44ª Udienza del Processo 60SA in Vaticano. Non ammessi come testimoni il Papa e la Chaouqui. Il Card. Becciu continua a respingere il complotto contro di lui

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 26.01.2023 – Ivo Pincara] – Oggi, 26 gennaio 2023, durante la 44ª Udienza del processo al Tribunale vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, il Presidente Giuseppe Pignatone ha disposto con specifica ordinanza, come era facilmente prevedibile, che Papa Francesco non sarà ascoltato come teste dal Tribunale vaticano, come era stata sollecitata da diversi avvocati difensori dei dieci imputati nel processo. Inoltre, con apposita ordinanza il Presidente Pignatone ha disposto che non ci sarà il confronto in aula tra Francesca Immacolata Chaouqui e Genoveffa Ciferri, auspicato dalle difese. Inoltre, la Chaouqui non potrà più deporre: «Ha avuto un atteggiamento irriguardoso».

Con un’altra ordinanza, il Tribunale ha inoltre respinto le richieste avanzate dalla difesa del Cardinal Becciu, cui si erano allineate le altre difese, di espungere dal processo i 15 file audio depositati dalla Chaouqui nella precedente udienza, auto-registrati da Mons. Alberto Perlasca, ex indagato, poi diventato pentito e collaboratore di giustizia e prodotto come teste chiave dell’accusa. A inizio udienza, l’Avv. Fabio Viglione, difensore di Becciu, aveva sostenuto che si trattasse di file audio assunti fuori della regole, in quanto facilmente modificabili e manipolabili.

Conclusa l’audizione del Colonnello della Guardia di Finanza di Oristano, Pasquale Pellecchia, il Cardinal Becciu ha chiesto di leggere una dichiarazione spontanea, che riportato di seguito per intero, con la quale ha respinto “con la massima fermezza alcune affermazioni contenute nell’informativa” della Finanza e che “suonano come accuse non solo contro di me, ma anche contro il Papa e i suoi collaboratori”. Il riferimento è ad una “Nota informativa riservata”, dattiloscritta e non firmata, attribuita al defunto Vescovo di Ozieri, Mons. Sergio Pintor.

Ancora una volta il Cardinal Becciu è stato calunniato con un trattamento assolutamente indegno in un processo che dovrebbe garantire i diritti di tutte le parti coinvolte. Con ciò prosegue la macchina di fango e di depistaggi, per impedire che la verità venga alla luce. Ciononostante, ci scrive un amico, «piano piano e senza far rumore, contro una folla che grida forsennatamente “crucifige!”, la verità fa i suoi passi avanti. Ormai è chiaro chi è e come agisce colei che ha architettato il complotto, contro il papato, la Santa Sede, la Chiesa, il popolo di Dio».

Il Tribunale ha reso nota la lista degli ammessi alle prossime udienze

Ci sono delle sorprese nella lista di testimoni ammessi a deporre tra quelli chiesti dalle difese. Tra i grandi esclusi sono Papa Francesco, chiesto da varie difese, e la pierre Francesca Immacolata Chaouqui, ex componente della COSEA (Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa), poi processata e condannata nel processo vaticano Vatileaks 2. Invece, ci sarà il Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, Arcivescovo Edgar Peña Parra; il Presidente dello IOR, Jean-Baptiste de Franssu; il fratello del Cardinal Becciu, Antonino; Mons. Sebastiano Sanguinetti, Vescovo emerito di Ozieri; Mons. Corrado Melis, Vescovo di Ozieri; Don Mario Curzu, sacerdote della diocesi di Ozieri; il giornalista Emiliano Fittipaldi (processato e assolto nel processo vaticano Vatileaks 2); il Comandante del Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano, Gianluca Gauzzi Broccoletti (in relazione all’incontro insieme al Commissario Stefano De Santis con il Cardinal Becciu nella sua abitazione). Invece, il Tribunale vaticano si è riservato sulla testimonianza del Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin, in quanto subordinata a quello che dirà il Sostituto Peña Parra.

Quindi, oggi il Presidente del Tribunale vaticano, Pignatone, ha negato la testimonianza di Chaouqui nel processo, dopo quello che ha combinato nell’Udienza dello scorso 13 gennaio. Ha ritenuto anche inutile un ulteriore confronto con l’altra testimone Genoveffa Ciferri, «essendo ormai le rispettive contrastanti posizioni cristallizzate in ripetute deposizioni». Il difensore di Enrico Crasso, l’Avv. Luigi Panella, anche a nome delle altre difese, ha stigmatizzato l’atteggiamento «irriguardoso» della Chaouqui nella precedente Udienza, leggendo in aula anche alcuni passaggi pronunciati nei confronti dell’Avv. Cataldo Intrieri, difensore di Fabrizio Tirabassi.

