Il racconto della ong Nove sulla situazione delle donne in Afghanistan

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‘Siete tutti informati dell’entrata in vigore del suddetto ordine che sospende l’istruzione femminile fino a nuovo avviso’: aveva detto nello scorso dicembre il ministro dell’Istruzione superiore, Neda Mohammad Nadeem, in una lettera a tutte le università governative e private dell’Afghanistan. Anche il portavoce del ministero, Ziaullah Hashimi, ha confermato all’AFP l’ordine di chiudere i college alle ragazze a tempo indeterminato.

Dopo che i talebani hanno preso il controllo del Paese nell’agosto 2021, le università sono state costrette ad attuare nuove regole, in particolare per separare ragazze e ragazzi durante l’orario di lezione. Il nuovo divieto arriva meno di tre mesi dopo che migliaia di ragazze e donne hanno sostenuto gli esami di ammissione all’università in tutto il Paese. Oltre ad essere private dell’istruzione, le donne sono anche bandite dalla maggior parte dei lavori pubblici o pagate una miseria per restare a casa.

E’ stato inoltre loro vietato viaggiare senza essere accompagnati da un parente maschio e devono indossare il burqa o l’hijab quando escono di casa. A novembre i talebani hanno anche vietato loro di entrare in parchi, giardini, palazzetti dello sport e bagni pubblici.

In un tweet l’ex ministro delle Finanze dell’ex governo, Omar Zakhilwal, ha denunciato: “Le nuove diffuse restrizioni all’istruzione delle donne in Afghanistan sono tragiche… Questo divieto non ha basi religiose, culturali o logistiche. Questa non è solo una grave violazione del diritto delle donne all’istruzione, ma anche una profonda anomalia per il nostro Paese!”

Inoltre l’emirato talebano dell’Afghanistan ha applicato alle donne altre drastiche restrizioni come il divieto alle ong di impiegare donne, emesso dal ministero afghano dell’Economia. Per comprendere meglio la situazione nel Paese, abbiamo contattato Susanna Fioretti presidente della ong ‘Nove Onlus’, che opera nel Paese asiatico dal 2013, per farci raccontare la situazione:

“Il paese è al collasso. Insicurezza alimentare, catastrofi climatiche, gravissime violazioni dei diritti umani e pesanti carenze medico-sanitarie accrescono l’emergenza umanitaria. Dopo la drastica riduzione dei finanziamenti internazionali, i talebani hanno tagliato radicalmente la spesa per i servizi essenziali, anche sanitari.

L’esclusione delle donne da molte attività peggiora la crisi economica e rende impossibile a gran parte delle afgane senza supporto maschile procurare il necessario per sé stesse e i figli.

Il recente divieto alle ong di assumere donne, oltre a causare la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro paralizza la capacità delle organizzazioni umanitarie di dare aiuto alle donne, perché solo il personale femminile può lavorare a contatto con loro”. 

Come vivono le donne nel Paese?

“Sono private dei diritti fondamentali, non hanno libertà di movimento né accesso allo studio, i settori in cui possono guadagnarsi da vivere sono pochissimi, il tasso di mortalità per le partorienti ha avuto un’impennata. La rete di shelter per le vittime di violenza non esiste più e non possono chieder aiuto a nessuno esterno alla famiglia. Sono sparite dalla scena pubblica, non hanno più voce”.

Cosa significa essere donna in Afghanistan?

“Non avere nessun diritto, nessuna certezza. Vivere segregate, crescere una generazione di figlie analfabete e discriminate, cercando di resistere alla disperazione e all’annientamento totale”.

Quanto può influire la protesta delle donne in Iran?

“Le donne afghane hanno molto meno visibilità mediatica e pochissima solidarietà da parte degli uomini. Le attiviste vivono in clandestinità. Le donne che hanno manifestato pubblicamente (per i loro diritti ma anche per quelli delle iraniane) hanno subito dure repressioni. La protesta iraniana, portando l’attenzione pubblica sulla repressione integralista messa a sistema, ha attualizzato quanto avviene in Afghanistan con modalità più estreme”.

Quale è la reazione in Europa?

“L’Unione Europea e molti governi condannano fermamente la violazione dei diritti umani perpetrata dai talebani. Sono in atto negoziazioni delle Nazioni Unite e altri Enti con l’emirato, ma non sono stati ancora raggiunti risultati concreti”.

Come opera l’ong nel Paese asiatico?

“NOVE è una delle poche ong italiane che continua ad avere una sede nel Paese. Operiamo riprogrammando le attività in base ai cambiamenti di scenario e muovendoci a due livelli: ufficiale e ufficioso. Ad esempio, abbiamo firmato un memorandum di intesa con il Ministero del Lavoro per assistere l’orfanotrofio di Kapisa, sostenuta da ‘Only The Brave’; ed un protocollo con l’Autorità per il Disaster Management, per la distribuzione di cibo e denaro a donne in povertà, finanziata dal Trust ‘Nel Nome della Donna’. 

Quando la via istituzionale non è percorribile, contattiamo autorità tradizionali e strutture periferiche. Proponiamo attività a beneficio delle zone sotto il loro controllo e se accettano siamo garantiti dalla loro tutela, che evita rischi per le persone coinvolte nei progetti.  Abbiamo intenzione di continuare a lavorare in Afghanistan finché ci sarà permesso”.

(Foto: Nove onlus)

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