Da Novara mons. Brambilla invita alla vita sociale, che nasce dalla contemplazione

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Domenica 22 gennaio Novara ha celebrato la solennità di san Gaudenzio, primo vescovo e patrono della città e della diocesi, celebrata da mons. Franco Giulio Brambilla, che nel pontificale ha evidenziato il gesto della donna di Betania che versa il suo profumo preziosissimo per onorare la Pasqua di Gesù, raccontato nel Vangelo di Marco.

San Gaudenzio fu il primo pastore di Novara, divenuta sede vescovile alla fine del secolo IV per iniziativa della Chiesa di Milano e dei suoi vescovi Ambrogio e Simpliciano. I dittici con la serie dei nomi dei Vescovi più antichi indicano la durata del suo episcopato come ventennale, mentre la vita, redatta con intento edificante alla fine del sec. XI, e gli antichi documenti liturgici, oltre ad indicarlo originario di Ivrea, lo propongono quale immagine del ‘buon pastore’, coraggioso nel testimoniare la fede, austero nello stile di vita, sollecito nell’evangelizzazione e nella ‘plantatio Ecclesiae’, caritatevole nel soccorrere i poveri e coloro che sono oppressi dal peccato e dalla malattia. Morì il 3 agosto forse del 418 e venne sepolto fuori di Porta Vercelli.

Nell’omelia il vescovo ha ricordato innanzitutto che i poveri ci saranno sempre, come chiarisce Gesù: “…non quasi per rassegnarsi a tenerli alla periferia della società e qualche volta anche della Chiesa, ma perché essi sono una vocazione e un compito.

Essi rappresentano una ‘chiamata’ per il credente a cercare quell’unico bene che sazia il desiderio dell’uomo e a condividere gli altri beni perché nessuno resti fuori dalla sala del convito.

E, dunque, sono anche un ‘compito’: vivere la vita cristiana come uno spazio che sente i poveri, i piccoli e tutte le altre forme di emarginazione nel grembo della propria casa, addirittura lasciandoli collocare dal Signore Gesù al centro della comunità”.

Quindi è bello il gesto ‘smisurato’ compiuto da questa donna, senza nome, per onorare Gesù: “E’ bello pensarla senza nome, perché il suo volto s’illumina con il gesto, descritto con enfasi dall’evangelista Marco. Essa porta quasi mezzo chilo di profumo molto costoso.

E’ uno spreco eccessivo da ogni punto di vista: della quantità, della qualità, del costo, dello spazio, del tempo. E’ una gratuità che deborda da tutte le parti. La donna si avvicina a Gesù e lo onora sciupando il suo bene più prezioso, lungamente tenuto in disparte per l’occasione della vita in cui mostrare la sua bellezza.

Questo è ciò che deve fare anzitutto la donna-Chiesa per quanto possa sembrare sconvolgente: mettere al centro Gesù, onorare il suo corpo sepolto, accendere l’istinto naturale dell’amore per custodire le piaghe del Crocifisso”.

Ma la donna compie il gesto perché ha udito le parole di Gesù: “Non basta far pregare il gruppo Caritas, non basta celebrare una messa ogni tanto, non è sufficiente passare un momento dalla chiesa, ma occorre che la Chiesa che serve sia prima di tutto una Chiesa che prega, che ascolta la sua Parola, che si lascia da cima a fondo mettere in discussione dalla Pasqua di Gesù, che si lascia contagiare dalla corrente viva e vitale del corpo crocifisso”.

Infatti i santi, prima di agire, pregavano: “Occorre fare come i grandi santi della carità, icone viventi della donna evangelica, che hanno molto amato il Signore dell’Eucaristia, che sono diventati testimoni inesauribili della carità, costruendo storie stupende di dedizione e trascinando nella loro scia un numero incalcolabile di discepoli.

Non c’è altra dimostrazione dell’importanza di onorare il corpo di Gesù: a guardalo, quel vaso di profumo preziosissimo ci sorprende e ci affascina; a seguirlo, quel gesto dispiega tutta la sua carica di trasformazione personale e sociale!”

Però c’è sempre chi è pronto alla mormorazione: “Il gesto della donna-Chiesa che non smette mai di contemplare il suo Signore, di onorare il corpo crocifisso, di lenire le ferite della passione con il balsamo più costoso, è motivo di scandalo e di mormorazione. La grazia a caro prezzo suscita malumore e fa emergere false alternative.

Mentre la donna-Chiesa onora Gesù, i presenti alzano il dito calcolatore: ‘Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri’. Trecento danari sono il salario di un anno di un bracciante palestinese, sono una cifra spropositata, si poteva barattare il gesto della donna per aiutare i poveri.

Molti hanno idee discordanti sul profumo sprecato, anche i discepoli discutono e si dividono… Emergono tutte le false alternative della carità. La carità sta spesso sulle nostre labbra e nei nostri programmi e talvolta la usiamo persino come piedistallo per la nostra affermazione”.