Le prossima udienze sono in programma il 16 e 17 febbraio 2023.

La dichiarazione spontanea del Cardinal Becciu

Signor presidente.
Mi sento nell’obbligo di fare alcune dichiarazioni su quanto è stato esposto nell’Informativa della Guardia di Finanze di Oristano con riferimento al defunto Vescovo di Ozieri, Mons. Sergio Pintor.
Dico subito che mi difenderò, ma per difendermi non parlerò male del confratello defunto.
Non è giusto infierire su chi non può difendersi e mi meraviglio che venga citata così diffusamente una persona che non può affrontare il contradditorio. Ma soprattutto (io sono uomo di Chiesa, prima di essere imputato!) vorrei rimanere fedele al mandato evangelico della carità e della comunione fraterna che, a mio avviso, deve essere la base dei rapporti tra i confratelli.
È sempre saggia e viva la raccomandazione che in caso di incomprensioni o di differenze di vedute ci si chiarisca a tu per tu.
Non c’è, infatti, peggior scandalo nelle nostre comunità ecclesiali di vedere un sacerdote contro l’altro e ancor più un vescovo contro un altro vescovo.
Cercherò dunque di fare solo alcune puntualizzazioni senza venir meno al principio appena enunciato e di esporre argomenti e fatti utili a far emergere la verità.
Ciò premesso, pur con il massimo rispetto per chi ha svolto le indagini, non potrò non respingere con la massima fermezza alcune affermazioni contenute nell’Informativa della GdF di Oristano e che suonano come accuse non solo contro di me, ma anche contro il Papa e i suoi Collaboratori, quali sono i Capi Dicastero.
Le carte personali di Mons. Pintor
Sono stati qui forniti stralci delle cosiddette carte personali di Mons. Pintor raccolte in una cartella dal titolo “Nota informativa riservata”.
A ben vedere, non si tratta di semplici carte qualsiasi, ma di riflessioni personali del Presule su fatti attinenti al suo governo episcopale in Ozieri e nei quali, tra le altre, vengono coinvolte alte personalità ecclesiastiche della Curia Romana.
Di fronte all’esibizione di dette carte mi sia consentito di esprimere incredulità e sofferenza.
Mi permetto di ricordare che tra le norme che regolano il governo diocesano di un vescovo vi sono i cann. 486,§2 e 487§1, i quali dicono espressamente come tutte le carte riguardanti “le questioni spirituali e temporali della diocesi”, vale a dire tutto ciò che concerne il governo di una diocesi, debbano essere custodite nell’archivio segreto della Curia diocesana, archivio accessibile solo al Vescovo e al cancelliere. Dunque, conforme ai suddetti canoni, le carte di Mons. Pintor dovevano rimanere in quell’archivio o perlomeno, alla sua morte, dovevano essere spedite alla curia della diocesi di Ozieri.
Mi spiace far notare che la nipote del vescovo che ha consegnato questi documenti alla guardia di finanza è venuta meno al proprio dovere di cristiana. Quelle carte non erano di sua proprietà, ma della Chiesa e ha fatto ingiuria allo zio perché qui si rischia oltretutto di danneggiarne la memoria con la sfilata dei testimoni che non si esimeranno dal narrare, ahimè, ove necessario, anche fatti spiacevoli avvenuti durante il suo governo. Si doveva perlomeno rispettare la mens dell’autore che nella cartella aveva apposto l’annotazione “Nota informativa riservata”!
Da tale annotazione pertanto si doveva dedurre che non era volontà del vescovo che i suoi scritti venissero pubblicati e tantomeno che venissero consegnati all’autorità giudiziaria dello Stato Italiano.
Dal momento che queste carte trattano di affari riguardanti il governo di una diocesi, la cui autonomia e indipendenza sono garantite dai Patti Lateranensi, sorgono perplessità sull’averle tra di noi e certamente pongono questioni da affrontare sul piano giuridico.
Ma, volendo entrare nel merito, a prescindere dalla correttezza delle acquisizioni sul piano formale, mi soffermo sulla questione delle dimissioni di Mons. Pintor e sulla presunta influenza della cosiddetta “famiglia Becciu” nel governo della Diocesi.
A) LA QUESTIONE DELLE DIMISSIONI DI MONS. PINTOR
