Papa Francesco: Gesù ha un cuore pastorale

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Al termine dell’udienza generale odierna papa Francesco ha invitato a pregare per la pace in Ucraina in questa settimana dedicata all’unità tra i cristiani: “All’inizio della ‘Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani’, invito ciascuno di voi a pregare e ad operare affinché fra tutti i credenti in Cristo si affermi sempre più il cammino verso la piena comunione, e nello stesso tempo vi incoraggio a impegnarvi, con dedizione ed in ogni ambiente di vita, per essere costruttori di riconciliazione e di pace”.

E’ stato un invito a non rimanere indifferenti: “E non dimentichiamo di pregare per la martoriata Ucraina, tanto bisognosa di vicinanza, di conforto e soprattutto di pace. Sabato scorso un nuovo attacco missilistico ha causato molte vittime civili, tra cui bambini. Faccio mio il dolore straziante dei familiari. Le immagini e le testimonianze di questo tragico episodio sono un forte appello a tutte le coscienze. Non si può rimanere indifferenti!”

Ritornando all’udienza generale papa Francesco è ritornato sul tema dell’azione evangelizzatrice, raccontando come Gesù ha portato avanti questa missione: “Il Vangelo del giorno di Natale lo definiva ‘Verbo di Dio’. Il fatto che egli sia il Verbo, ossia la Parola, ci indica un aspetto essenziale di Gesù: Egli è sempre in relazione, in uscita, mai isolato, sempre in relazione, in uscita; la parola, infatti, esiste per essere trasmessa, comunicata.

Così è Gesù, Parola eterna del Padre protesa a noi, comunicata a noi. Cristo non solo ha parole di vita, ma fa della sua vita una Parola, un messaggio: vive, cioè, sempre rivolto verso il Padre e verso di noi. Sempre guardando il Padre che Lo ha inviato e guardando noi a cui Lui è stato inviato”.

Ciò avviene perché Gesù prega il Padre: “Se infatti guardiamo alle sue giornate, descritte nei Vangeli, vediamo che al primo posto c’è l’intimità con il Padre, la preghiera, per cui Gesù si alza presto, quand’è ancora buio, e si reca in zone deserte a pregare a parlare con il Padre.

Tutte le decisioni e le scelte più importanti le prende dopo aver pregato. Proprio in questa relazione, nella preghiera che lo lega al Padre nello Spirito, Gesù scopre il senso del suo essere uomo, della sua esistenza nel mondo perché Lui è in missione per noi, inviato dal Padre a noi”.

Infatti il primo gesto pubblico di Gesù è stato il battesimo in mezzo alla gente: “A tale proposito è interessante il primo gesto pubblico che Egli compie, dopo gli anni della vita nascosta a Nazaret. Gesù non fa un grande prodigio, non lancia un messaggio ad effetto, ma si mischia con la gente che andava a farsi battezzare da Giovanni. Così ci offre la chiave del suo agire nel mondo: spendersi per i peccatori, facendosi solidale con noi senza distanze, nella condivisione totale della vita…

Ogni giorno, dopo la preghiera, Gesù dedica tutta la sua giornata all’annuncio del Regno di Dio e la dedica alle persone, soprattutto ai più poveri e deboli, ai peccatori e agli ammalati. Cioè Gesù è in contatto con il Padre nella preghiera e poi è in contatto con tutta la gente per la missione, per la catechesi, per insegnare la strada del Regno di Dio”.

E Gesù è il buon Pastore, che sente l’odore delle pecore: “Infatti, per riassumere in una parola l’azione della Chiesa si usa spesso proprio il termine ‘pastorale’. E per valutare la nostra pastorale, dobbiamo confrontarci con il modello, confrontarsi con Gesù, Gesù buon Pastore. Anzitutto possiamo chiederci: lo imitiamo abbeverandoci alle fonti della preghiera, perché il nostro cuore sia in sintonia con il suo?..

Se si sta con Gesù si scopre che il suo cuore pastorale palpita sempre per chi è smarrito, perduto, lontano. E il nostro? Quante volte il nostro atteggiamento con gente che è un po’ difficile o che è un po’ difficoltosa si esprime con queste parole: ‘Ma è un problema suo, che si arrangi…’. Ma Gesù mai ha detto questo, mai, ma è andato sempre incontro a tutti gli emarginati, ai peccatori. Era accusato di questo, di stare con i peccatori, perché portava proprio loro la salvezza di Dio”.

Questo comportamento è zelo apostolico: “Il cuore pastorale reagisce in altro modo: il cuore pastorale soffre, il cuore pastorale rischia. Soffre: sì, Dio soffre per chi se ne va e, mentre lo piange, lo ama ancora di più. Il Signore soffre quando ci distanziamo dal suo cuore. Soffre per quanti non conoscono la bellezza del suo amore e il calore del suo abbraccio.

Ma, in risposta a questa sofferenza, non si chiude, bensì rischia: lascia le novantanove pecore che sono al sicuro e si avventura per l’unica dispersa, facendo così qualcosa di azzardato e pure di irrazionale, ma consono al suo cuore pastorale, che ha nostalgia di chi se n’è andato. La nostalgia per coloro che se ne sono andati è continua in Gesù”.

Ma annunciare il Vangelo non significa fare proselitismo: “Evangelizzare non è fare proselitismo: fare proselitismo è una cosa pagana non è religiosa né evangelica. C’è una parola buona per quelli che hanno lasciato il gregge e a portarla abbiamo l’onore e l’onere di essere noi a dire quella parola.

Perché la Parola, Gesù, ci chiede questo, di avvicinarsi sempre, con il cuore aperto, a tutti, perché Lui è così. Magari seguiamo e amiamo Gesù da tanto tempo e non ci siamo mai chiesti se ne condividiamo i sentimenti, se soffriamo e rischiamo in sintonia con il cuore di Gesù, con questo cuore pastorale, vicino al cuore pastorale di Gesù!”

Quindi occorre pregare per un cuore ‘pastorale’: “Chiediamo nella preghiera la grazia di un cuore pastorale, aperto, che si pone vicino a tutti, per portare il messaggio del Signore e anche sentire per ognuno la nostalgia di Cristo.

Perché, la nostra vita senza questo amore che soffre e rischia, non va: se noi cristiani non abbiamo questo amore che soffre e rischia, rischiamo di pascere solo noi stessi. I pastori che sono pastori di se stessi, invece di essere pastori del gregge, sono pettinatori di pecore ‘squisite’. Non bisogna essere pastori di se stessi, ma pastori di tutti”.

(Foto: Santa Sede)

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