante la navigazione, Geminiano è insidiato dal diavolo, il cui volto orribile compare all’estrema destra del bassorilievo, tra i flutti del mare e la prua della barca. Chi combatte contro il male, sa di averlo come compagno di viaggio e per questo deve stare sempre in guardia, vigilando per l’intero arco della vita”.

Ecco il motivo per cui non esiste una guerra ‘giusta’: “La passione per la pace e la giustizia non legittimano la violenza di chi aggredisce. Tramontata la nozione di ‘guerra giusta’, con la quale si sono giustificati tanti conflitti politici e religiosi, si deve ammettere invece che la legittima difesa personale e la ‘responsabilità di proteggere’, declinati sia in senso personale che collettivo, restano capisaldi del diritto e dell’etica.

Una persona può autotutelarsi da un attacco ingiusto, reagendo secondo il principio della proporzionalità: ossia cercando di fermare l’aggressore e metterlo in condizioni di non nuocere, senza che la reazione diventi smisurata rispetto all’azione.

Una persona può rinunciare per se stessa a questo diritto, ma non può rinunciare per un’altra persona che necessiti di protezione. Un genitore ad esempio ha il diritto e il dovere di difendere un figlio aggredito; analogamente uno Stato, pur dovendo valutare caso per caso quando risulti più efficace la difesa armata o la risposta non-violenta, ha il diritto e il dovere di difendere i propri cittadini aggrediti”.

L’articolata riflessione si chiude con un’esortazione a non far venire meno la speranza per la pace: “Le spade diventeranno aratri e le lance falci, scrive il profeta Isaia (2,4), ma solo alla fine dei giorni. Sembra che la pace e la giustizia tardino ad incontrarsi, almeno su questa terra e dentro a questa storia.

Ciascuno di noi, però, può dare il proprio contributo lottando contro l’ingiustizia, a partire dai propri ambienti di vita, evitando di alimentare le catene dell’odio e del risentimento (ricordiamoci il vagone ferroviario di Compiègne) e favorendo così la vera pace.

Mai chiudere gli occhi, mai passare accanto alle sopraffazioni, mai cadere nell’indifferenza per essere ‘lasciati in pace’. Costa parecchio, ma è l’unica via per una pace autentica e duratura, a cui tutti gli esseri umani devono dare il loro contributo e che i credenti, inoltre, devono invocare come dono dall’alto”.

(Foto: diocesi Modena-Nonantola)

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