In poche parole, le dimissioni di Mons. Pintor al compimento dei 75 anni di età sono definite come “un fatto inusuale” e poi sarebbero state il frutto di manovre da parte di una coalizione di persone quali il sottoscritto, il card. Piacenza, allora Prefetto della Congregazione del Clero, il Card. Bertone, allora Segretario di Stato, il Prefetto della Congregazione dei Vescovi e il Nunzio Apostolico in Italia dell’epoca.
Sono altamente lusingato nell’apprendere che la diocesi di Ozieri abbia attirato l’attenzione di tali personalità ecclesiastiche come se fosse una delle diocesi più importanti d’Italia, ma ho paura che siamo lontani dalla realtà.
Ora, al netto di questa considerazione, definire “inusuale” l’accettazione immediata delle dimissioni di un vescovo al compimento dell’età canonica, significa non conoscere la prassi della Chiesa.
Al riguardo, potrei portare una lunga lista di quanti lasciano la reggenza di una diocesi a quell’età.
Proprio uno degli ultimi, per esempio, è stato il vescovo di Iglesias, una cittadina vicina ad Oristano, la località dove opera il Tenente Colonello Pellecchia.
Detto Vescovo, Mons. Paolo Zedda, nato l’8 settembre 1947 è diventato emerito il 6 ottobre 2022. Aveva compiuto 75 anni appena da un mese! La lista, come ho appena detto, sarebbe lunga e non ritengo utile sciorinare una serie di nomi e di Diocesi.
Qui bisogna rifarsi al can. 401§1 del Codice di Diritto Canonico che recita: “Il vescovo diocesano che abbia compiuto settantacinque anni di età è invitato a presentare la rinuncia all’ufficio al Sommo Pontefice, il quale provvederà, dopo aver valutato tutte le circostanze”.
Un punto va subito chiarito perché altrimenti si commette un grave errore ricostruttivo: chi decide sulla vita di un Vescovo è il Papa: è lui che nomina, e lui che trasferisce ed è lui che decide in merito alle dimissioni dopo aver valutato tutte le circostanze; è solo il Papa e nessun altro!
Dire che per le dimissioni di Mons. Pintor vi sia stato un confluire di forze manipolatrici nei confronti del Santo Padre è affermazione grave.
A parte che non viene prodotto uno straccio di prova, ma soprattutto perché questa illazione reca un’offesa inaudita al Papa che sarebbe fatto vittima di giochi di potere messi in atto dalle richiamate persone.
Il Papa ha avuto le sue ragioni, “avrà valutato tutte le circostanze”, per accogliere le dimissioni di Mons. Pintor e non sta a noi metterle in discussione con queste illazioni.
Nella Chiesa le decisioni del Papa non si discutono, si rispettano, si accettano e basta!
Se Mons. Pintor si è lasciato andare a considerazioni negative è da capire umanamente per il momento di sconforto e delusione che avrà vissuto, ma non è accettabile che altri le utilizzino per accreditare tesi mai eccentriche.
Devo confessare che come uomo di Chiesa soffro e mi meraviglio che istituzioni esterne alla Chiesa mettano in dubbio l’operato del Papa e dei suoi Dicasteri.
B) IL COINVOLGIMENTO DELLA FAMIGLIA BECCIU NELLA CONDUZIONE DELLA DIOCESI
In due o tre punti dell’Informativa dei Finanzieri affiorano gravi affermazioni con le quali si sottolinea che “Diocesi e Caritas venivano gestite a livello familiare, come una propaggine della famiglia Becciu”.
L’affermazione è così grossolana che non meriterebbe grande attenzione, ma siccome è utilizzata per sostenere un teorema accusatorio sono costretto a spenderci due parole.
Anzitutto, respingo con sdegno un’asserzione del genere che rievoca connotati di famiglia che a noi sardi sono del tutto alieni.
Potrei ammettere che ad essere stati coinvolti in qualche modo nella vita diocesana di Ozieri siano stati il sottoscritto e mio fratello, Tonino, ma due membri della famiglia non è la famiglia. Ho altre tre fratelli componenti degnissimi della mia famiglia che con le cose della diocesi non hanno mai avuto a che fare. Quindi inviterei a una maggiore precisione di termini e ad eliminare i significati negativi sottesi all’espressione.
Se poi vogliamo andare nei particolari contesto nel modo più assoluto che io abbia mai interferito nel governo della diocesi.