Ecco, le contrapposizioni sono evidenti: “Noi siamo tentati di contrapporre le cose: un tempo il culto e la preghiera potevano essere posti in alternativa alla pratica della giustizia e della carità; oggi è l’impegno pratico del volontariato o del servizio sociale che viene contrapposto al bisogno di formazione e di crescita nella fede.

Nessuna di queste due forme però è assoluta, né la preghiera né il servizio. Ma assoluto è l’uomo nella comunione con Dio: l’uomo che vive e l’una e l’altro nello Spirito di Gesù, che li fa vivere dentro l’iniziativa di Dio…

Anche noi possiamo mormorare come i discepoli, scansando la sfida della carità che si alimenta del gesto della donna: il suo senso non è solo di ‘fare la carità’, ma di essere uomini e donne nella carità di Dio, di essere una libertà capace di comunione, che si lascia illuminare lo sguardo e accendere il cuore per vedere i poveri e per servirli veramente”.

Ma Gesù dice di ‘liberare’ la donna, affermando che i poveri ci sono sempre: “Certo occorre quasi liberare, lasciar andare la donna-Chiesa che con gli occhi dell’amore e della tenerezza si slancia verso il Signore, compie verso di lui l’opera buona, l’unica necessaria: custodire la misura incalcolabile della dedizione crocifissa di Gesù.

Questo fa la Chiesa: celebra la grazia a caro prezzo, sta presso Gesù che sulla croce grida: ‘Ho sete’. Bisogna che noi sciogliamo la donna, che non teniamo legata nei lacci dei nostri calcoli umani la Chiesa che pone al centro il Signore. Lasciatela stare!

Permettiamo alla Chiesa di rimanere presso la croce, e anche noi cerchiamo di essere una Chiesa che dimora presso il costato di Gesù, sconfiggiamo dentro di noi le figure tenebrose che contrappongono Gesù ai poveri, l’amore di Dio all’amore del prossimo, come fossero due amori inconciliabili”.

Per questo mons. Brambilla ha esternato alcune preoccupazioni attuali: “Mi colpisce da un lato il venir meno di uno spirito di gratuità nel volontariato degli adulti e dall’altro la caduta del volontariato nel mondo giovanile. Sul primo tema spendo solo una parola: il percorso di inquadramento di tante forme di volontariato nella legge sul Terzo Settore può correre il rischio di spegnere il volontariato umile e gratuito.

Le comunità cristiane e i pastori non dovranno smettere di favorire un volontariato disponibile, che sia semplicemente gratuito. Solo con l’ossigeno della gratuità anche il volontariato più strutturato e a tempo pieno non perderà la sua anima di generosità. Chiedo alle comunità cristiane e ai gruppi di volontariato di cercare i modi con cui correggere l’impoverimento del volontariato gratuito”.

Ed ha chiesto che si dia spazio ai giovani secondo le loro inclinazioni: “Il servizio sociale, l’amore del prossimo, la dedizione agli altri, il partecipare a una relazione di aiuto nascono essenzialmente come bisogno. Alcuni preferiscono parlare con le mani, con il lavoro comune, e questo si esprime come un bisogno impellente di fare qualcosa per gli altri.

La nostra società è piena di questi giovani, ma la formazione prevalentemente verbale (anche nei nostri gruppi giovanili negli oratori), poco incline al tirocinio e alla fatica, mette ai margini questo tipo di persone, forse senza saperlo.

Ciò non significa che questi ragazzi e giovani non abbiano sentimenti, sogni, progetti, desideri, ma avendo difficoltà ad esprimerli a parole cercano un’altra via: pensano che li possano vivere con i gesti, con i fatti…

Un educatore armonico deve saper bene interpretare i desideri, le persone, i caratteri, i tipi umani. Dare una mano fa sentire attivi, importanti, protagonisti, ma ciò non va subito interpretato come un tratto sconveniente, bensì va elaborato positivamente”.

Il volontariato è il coinvolgimento pieno della persona: “La preghiera, la liturgia, la formazione, la riflessione, il silenzio, l’approfondimento culturale (tutto ciò che chiamiamo appunto formazione) può essere scoperto, deve essere scoperto anche nel gesto della carità, nel volontariato, nel servizio sociale.

Guai se si dicesse che il volontario agisce, ma non prega, non comunica, non pensa, non scambia desideri e sogni. A questo punto egli stesso si impoverirebbe e domani, anche solo in una normale vita di famiglia, non saprebbe reggere sui ritmi della vita quotidiana.

La carità da se stessa richiede di diventare vocazione, scelta di vita: altrimenti molti giovani, che hanno fatto con noi un cammino di formazione e di fede, li potremmo trovare domani con comportamenti che sembrano aver lasciato alle spalle il proprio volontariato come un esperimento giovanile dimenticato nella vita adulta”.

(Foto: diocesi di Novara)

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