Mons. Baturi all’Azione Cattolica Italiana: essere testimoni di fede e di speranza

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Giovedì 19 gennaio a Roma si è concluso il convegno degli assistenti ecclesiali dell’Azione Cattolica Italiana su un tema fondamentale per la Chiesa italiana: ‘Sulla barca della storia. Il ministero dell’Assistente come scuola di fraternità’ per costruire una casa che accoglie, come nella celebrazione eucaristica di apertura aveva sottolineato l’arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, che si è rivolto ai sacerdoti:

“E il vostro lavoro è un servizio, il nostro lavoro è un servizio, per adoperare ancora le parole della Lettera agli Ebrei, a favore della speranza.  Della speranza di un compimento senza fine, di una speranza che fa camminare e che mette insieme, associa, costruisce e incontra gli uomini e che sempre rifiorisce anche nell’aridità o stanchezza che talvolta ci coglie, nella pazienza e nella perseveranza. La speranza rifiorisce sempre. Ecco, forse possiamo avvertire attorno a noi un deficit di speranza e quindi di energia costruttiva; la liturgia ci aiuta invece ad afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta”.

E’ stato un invito a costruire un futuro nuovo: “Vorrei dire che questa speranza che rende audaci ci fa costruttori di un futuro nuovo, ci fa venire voglia cioè di salire sulla barca della storia per indirizzarne il corso. In qualche modo nel misterioso disegno di Dio la traiettoria della storia dipende anche da noi, dalla nostra azione, dalla nostra visione delle cose, dalla generosità con cui vi stiamo dentro da protagonisti. Non subiamo per esempio il cambiamento, ma lo vogliamo, lo provochiamo. Il cristiano vuole cambiare la storia per renderla più degna dell’uomo e della sua vocazione altissima”.

La speranza si trasmette con la testimonianza: “Il compimento di questa speranza, continua la Lettera agli Ebrei, richiede che ci si faccia imitatori di coloro che con la fede e la costanza divengono eredi delle promesse, imitatori di testimoni. Mi pare che assistere i nostri fratelli nel cammino della fede significa anche accompagnarli nell’imitazione dei testimoni della fede ed è la pazienza e quasi usare di farci noi stessi, come San Paolo, modelli da imitare”.

Ed ha concluso l’omelia ricordando fratel Biagio Conte come testimone di speranza: “L’uomo si riaccende davanti a un testimone. Pensiamo in questi giorni all’impressione suscitata dalla figura di fratel Biagio a Palermo, ma tutti noi incontriamo quotidianamente figure che suscitano speranze, testimoni di carità e dell’amore che predica perché, come il Vangelo di oggi, ha ancora in sé l’amore di Dio e la sua bellezza sono sempre e diventano sempre compassione per gli uomini, amore sincero per ogni uomo”.

Durante queste giornate è stato sottolineato l’esigenza di uno stile sinodale per comunicare la fede, perché la sinodalità esorta a creare luoghi di scambio tra diverse realtà interparrocchiali e interdiocesani, in una rimodulazione del tema delle alleanze. E allo stesso tempo, ridefinisce e ricalibra la dimensione della territorialità, concependola in maniera più ampia, inclusiva e creativa, come spazio del dirsi e farsi della Chiesa.

Per questo è stato ricordato don Primo Mazzolari dall’assistente generale dell’Azione Cattolica Italiana e vescovo di Orvieto-Todi, mons. Gualtiero Sigismondi: “Mi vorrei soffermare su due immagini quella del ‘focolare’ e quella del ‘cuore’. L’idea di comunità come luogo delle relazioni ‘calorose’ è tipica di Mazzolari… Per don Primo, già negli anni Trenta, la Chiesa era il luogo dove sono valorizzate le diverse vocazioni nella corresponsabilità e dove il cristianesimo si incarna nella storia”.

Le conclusioni sono del presidente nazionale, prof. Giuseppe Notarstefano, che ha sottolineato la necessità della cura delle relazioni: “Siamo sulla stessa barca: sacerdoti e laici, gerarchia e popolo di Dio, se volgiamo l’attenzione alla cura e alla sinodalità. Cura verso gli altri, i fratelli più lontani, i più disagiati, i poveri, ma cura anche verso il nostro territorio, la famiglia, le realtà che ci circondano.

Una cura che non può allontanarsi, per essere vera, da una sinodalità praticata oltre che dichiarata, che esprime una Chiesa estroversa dove la fraternità è al primo posto dei nostri vissuti. Perché il collaborare e il condividere insieme non è un metodo, ma una scelta di contenuto. Uno stile di fraternità”.

(Foto: Azione Cattolica Italiana)

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