Vorrei ricordare che sono andato via da Ozieri nel 1980 e dal 1984 ho prestato il mio servizio nella Chiesa presso varie Nunziature in diversi Paesi del mondo, quindi assai lontano dalla mia diocesi e preso da altri gravosi impegni.
Sono rientrato a Roma nel 2011, chiamato da Papa Benedetto per l’incarico di Sostituto della Segreteria di Stato.
Anche in tale veste, mai mi sono interessato del governo della diocesi e mai ho interferito sulle decisioni dei vescovi.
Potrò chiamare a testimonianza i due vescovi viventi e chiedere loro se mai mi sono intromesso nelle loro decisioni o nelle loro iniziative.
Con lo stesso Mons. Pintor, fin dal suo arrivo ad Ozieri, nel 2006, ho creato un rapporto di amicizia e di stima reciproca che si manifestava in maniera concreta quando venivo in vacanze in Sardegna. Stesso atteggiamento ho tenuto da Sostituto, egli mi ha sempre ben ricevuto e anche onorato pubblicamente. Ne fanno testimonianza i vari articoli pubblicati nel settimanale della Diocesi che danno conto di ciò.
Mai ho speso una parola contro Mons. Pintor, neanche quando procedette al trasferimento di alcuni parroci in una maniera piuttosto severa e che creò in essi malumore e spinte al dissenso. Essi si lamentarono con me, ma io ebbi sempre parole di massimo rispetto per il Vescovo e di incoraggiamento all’ubbidienza.
Devo tuttavia ammettere una cosa che mi pesa raccontare.
I rapporti con Mons. Pintor si incrinarono a partire dell’ottobre del 2011, quindi 5 anni dopo il suo ingresso. Fu per un motivo futile legato ad una segnalazione che mi fece e a cui non diedi corso spiegando al Vescovo le ragioni. Non dettaglio ulteriormente per non arrecare del male all’interessato.
Purtroppo da quel momento il Confratello cadde vittima del suo temperamento rancoroso e a farne le spese non fui io, ma mio fratello, Tonino, e gli altri responsabili della Caritas diocesana.
Mi vennero riferiti una serie di episodi dai quali emergeva un atteggiamento di avversione totale nei loro confronti.
Ne cito uno: la convocazione di un’assemblea di tutti i responsabili delle Caritas parrocchiali perché mettessero sotto accusa il Direttore della Caritas diocesana e i suoi più stretti collaboratori, i quali fino a qualche mese prima erano persone stimate e valorizzate da Mons. Pintor.
Accadde però che nessuno nel corso dell’assemblea si alzò a muovere critiche contro di loro, anzi più di uno, a fine assemblea, si avvicinò al vescovo per manifestare sorpresa per un’iniziativa del genere.
Vi è al riguardo la testimonianza dell’allora Vicario Generale della Diocesi, Mons. Gavino Leone.
Il ruolo di mio fratello in diocesi
Come ho già avuto modo di dire in altre occasioni, non mi stancherò di ripetere che mio fratello ha servito la Diocesi, non si è servito di essa.
Lo possono testimoniare i Vescovi Sanguinetti e Melis e tutti i sacerdoti della diocesi. Lo dice anche il suo conto personale in banca! Credo che il Tenente Colonello Pellecchia lo conosca bene! Così come il suo tenore di vita.
Lo stesso Mons. Pintor fin dal suo arrivo in diocesi nel 2006, creò un rapporto di piena collaborazione al punto che se ne serviva finanche come autista, servizio ovviamente prestato sempre a titolo gratuito. Mi limito anche qui a citare solo un piccolo episodio, di per sé emblematico.
Nell’agenda personale di Mons. Pintor, prodotta qui come documento e analizzata dalle informative, vi sono le due seguenti annotazioni: “4 luglio 2011, ore 16, Tonino mi accompagna all’aeroporto; 6 luglio 2011, ore 23 viene Tonino Becciu a prendermi all’aeroporto di Olbia”.
Noto: siamo nel 2011, dunque dopo 5 anni di ministero episcopale di Mons. Pintor, il che fa capire che fino a quel momento egli non poteva lamentarsi di Tonino e noto ancora che l’appuntamento è alle ore 23, non alle 20 o alle 21 di sera.
Dando per scontato che l’aereo fosse puntuale, Tonino, considerate le distanze tra Olbia-Ozieri-Pattada, sarà arrivato a casa sua all’una del mattino!
Questo è mio fratello. Questo è il suo modo di vivere e di concepire il servizio. Poi dall’ottobre del 2011, come detto, qualcosa cambiò…
E qui mi fermo per non tradire il mio impegno.
Grazie per l’ascolto!».

