L’arresto di Matteo Messina Denaro è un invito all’impegno per la legalità

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Dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro è stato trovato anche altri bunker dove il capo mafia si nascondeva, realizzato dentro un’abitazione di via Maggiore Toselli, pure questa nel centro di Campobello di Mazara e nella disponibilità di Andrea Bonafede, l’uomo che ha prestato l’identità al superlatitante. Il procuratore aggiunto Paolo Guido ha fatto scattare una nuova perquisizione dopo una segnalazione del Gico del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo, che indagava su un altro filone d’indagine.

Era in clinica per la chemioterapia e dalla cartella clinica si è scoperto che il boss arrestato dai carabinieri del Ros dopo trent’anni di latitanza, è affetto da un «Adenocarcinomia mucinoso del colon», cioè una forma tumorale aggressiva che attacca il colon.

A tale notizia il presidente di ‘Libera –  Associazioni, nomi e numeri contro le mafie’, don Luigi Ciotti, ha espresso la ‘felicità’ delle associazioni componenti l’organizzazione, non nascondendo una preoccupazione: “Ciò che però un po’ preoccupa è rivedere le stesse scene e reazioni di trent’anni fa: il clima di generale esultanza, l’unanime plauso dei politici, le congratulazioni e le dichiarazioni che parlano di ‘grande giorno’, di ‘vittoria della legalità’ e via dicendo. Non vorrei si ripetessero pure gli errori commessi in seguito alla cattura di Riina, e di Provenzano”.

Ed ha analizzato il fenomeno della mafia: “Le mafie non sono riducibili ai loro ‘capi’, non lo sono mai state e oggi lo sono ancora di meno, essendosi sviluppate in organizzazioni reticolari in grado di sopperire alla singola mancanza attraverso la forza del sistema.

Sviluppo di cui proprio Matteo Messina Denaro è stato promotore e protagonista, traghettando Cosa Nostra dal modello militare e ‘stragista’ di Riina a quello attuale, imprenditoriale e tecnologico capace di dominare attraverso la corruzione e il ‘cyber crime’ riducendo al minimo l’uso delle armi”.

La latitanza di Messina Denaro è stata anche una latitanza politica: “La sua latitanza è stata accompagnata anche dalla latitanza della politica indirettamente complice di quella di Messina Denaro: la mancata costruzione, in Italia come nel mondo, di un modello sociale e economico fondato sui diritti fondamentali (la casa, il lavoro, la scuola, l’assistenza sanitaria) modello antitetico a quello predatorio che produce ingiustizie, disuguaglianze e vuoti di democrazia che sono per le mafie di tutto il mondo occasioni di profitto e di potere”.

Comunque per don Luigi Ciotti la lotta alla mafia non termina: “La lotta alla mafia non si arresta con Matteo Messina Denaro perché l’ultima mafia è sempre la penultima, perché il codice genetico della mafia affida alla sua creatura un imperativo primario: quello di sopravvivere.

Ce n’è un’altra infatti che cova, ha sempre covato. Nei cambiamenti storici che sono avvenuti, ci sono sempre delle ceneri che ardono sotto. Dunque esultiamo pure per la cattura di Messina Denaro ma nella consapevolezza che l’arresto di oggi non è la conclusione ma la continuità di un lungo percorso, di una lotta per sconfiggere le mafie fuori e dentro di noi”.

Per le Acli l’arresto di Matteo Messina Denaro è “indubbiamente una vittoria per lo Stato che corona un lungo lavoro investigativo e che toglie dalla circolazione un criminale pluricondannato, uno degli ultimi boss della mafia corleonese.

Nello stesso tempo, dobbiamo ricordarci che la vittoria con le armi della giustizia e del codice penale della mafia è solo parziale finché non viene completata dalla capillare diffusione della cultura della legalità nelle menti e nelle coscienze di tutti i cittadini, a partire da quelli che vivono nelle zone a più alta densità mafiosa.

La speranza che tutti i più pericolosi latitanti vengano assicurati quanto prima alla giustizia va di pari passo con quella di far crescere nuove generazioni che siano educate a pensare che vivere onestamente è il miglior modo di vivere, relegando in questo modo la criminalità organizzata nel museo delle peggiori memorie storiche”.

Anche l’Azione Cattolica Italiana ha invitato a non dimenticare chi ha lottato contro la mafia: “Politica, magistratura, giornalismo di inchiesta. E ancora Chiesa, scuola, università, società civile organizzata: uniti, contro le mafie. Perché tutti siamo interpellati nella lotta al crimine organizzato. Nel nome della verità. Alcuni nomi potranno aiutarci in questa operazione.

Quelli di politici, come Pio la Torre o Angelo Vassallo; di magistrati, come Paolo Borsellino o Rosario Livatino; di giornalisti, come Giancarlo Siani o Peppino Impastato; di preti, come don Pino Puglisi o don Peppino Diana; e di tantissimi altri. Uomini diversi. Diversi gli incarichi.

Diverse le responsabilità cui erano preposti. Eppure tutti, ma proprio tutti, irriducibili amanti della verità. Riflettere intorno a questa, che potrebbe divenire un’interminabile elencazione di uomini perbene, può condurci a comprendere il senso di una causa che unisce”.

Quello dell’Azione Cattolica Italiana è un invito per ciascuno ad impegnarsi: “In questo senso l’arresto del boss Matteo Messina Denaro è una straordinaria vittoria dello Stato. Delle forze dell’ordine e dei magistrati che ne hanno guidato le indagini e assicurato la cattura. Di quelle istituzioni politiche che ne hanno sostenuto concretamente le operazioni.

Di quanti, scrittori e giornalisti coraggiosi, ne hanno denunciato l’esistenza e sensibilizzato l’attenzione nazionale e internazionale. Di quanti, tra cittadini comuni, ne hanno favorito l’individuazione, collaborando con le istituzioni, rompendo i muri del silenzio, della paura, dell’omertà.

Ma perché lo Stato continui ad unirci sotto l’unico nome della legalità e della convivenza civile è necessario che ciascuno, a cominciare da quanti ricoprono i più alti incarichi di responsabilità, si adoperi nella denuncia ferma di quelle frange, di quei pezzi, di quei nomi che ancora inquinano le istituzioni dal di dentro, mortificando il cuore dello Stato repubblicano e l’immagine della nostra nazione.

Non si tratta di gettare discredito su questa o quella parte. Ma, al contrario, si tratta di rompere gli schemi, oramai stanchi, di certi linguaggi politicamente corretti, per restituire al paese la determinazione di un impegno autentico, trasversale. Che incoraggia chi denuncia. Che isola chi delinque. Che si unisce al grido di giustizia che vive tra le gente.

Ed allora nessuno si consideri esente dal dovere e dal potere di fare fino in fondo la propria parte per contribuire a colmare quella ‘fame e sete di giustizia’ che si alimenta intorno a noi. E che questa vicenda ci insegni, tra l’altro, che un arresto eccellente non è un tema che può dividere. Ma bensì un risultato da condividere e valorizzare come monito a camminare uniti con ancora maggiore determinazione lungo le strade della giustizia”.

(Foto: Acli)

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