La deposizione del Colonello della Guardia di Finanza di Oristano e la “Nota informativa riservata”, dattiloscritta e non firmata, attribuita al defunto Vescovo di Ozieri

Il Colonnello della Finanza di Oristano, Pasquale Pellecchia, chiamato a testimoniare dal Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, ha ripercorso i passi dell’indagine condotta per conto della Procura di Sassari sulla gestione della Cooperativa Spes, gestita dal fratello del Cardinale Angelo Becciu, Tonino, e “sulla famiglia Becciu”. Su richiesta del Promotore di Giustizia, Pellecchia ha letto una “Nota informativa riservata”, dattiloscritta e non firmata, attribuito a Mons. Sergio Pintor (Vescovo di Ozieri dal 2006 al 2012 e deceduto nel 2020), con accuse al Cardinal Becciu e al fratello Tonino, gestore della Cooperativa Spes. In una dichiarazione spontaneo, che abbiamo rapportato prima, il Cardinal Becciu ha respinto ogni addebito.

La “Nota informativa riservata” fu ritrovata nello studio del Vescovo Pintor ed è datata maggio 2013, sei mesi dopo il ritiro del presule dalla guida della Diocesi di Ozieri. Il Segretario particolare, Mons. Graziano Orro, ha dichiarato alla Guardia di Finanza di averla scritta su dettatura di Pintor.

Nella suddetta “Nota informativa riservata”, l’autore “ha denunciato forti ingerenze da parte della Santa Sede”, ha dichiarato Pellecchia. Nel dettaglio, il teste ha precisato che, nella nota citata, il Vescovo Pintor lamenta “forti ingerenze che dall’alto dalla Santa Sede avrebbero influenzato le sue decisioni” e che sarebbero arrivate dal 2011 al 2012 dall’allora Segretario di Stato, Cardinale Tarcisio Bertone, dal Sostituto, Arcivescovo Angelo Becciu, ma anche da altre personalità, con la richiesta di bloccare nuove nomine urgenti di parroci già comunicate agli interessati e alle comunità, in concomitanza con pressioni in tal senso ricevute anche da alcuni membri della famiglia Becciu. Alla richiesta di spiegazioni di Pintor, il Nunzio Apostolico in Italia gli avrebbe comunicato di spedire subito al Papa la lettera di rinuncia. In un’altra lettera gli venne chiesto di non sostituire il Direttore della Caritas diocesana, Don Mario Curzu, nonostante il Vescovo Pintor avesse denunciato che nella Cooperativa Spes si mancava di rispetto e venivano sfruttate le persone povere. Questi diversi interventi, scrive l’allora Vescovo emerito di Ozieri in terza persona, “testimoniano l’organizzazione di un gruppo di potere arrogante, che utilizzava il nome del Papa per affrettare la destituzione del Vescovo Pintor, che voleva difendere i poveri. “Come organizzatore del tutto – ha riferito il colonnello Pellecchia – appare il Sostituto Becciu, appoggiato dall’allora Segretario di Stato Bertone, con la collaborazione di un sacerdote, ex allievo di Bertone”, i quali si sarebbero serviti “per le loro mire” anche dell’allora Prefetto della Congregazione per il Clero, Cardinal Piacenza, e del Nunzio Apostolico in Italia. Sempre nel corso della sua testimonianza, il Colonnello della Guardia di Finanza ha fatto notare che due giorni dopo le dimissioni di Mons. Pintor dal governo della Diocesi di Ozieri, il nuovo Vescovo Sanguinetti, nominato “immediatamente”, “ha subito annullato quanto fatto dal predecessore”, premiando tutti i sacerdoti che gli avevano creato problemi.§

L’attenzione di Diddi è andata poi al conto numero 60478 della Banca Proxima (Poi Intesa), intestato alla Diocesi e in gestione alla Caritas, con la firma di Tonino Becciu e non del Vescovo Pintor, che non sarebbe stato a conoscenza della sua esistenza. Sarebbe, secondo l’accusa, il conto sul quale venivano accreditati i fondi provenienti dalla Segreteria di Stato.

Il palazzo di Londra e le analisi dell’ASIF

Di seguito si è andati all’altro filone del processo, quello relativo all’acquisto del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra, per il quale è stato ascoltato Carlo Fara, ex funzionario dell’Ufficio Informazioni Finanziarie dell’ASIF-Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria della Santa Sede, teste richiesto da una parte civile, l’APSA. Fara ha confermato che nel marzo 2019 il suo ufficio fu interessato da canali istituzionali della Santa Sede per un’analisi sui contratti siglati per l’investimento con la Gut SA, per individuare eventuali criticità, di tipo economico e legale. In attesa di documenti che avrebbero dovuto arrivare dalla UIF britannica, l’ASIF non avrebbe però informato il Promotore di Giustizia di alcune criticità riscontrate.

Postscriptum

1. Sulla questione della testimonianza del Colonello della Guardia di Finanza di Oristano, vale la pena riportare alcune osservazioni formulate dal sito Silere non possum [QUI]:

«Il Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, ha chiamato un uomo del Reparto di polizia economico finanziaria italiana a testimoniare sulle attività condotte nella Diocesi di Ozieri in Sardegna. Tale modus agendi è assolutamente inusuale e non è assolutamente ammissibile che, in un procedimento penale di uno Stato estero, vengono a testimoniare degli organi di Polizia di un altro Stato. Alessandro Diddi ha dimostrato, in questi anni, di non avere alcuna competenza in merito al diritto internazionale e vaticano. (…)
In sostanza, la Guardia di Finanza è venuta in possesso di documentazione riservata del Vescovo di Ozieri. Come noto, questa documentazione è della Curia diocesana e non può certo essere consegnata alle forze di polizia italiana. Si tratta, tra le altre cose, delle dimissioni di Pintor inviate al Papa e di lettere di Capi Dicastero della Curia Romana. (…)
Non si può permettere che in un documento di Polizia Giudiziaria vengano fatte certe considerazioni e un militare venga in aula del tribunale vaticano a contestare ciò che fece il Sommo Pontefice. Tali affermazioni costituiscono delle gravissime ingerenze nelle attività della Santa Sede e non possono essere lasciate impunite».

2. In un articolo Le peripezie della Papessa, Filippo Ceccarelli su la Repubblica del 26 gennaio 2023 scrive di «Francesca Immacolata Chaouqui, che negli impicci della Santa Sede è da anni presente come il prezzemolo e insieme sfuggente come una pallina di mercurio». L’Avv. Luigi Panella, difensore di Enrico Crasso, nell’Udienza odierna al Tribunale vaticano, ha stigmatizzato il comportamento inammissibile di Francesca Immacolata Chaouqui in Aula il 13 gennaio 2023. Con apposita ordinanza, il Tribunale vaticano ha disposto che «non verrà escussa ulteriormente, per fortuna», osserva Silere non possum, che ha raccontato la questione alcuni giorni dopo. Consigliamo di leggere per intero questo articolo Francesca Chaouqui: la donna pregiudicata che continua ad usare il Papa su Silere non possum [QUI]. Non racconta niente di nuovo, oltre di quanto abbiamo scritto da anni sull’argomento, molto prima che Silere non possum esistesse. In passato abbiamo scritto quello che c’era da scrivere e tutto le notizie e informazioni che escano oggi, confermano soltanto quello che abbiamo rilevato a suo tempo. Ma questo articolo di Silere non possum ha il merito di mettere tutto in riga e lo storico in connessione con il presente, in modo organico. Peccato che Silere non possum non permette di riportare il contenuto, perché l’avremmo condiviso volentieri per intero.

Intanto, citiamo qualche passo, in riferimento a Genoveffa Ciferri e Francesca Immacolata Chaouqui, che sono state escusse nella precedente Udienza, la 43° del 13 gennaio 2023:

«(…) Ciò che rammarica è che tutto questo non scandalizza neppure la magistratura laica dello Stato della Città del Vaticano. Abbiamo già spiegato, più volte, come Alessandro Diddi non abbia alcuna competenza in merito al diritto vaticano e canonico, ora emerge che quest’uomo è stato anche protagonista di alcune chat che lo hanno coinvolto in prima persona. Una di queste donne, Genoveffa Ciferri, infatti, ha riferito di aver scritto al Promotore di Giustizia dei messaggi. Ora è chiaro che qualcosa non funziona. In qualunque Stato, anche nel nostro prima dell’arrivo di Diddi, una cosa del genere sarebbe stata motivo di provvedimenti gravissimi e, soprattutto, avrebbero portato all’incompatibilità del magistrato con il procedimento stesso. Come si può pensare che un magistrato che ha ricevuto dei messaggi da una persona che attaccava una degli imputati, si mantenga terzo? Addirittura le chat che sono state depositate sono state segretate da Alessandro Diddi con la solita scusa: “è stato aperto un procedimento”. Peccato che di questi procedimenti non si sappia poi più nulla e Diddi continua a fare ciò che gli pare. Come si può pensare di arrivare a fine di questo processo senza sapere cosa si sono scritti il Promotore di Giustizia e questa donna? (…)
Una delle protagoniste di questa vicenda è la pregiudicata Francesca Immacolata Chaouqui, la quale è stata condannata in questo Stato per aver concorso nel reato di “Divulgazione di notizie e documenti” (…). La tecnica è consolidata. Prende di mira una persona, lo “sfortunato” del momento e inizia a martellare per attirare l’attenzione di qualcuno che le dia un po’ di visibilità. Passato il momento, tutto torna come prima. (…) Nuovo obiettivo: il Cardinale Angelo Becciu. Sentito dal Promotore di Giustizia Vaticano, il Reverendo Mons. L.A. Vallejo Balda disse: “Quando la COSEA ha terminato il proprio lavoro con la consegna dell’archivio ho avuto minacce da parte della Chaouqui e del marito in quanto voleva lavorare all’interno del Vaticano, Ero preoccupato per il fatto che la Chaouqui aveva perso il suo lavoro per lavorare in COSEA”. Minacce che la donna ha rivolto a destra e a sinistra senza alcun ritegno. Nonostante la condanna in sede penale, Francesca Immacolata Chaouqui ha iniziato a scrivere messaggi minatori contro il Cardinale Angelo Becciu (allora ancora Arcivescovo), addirittura accusandolo di essere l’autore del suo arresto. Non è passato neanche un anno e la donna è tornata all’attacco. Il Vaticano è una realtà succulenta che gli può portare visibilità. Dopo aver individuato in Becciu il suo nuovo nemico, dopo averlo minacciato e avergli promesso la peggio vendetta, la donna ha iniziato a contattare Mons. Alberto Perlasca. (…)
Gli amichetti aiutano Chaouqui. Nonostante una condanna penale e nonostante tutte le uscite pubbliche che la donna ha fatto, Papa Francesco l’ha ricevuto ad agosto 2022 per un “bacia mano” al termine di una udienza del mercoledì. Chiaramente non si accede al Papa con questa facilità, soprattutto se a chiederlo è una pregiudicata. (…) Ora, sembra opportuna la scelta di fare una foto con questa donna al termine di una udienza generale? Assolutamente no. (…) Il giorno dopo, infatti, la maggior parte dei membri del Sacro Collegio e della Curia Romana ha iniziato a digrignare i denti e a manifestare insofferenza verso questo gesto. Anche il Cardinale Angelo Becciu, ovviamente, si è infuriato. Peraltro, bisogna riconoscere che è stato uno dei pochi che ha apertamente detto al Papa come la pensava. (…) [Becciu scrive al Papa e riceve una risposta come abbiamo riferito] Il Papa non smentisce il cardinale ma, anzi, si scusa. Certo, sorgono diverse domande: possibile che il Papa dimentichi “l’avventura di questa Signora”? Una donna che ha rovinato questo Stato e lo ha dato in pasto ai media. Ci chiediamo se il Papa sia serio, ecco. (…)
Ora, visto quanto emerso nell’udienza che si è celebrata in Tribunale il 13 gennaio 2023 e visto le affermazioni che questa donna continua a fare in televisione e sui giornali, il Collegio cardinalizio sta iniziando ad innervosirsi. (…) Chiaramente, questa persona ha fame di visibilità ed è disposta a tutto per averla. Le email inviate a Monsignor Perlasca confermano quanto detto da Mons. Balda prima e dal Cardinal Becciu, poi. Minacce e tentativi di estorcere comportamenti o dichiarazioni. (…) Ci sono tutta una serie di comportamenti che hanno rilevanza penale. Cosa si aspetta ad agire? La donna dice di avere documenti riservati della Santa Sede e simili, cosa si sta aspettando invece di entrare nella sua abitazione e perquisirla? Sono stati inviati centinaia di finanzieri all’interno di parrocchie di una diocesi sperduta della penisola italiana, con tanto di rogatoria internazionale, e si lascia che una donna interferisca nelle attività della Santa Sede? (…)
Infine, molti in Vaticano vogliono sapere chi ha permesso quel baciamano, chi l’ha fatta arrivare al Papa quel giorno? Che ha fornito informazioni riservate a Chaouqui quando ancora le indagini erano in corso?».

3. Il fatto che questa signora non potrà più venire a fare suo show nell’Aula del Tribunale vaticano, alla ricerca di visibilità a tutti i costi, è solo guadagno. Non abbiamo perso niente, perché era evidente che il Tribunale vaticano non aveva nessuna intenzione di fare luce sui rapporti tra questa signora e il Papa, visto che il Presidente Pignatone non ammetteva alcuna domanda al riguarda, interrogativi che potrebbe essere devastanti. Come fa questa signora ad avere l’ascendente sul Papa? La Santa Sede lo consente?

Che non si tratti di una millanteria della signora è confermato dal fatto che il Tribunale vaticano:

  • non ha ammesso alcuna domanda su tale rapporto (né su chi avesse organizzato il famoso baciamano);
  • ha consentito un atteggiamento di sfida della signora nei confronti dei difensori (altri sono stati aspramente redarguiti per molto meno);
  • non consente che vi sia in confronto tra la signora e la Ciferri, che avrebbe potuto far emergere il contenuto dei messaggi omissati e che devono restare “coperti”;
  • non ha ammesso il Papa come testimone della difesa e la signora come testimone dell’accusa (fu convocata dal Presidente Pignatone soltanto per verificare le contradizioni emerse a seguito dell’interrogatorio di Mons. Alberto Perlasca e per la segnalazione del Promotore di Giustizia Diddi al Presidente Pignatone, a seguito dei messaggi ricevuti dalla Ciferri).

4. Malagiustizia – «Per me è una cosa inaudita e scandalosa. La Giustizia vaticana non è degna di questo nome. L’interrogatorio della Chaouqui era stato calendarizzato, era in programma per il 16 febbraio (era anzi già stato incomprensibilmente spostato una volta). Ed era previsto anche un confronto all’americana tra la Chaouqui e la Ciferri: le contraddizioni emerse erano davvero troppe. Era necessario che gli avvocati della difesa potessero interrogare la Chaouqui per far emergere i retroscena e le motivazioni delle sue montature calunniose. E ora che succede? I giudici decidono che… non si fa! Non si fa, capite? Questa è censura! Questa è paura della verità. Proprio dove la verità dovrebbe essere cercata senza tabù! Hanno interrogato tutti, con i pretesti più assurdi e con accuse che si sono sbriciolate una dopo l’altra, solo per lanciare fango. E ora che bisognerebbe interrogare LEI, che si fa? Si passa oltre?!? E poi ci sono gli esagerati “omissis” del Promotore di Giustizia Diddi! Cosa doveva nascondere? Cosa doveva nascondere! Giustizia vaticana, hai fallito! Hai perso la credibilità. Gesù Cristo oggi, in Vaticano, verrebbe nuovamente messo in croce. Come 2000 anni fa. La verità ci farà liberi» (Andrea Paganini).

5. Andrea Gagliarducci su ACI Stampa [QUI] ha rilevato “alcune questioni critiche” (che abbiamo segnalato), “che vale la pena di affrontare” ulteriormente.
Prima di tutto sottolinea “l’irritualità dell’interrogatorio nei confronti del colonnello della Guardia di Finanza di Oristano Pasquale Pellecchia”.
Quindi, approfondisce “l’interrogatorio a Carlo Fara, funzionario dell’ufficio di informazione finanziaria dell’Autorità di Informazione Finanziaria fino al 2019, quando ha ricevuto un’altra offerta e ha preferito dunque lasciare l’autorità i cui vertici erano stati “decapitati” e che aveva subito un duro colpo alla sua indipendenza di intelligence con le perquisizioni in Segreteria di Stato. Gli è stato chiesto di quando ha cominciato ad occuparsi dell’acquisizione del palazzo di Londra, e soprattutto perché non avesse mai segnalato al promotore di giustizia della situazione”.
Al riguardo, vale la pena riportare quanto scritto da Gagliarducci, un analista esperto in materia, oltre di quanto abbiamo già riferito:
«Ma non c’era alcuna situazione da segnalare, per due motivi.
Il primo è la procedura: c’era una segnalazione di attività sospetta, che in realtà era una richiesta di collaborazione ai sensi dell’articolo 69A della legge antiriclaggio, ma l’autorità di intelligence deve fare le sue verifiche prima di riportare al Promotore di Giustizia per le indagini. Erano state attivate, come già emerso durante il processo, cinque Unità di Informazione Finanziaria estere per fare le adeguate verifiche, e si attendevano tra l’altro ancora risposte dalla Gendarmeria. Non insomma c’erano ancora gli elementi per inviare una segnalazione al Promotore di Giustizia, perché questo viene fatto dopo le verifiche.
La seconda: la segnalazione riguarda il rischio di riciclaggio, ma in quel caso il rischio di riciclaggio ancora non c’era, erano soldi della Segreteria di Stato che venivano investiti. E, tra l’altro, da procedure GAFI (Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale), l’autorità è tenuta a collaborare con le autorità.
Va notato che il terzo rapporto sui progressi di MONEYVAL, nel 2017, notava che “i risultati nella applicazione delle leggi e l’attività giudiziaria a due anni dall’ultimo rapporto restano modesti” (punto 64 del Moneyval Progress Report sulla Santa Sede del 2017). Significava che, a fronte delle segnalazioni dell’Autorità di Informazione Finanziaria, l’attività investigativa giudiziaria non dava seguito in maniera conforme. Il rapporto sui progressi 2021 segnalava poi “miglioramenti nel quadro istituzionale e un approccio più proattivo applicato dal Corpo della Gendarmeria e dall’Ufficio del Promotore di Giustizia sono incoraggianti”, ma notava come “i risultati effettivi raggiunti durante il periodo in esame sono modesti”. Alla fine, veniva messa in luce una mancata efficacia del sistema giudiziario vaticano. Avrebbe il tribunale dato davvero seguito alle indagini se avesse ricevuto una segnalazione dall’autorità di intelligence? È una domanda da farsi, considerando però che l’Autorità di Informazione Finanziaria non era ancora arrivata al punto di dover avvertire il Promotore di Giustizia.
A Carlo Fara sono stati mostrati due contratti: uno del passaggio delle quote dell’immobile da Athena a Gutt e uno del passaggio a GUTT alla Segreteria di Stato. Sembra mancasse il contratto di gestione con cui la Segreteria di Stato affidava a GUTT la gestione strategica dell’immobile, ed era lì che presumibilmente erano previste delle penali. Sulla base di quelle penali si è trattato con Torzi la sua buonuscita, fino a giungere ai 15 milioni contestati dal Promotore di Giustizia come estorsione».

Indice – Caso 60SA [QUI]

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